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"Tiger King": 5 motivi per guardare la “graffiante” serie Netflix su Joe Exotic

Tiger King, la docuserie originale di Netflix che ha visto la luce durante il lockdown dovuto all’emergenza Coronavirus, è senza dubbio il prodotto seriale più discusso degli ultimi tempi e ha suscitato le reazioni più disparate, tra pulsioni da cosplayer che sono proliferate negli Stati Uniti senza risparmiare le celebrità (fonte: TMZ) e una mole impressionante di chiacchiericcio online.

Protagonista del racconto è Joe Exotic, redneck omosessuale e poligamo proprietario di uno zoo in Oklahoma che ospita quasi trecento tigri. Questo personaggio bigger than life, portavoce suo (e nostro) malgrado dell’anima white trash dell’America, è il fulcro di un’indagine più ampia che ruota intorno a quanti, negli Stati Uniti, possiedono felini esotici e vi vivono a stretto contatto, incuranti delle conseguenze quasi sempre fatali. Una galleria di personaggi che trovano in questi animali un salvacondotto che fonde insieme esagerazione e avanspettacolo, provocazione nient’affatto docile e bisogno viscerale di guardare in faccia la ferocia. Di esserne, al colmo della prossimità, perfino coccolati e paradossalmente ammansiti, riconducendola a uno status di normalità impossibile (partendo addirittura dalla carica primordiale altrettanto inalienabile che questi animali esercitano).

Abbiamo elencato di seguito i punti di Tiger King, disseminati nell’arco di 7 puntate (più un episodio in forma di talk show uscito a Pasqua con Joel McHale, il comico americano di Community, anch’essa da poco disponibile su Netflix) che ci sono parsi più significativi. Elementi che vanno a comporre una radiografia della proverbiale America profonda (sic), che conferma tutte le nostre convinzioni stereotipate sull’argomento e, al contempo, non manca di elevarle a potenza. Manco a dirlo digrignando i denti e affilando gli artigli.

1. “Not your Average Joe”

Joe Exotic, al secolo Joseph Maldonado-Passage, ci viene presentato fin da subito come qualcosa di più di un semplice “average Joe”, espressione americana volta a indicare in soldoni l’uomo comune, l’americano medio fatto e finito. Joe si vanta del suo taglio alla tedesca, si definisce “gay come una banconota da 3 dollari”, bolla come “bestiola sexy” una delle sue tigri, ha svariati anelli alle orecchie e due mariti, che diventeranno addirittura tre nel corso della serie per vicissitudini su cui è meglio tacere. Eppure, nonostante una moltitudine di eccessi che smacchierebbero qualsiasi leopardo (o forse proprio in virtù di essi), è una maschera in qualche modo archetipica di una certa fetta dell’America - quella dei “bianchi spazzatura” - che abitualmente viene tipizzata, marchiata a fuoco e alla quale si fa spesso il verso, facendola coincidere con l’elettore tipo di Donald Trump.

2. Tre tigri contro tre tigri

Oltre a Joe, sono altri due i personaggi che gli contendono lo scettro da prima donna all’interno dello show (una rivalità sulla quale l’eventuale film di Ryan Murphy con Rob Lowe potrebbe insistere in chiave patinata): si tratta di Bhagavan "Doc" Antle, addestratore di animali di grossa taglia per il cinema che per Joe rappresenta anzitutto un modello imprenditoriale (è anch’egli poligamo e ha gestito diverse mogli come fossero una setta di dubbia entità) e soprattutto dell’animalista Carole Baskin, a capo di Big Cat Rescue, sorta di santuario no-profit nato con l’intento di salvaguardare l’incolumità dei grossi felini. La Baskin intende fermare Joe costi quel che costi, accusandolo di maltrattare le sue amate bestie, ma è un personaggio persino più sordido del protagonista. Casa sua è tappezzata di fantasie leopardate e tigrate, dai divani agli asciugamani passando per la biancheria intima, ha un marito morto in circostanze misteriose e rappresenta l’altra faccia della medaglia delle ossessioni e degli affetti di Joe: il suo contraltare moralizzatore, ordinario, borghese e politicamente corretto. La sua presenza all’interno dello show, a conti fatti, ha un grado di turbamento e una componente di destabilizzazione perfino maggiore. Il suo Big Cat Rescue, alla fine della fiera, coi suoi visitatori invasati e l’alone di fanatismo che lo circonda, non è così dissimile dal parco di Joe, il Greater Wynnewood Exotic Animal Park, e dai suoi avventori pieni di maculate ossessioni. Ed è proprio lei, forse, a fare in definitiva la parte del leone, nei panni, o per meglio dire nelle fauci, di un perverso incrocio tra Cleopatra e Madre Teresa di Calcutta. Per non parlare di quanti affiancano Joe nel suo zoo: una miriade di personalità borderline in grado di comporre un freak show che meriterebbe una stagione a sé, a cominciare dal respingente Jeff Lowe

