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Siamo tutti Freud con i problemi degli altri: la recensione della serie tratta dal film di Genovese

Al termine di un mese in cui Netflix e Disney+ (tramite Starz) hanno annunciato di voler incrementare le proprie produzioni originali italiane, il 26 febbraio Amazon Prime Video ha sfornato Tutta colpa di Freud - La serie, tratta dall’omonimo film scritto e diretto da Paolo Genovese nel 2014. 

Prodotta da Lotus e RTI e diretta da Rolando Ravello, la serie comica ripropone le vicende dello psicanalista di mezza età Francesco Taramelli (Claudio Bisio) e delle tre figlie Marta, Sara ed Emma. A fare da sfondo alla trama è Milano, con la sede storica dell’università Statale, le terme, i navigli, i grattacieli di Piazza Gae Aulenti e la vista sul Duomo.


Francesco e le sorelle Taramelli si muovono nel capoluogo meneghino alle prese con affari di cuore che scombinano i loro piani di vita.
La maggiore, Marta (Marta Gastini), laureata in archeologia, perde i fondi per il suo progetto di ricerca. Discutendo con Ettore (Luca Angeletti), titolare di cattedra e suo amante, si lascia prendere dalla rabbia e, tra le grida, arriva a svelare a tutto il dipartimento la loro relazione quinquennale; a causa di questo episodio sarà costretta a lasciare la casa che l'uomo le aveva affittato.
Sara (Caterina Shulha) è alle prese con i preparativi per il matrimonio con Filippo (Valerio Morigi). Tuttavia, l’incontro con la wedding planner, Niki (Lana Vlady), riporterà alla luce i dubbi sul proprio orientamento sessuale, già emersi (e repressi) durante l’adolescenza.
Infine, la giovane aspirante influencer Emma (Demetra Bellina), appena diplomata, decide di trascorrere un anno a Londra (o meglio a Croydon) per migliorare l’inglese. Il destino vuole, però, che in aeroporto la ragazza incontri Claudio (Luca Bizzarri), direttore di un’agenzia milanese specializzata in web marketing, che le propone un colloquio di lavoro.

Ecco, quindi, che proprio quando Francesco si stava preparando ad affrontare la solitudine e il senso di abbandono (che gli provoca attacchi di panico), le tre figliol prodighe fanno ritorno al nido. Oltre a voler sviscerare e risolvere i problemi delle giovani donne, il padre deve imparare a gestire la propria ansia e le questioni irrisolte con la (ex?) moglie Angelica (Magdalena Grochowska) che quasi 15 anni prima ha lasciato la famiglia per lavorare all’estero in una ONG.
Per fortuna, oltre alle figlie, arrivano in soccorso di Francesco l’amico di lunga data Matteo (Massimiliano Tortora), autista romano sulla soglia dei sessant’anni ma ancora giovane dentro, e Anna (Claudia Pandolfi), psichiatra che aiuterà Francesco a ritrovare se stesso.

Visto il successo del soggetto di Genovese e il cast ricco di volti noti e di giovani promesse, i presupposti per un prodotto simpatico e caloroso c’erano tutti. Purtroppo, il risultato fatica a far relazionare lo spettatore ai personaggi, soprattutto a quelli delle tre sorelle.
Marta, Sara ed Emma, figure che sulla carta dovrebbero offrirsi mutuo appoggio nonostante i piccoli diverbi, passano più tempo a giudicare con superiorità la vita altrui che ad affrontare a cuore aperto i propri di dilemmi. Sembrano tutte Freud, ma con i problemi degli altri.


Esemplificativo è il momento in cui il padre si confida con loro in merito ai sentimenti che ha maturato per Anna e puntualmente Marta, appena uscita da una storia di cinque anni con il suo capo, ed Emma, in procinto di iniziarne una con Claudio, lo guardano interdette e si chiedono se non sia inappropriato e poco professionale.

