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Suburra 3: la conclusione dell'epopea sulla Roma criminale

Giunge al termine l’ammiraglia Netflix italiana, Suburra. Con questa terza stagione lo show prende definitivamente le distanze dal film, chiude tutti i fili narrativi e si riscatta leggermente dai precedenti passi falsi.

La seconda stagione di Suburra ci aveva lasciati con la morte di uno dei protagonisti, il giovane Lele (Eduardo Valdarnini). I rapporti tra la vecchia guardia, rappresentata dal Samurai (Francesco Acquaroli), e la nuova, guidata dai rampolli criminali Aureliano (Alessandro Borghi) e Spadino (Giacomo Ferrara), sono ora più tesi che mai.
Nel mezzo si trova il deputato Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), intenzionato a continuare la sua inarrestabile scalata al potere politico e pronto a sporcarsi le mani. Ma una vecchia conoscenza torna a spostare l’ago della bilancia: il redivivo Manfredi (Adamo Dionisi) non ha alcuna intenzione di lasciare le redini della famiglia criminale Anacleti al fratello minore Spadino.
Le sorti di Roma sono quindi ancora giocate tra due squadre, quella della vecchia generazione, ancorata alle regole antiche ma ancora efficaci del potere adulto e maschile, e quella della nuove leve, meno avvedute e più impulsive ma pronte a dare più spazio alle voci femminili.


Infatti le compagne dei giovani Adami e Anacleti, rispettivamente Nadia (Federica Sabatini) e Angelica (Carlotta Antonelli), sono pronte a guidare gli affari alla pari dei loro partner, con la stessa aggressività e spesso con maggior lucidità. Un’altra pedina fondamentale, poi, è rappresentata dal cardinale Nascari (Alberto Cracco), uno spietato uomo di chiesa, risoluto a non piegarsi al potere criminale. In ballo c’è un grosso affare che attira le mire di tutti i contendenti, il nuovo giubileo della chiesa, che, se tenuto a Roma, porterà somme di denaro esorbitanti a chi saprà sfruttarlo.

La carne al fuoco è molta e lo spazio viene quasi sempre dosato correttamente tra i personaggi. Al centro risalta quella che è, a tutti gli effetti, la storia d’amore dei due protagonisti, Aureliano e Spadino: per il primo si tratta di un amore fraterno, per il secondo è, invece, un vero sentimento di coppia. Uno iato forse impossibile da colmare e sostituibile solo da una profonda amicizia.


Il personaggio di Aureliano però non mostra grandi evoluzioni rispetto al passato, rimane il piccolo criminale di provincia sconsiderato e istintivo, qui addirittura più fiacco del solito. Spadino mantiene il suo fascino grazie all’ottima caratterizzazione passata, dovuta allo studio sulla sua sessualità e sulle sue insicurezze, ma anche il suo arco narrativo non vede una grossa evoluzione. Il personaggio più solido e interessante è quello di Cinaglia che al contrario cambia e cresce. È il più tragico tra i protagonisti, trovandosi a dover compiere sacrifici sempre maggiori per ottenere il potere sperato. Tra tutti è sicuramente colui che andrà incontro al cambiamento più grosso. Dopo aver già profondamente macchiato il suo animo, qui dovrà scegliere una volta per tutte tra la morale e la spregiudicatezza e, soprattutto, tra gli affetti e il potere. Ma fin dove sarà in grado di spingersi?

Una buona rivelazione sono le due protagoniste femminili, Angelica e Nadia, che provano ad allontanarsi dallo stereotipo che rappresentavano nella precedente stagione. Sicuramente viene dato loro più spazio e vengono valorizzate, ma la caratterizzazione riesce a superare di poco la piattezza.

I fili narrativi dei personaggi principali in definitiva, però, vengono tutti conclusi nella giusta direzione. Ogni tanto, in particolare verso la fine, si sente una certa velocità nel chiudere le storyline, forse dovuta anche alla brevità della stagione, composta solo da 6 episodi. Per i protagonisti, però, viene sempre rispettata una certa coerenza, mentre alcuni comprimari rischiano l’inutilità.


Il cast rimane qualitativamente molto valido, capitanato dal fuoriclasse Borghi, che esprime un fascino magnetico molto raro che appartiene solo ai grandi divi. Il resto degli interpreti non raggiunge il suo livello ma permangono molto convincenti Filippo Nigro e Giacomo Ferrara.

Tralasciata qualche ingenuità di sceneggiatura, lo show si lascia guardare, gli episodi scorrono a un buon ritmo e non mancano anche sequenze d’azione coinvolgenti. Dopo che la seconda stagione aveva decisamente mostrato il fianco, la produzione ha saputo fermarsi al momento giusto con questa ultima (mini)serie, dato che una continuazione avrebbe rischiato la troppa ripetitività.
Curioso è un certo cambio di programma che allontana definitivamente le linee narrative dalla storia del film omonimo, che ne sarebbe il sequel. Rimane comunque il coraggio di raccontare una Roma corrotta, dove anche la chiesa e la politica non sono esenti dagli affari sporchi.

Si conclude così il viaggio nella Suburra romana, con un terzo capitolo che si riscatta da alcuni errori passati e che dona una degna conclusione alle sue vicende non risparmiando anche scene realmente toccanti nel finale.

Cesare Bisantis

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