3. La dimensione performativa

 

Tutta la serie si muove sul crinale tra verosimiglianza e realtà aumentata, a partire dal dato iniziale e finale secondo cui sono presenti più tigri in cattività in America di quante ce ne siano in libertà nel resto del mondo. Joe rispecchia alla perfezione tale vocazione istrionica, visto che ha un'anima da cantante country e le sue ballate dedicate ai felini sono un perfetto punto d’incontro tra folk a stelle e strisce e gusto tamarro dei neomelodici nostrani. I Saw a Tiger, nel frattempo, è diventata una hit su Spotify (anche se a quanto pare la voce non è la sua…), ma Joe ha un’idea performativa di se stesso a tutto tondo: è il re del suo spettacolo personale e quando ha le telecamere addosso cambia completamente (quasi sempre in peggio). Negli anni ha inanellato un numero impressionante di dirette social quotidiane seguite sempre dalle stesse persone ed è attualmente in trattative per condurre uno show radiofonico dal carcere dell’Oklahoma in cui è rinchiuso dal 7 settembre 2018. Joe è stato infatti condannato a 22 anni di galera per abuso e sfruttamento di animali esotici e selvaggi e soprattutto per aver assoldato un sicario per uccidere l’odiata Carole Baskin (anche se Donald Trump, interpellato di recente, non ha escluso una possibile grazia a suo favore: tutto molto bello). Per quanto strano e fanatico possa essere, insomma, è quasi impossibile non appassionarsi alla storia di Joe, come conferma l’audience americana a suo favore: ogni sua apparizione somiglia all’aggiornamento di un reality show in presa diretta.

4. Le campagne elettorali di Joe

Nel Grande Fratello all’insegna del disadattamento che è la vita di Joe con le sue molteplici attività, il tentativo di correre prima come Presidente degli Stati Uniti d’America, tra il serio e il faceto, e poi come governatore dell’Oklahoma, stavolta sul serio, rappresenta l’apice (?) della sua parabola pubblica ma anche il punto di non ritorno della sua icona, tanto da sganciarlo progressivamente dalla realtà e dal legame con le tigri che ha segnato tutta la sua esistenza. L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca ribadisce che tutti - ma proprio tutti, da Kanye West a Oprah Winfrey, senza distinzioni di coloriture politiche - potrebbero ambire a quel ruolo. L’ascesa mediatica di Joe, coacervo malsano di progressismo libertario e conservatorismo para-fascista, è forse il più lampante colpo di coda dell’immaginario post-trumpiano che l’audiovisivo ci abbia regalato dal 2016 a oggi (laddove il cinema, dal canto suo, ha anche legittimamente nicchiato).

5. Il karma

Da definizione Treccani, il karma è un “termine che, nella religione e filosofia indiana, indica il frutto delle azioni compiute da ogni vivente, che influisce sia sulla diversità della rinascita nella vita susseguente, sia sulle gioie e i dolori nel corso di essa; sinon. quindi di «destino», concepito però non come forza arcana e misteriosa, ma come complesso di situazioni che l’uomo si crea mediante il suo operato”. Inutile dire che la fiducia di Joe nel karma, che fa capolino nel finale della serie a misura tanto di meme quanto di commento social e flame a uso e consumo sia degli haters sia dei suoi sostenitori più accesi, fa perfettamente il paio col pragmatismo sul quale il nostro ha impostato la sua vita. Per non parlare poi del valore spirituale delle stesse tigri, considerate sacre in India per la capacità di sovvertire ogni forza malevola e per essere cavalcate dalla dea guerriera Durga durante le sue battaglie. Un ulteriore dettaglio che, soprattutto se letta in chiave sorniona (e come potrebbe essere altrimenti, al termine della visione di Tiger King), non può che amplificare il tasso di cringe di tutta la serie.


Davide Stanzione

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