Al di là di qualche momento di genuina complicità, fra le sorelle manca quella sinergia che si ritrova, invece, nel rapporto tra i più “adulti” della serie, Francesco e Matteo. I due poli della coppia, l’adulto responsabile ma insicuro e il sessantenne che cerca di ringiovanirsi con il thai chi o le avventure di una notte, danno vita a dialoghi che funzionano, costellati di teneri battibecchi.
Inoltre, il lavoro interiore compiuto dal personaggio di Bisio lo rende il più approfondito a livello psicologico. Al contrario, nell’arco di otto episodi, Marta, Sara ed Emma rimangono vicine, se non ferme, ai rispettivi stereotipi: la brava ragazza un po’ impacciata e inguaribilmente romantica, la bisessuale confusa e la nativa digitale ossessionata dal web.

In particolare, gli ultimi due stereotipi necessitano di essere analizzati con più attenzione.
Inizialmente, il percorso di Sara sembra promettente per due motivi principali. Innanzitutto, nella serie è stata ribaltata l’idea originale di Genovese per cui, nel film, il personaggio dichiaratamente omosessuale di Anna Foglietta decideva di chiudere con le donne e di “diventare” eterosessuale. Una narrazione problematica che suona più come un feticcio per far ridere (e non solo) la controparte maschile, che come un tentativo di creare un personaggio queer veritiero e credibile. Al contrario, nello show, la Sara di Shulha ha già avuto esperienze con persone dello stesso sesso, quindi l’incontro con Niki, più che una folgorazione sulla via di Damasco, rappresenta l’occasione di uscire allo scoperto e affermare con orgoglio la propria sessualità. In secondo luogo, i due personaggi femminili presentano un’ottima chimica, risultano credibili nei rispettivi orientamenti sessuali e ciò, soprattutto nel panorama italiano, non è da dare per scontato.
Purtroppo però, dopo l’episodio del matrimonio (fallito) con Filippo, che funge da spartiacque per tutta la serie, il personaggio di Sara perde la connessione emotiva e fisica che aveva costruito con Niki. Mentre quest’ultima la supporta e le offre momenti di tranquillità e di sollievo, Sara non le rivolge un solo pensiero affettuoso, come se non l’avesse scelta e fosse, invece, costretta ad accontentarsi di lei dal momento che Filippo l’ha lasciata dopo averle sorprese a baciarsi. Qui non si mette in dubbio che una storia di questo tipo possa accadere ma, in un contesto come quello italiano in cui le storie queer valide scarseggiano (soprattutto al femminile), una rappresentazione positiva e coraggiosa che funga da apripista sarebbe stata di vitale importanza.

L’analisi del personaggio di Emma, invece, permette di affrontare una tematica spesso presente nelle opere italiane: l’avvento dei social. Per quanto sia lodevole l’aver mostrato questo aspetto della gioventù di oggi, l’utilizzo che il personaggio di Bellina fa di tali strumenti è estremamente riduttivo e non mette in evidenza le innumerevoli potenzialità del web che spingono sempre più giovani a voler intraprendere una carriera in questo ambito. Inoltre, ciò che risulta a dir poco fastidioso è il modo in cui gli altri personaggi si rivolgono a Emma a proposito della sua passione e del suo lavoro. La sminuiscono, la vedono alla stregua di una bambina che si intrattiene con i giocattoli e trattano i cellulari come degli “aggeggi”, come dei “cosi”. Oltre a non rappresentare più a pieno la realtà di oggi, questa visione suona ottusa, retrograda e ormai superata.


Per quanto la serie mantenga un tono leggero e piacevole, fallisce nel suo intento di mostrare la verità e la profondità dello sguardo e dell’esperienza delle donne protagoniste. A farla da padrona sono i problemi esistenziali di Bisio e l’ottimo assortimento di personaggi secondari. Per quanto non sia ancora trapelato nulla su una possibile seconda stagione, questa potrebbe essere un’occasione per approfondire le figure delle sorelle e creare tra i personaggi rapporti che siano maggiormente basati sull’ascolto, sul supporto e sul rispetto.

Lucia Savio

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