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Uno, nessuno, cento Ripley
Tom Ripley, la creatura letteraria che Patricia Highsmith ha ideato nel 1955, ha avuto tante incarnazioni cinematografiche quanto il James Bond di Ian Fleming. L’ultima è anche il suo esordio televisivo (se ignoriamo un ormai irreperibile episodio della serie antologica anni ’50 Studio One della CBS) e nasce dalla fucina di Netflix. Ripley è il nuovo serial dedicato all’omonimo personaggio che consta, per ora, di una stagione di 8 episodi che mettono in scena il primo dei quattro romanzi della Highsmith, Il talento di mister Ripley. I panni del machiavellico truffatore e falsario vengono ora indossati dall’irlandese Andrew Scott, scoperto nel ruolo di Moriarty in Sherlock e da poco ammirato nel bellissimo Estranei. Prima di Scott però la pletora di interpreti che ha vestito i mutevoli abiti del personaggio è tanto illustre quanto variopinta. Al contrario dei Bond, che più o meno hanno sempre rispettato alcune caratteristiche fisiche specifiche (la variazione più temeraria è stata il biondo dei capelli di Daniel Craig), i volti, i corpi e talvolta anche la personalità dei vari Ripley hanno sempre avuto qualità eterogenee tra loro, quasi a rispecchiare una delle caratteristiche principali del personaggio: il talento proteiforme nell’uso di maschere e nel mutare identità. Quale di questi è il più fedele all’originale? Esiste veramente un originale, un Ripley autentico? Difficile dirlo, forse impossibile.

Il primo, nel 1960, a distanza di soli 5 anni dal romanzo di fondazione, è un Alain Delon in stato di grazia che, non ancora reso celebre da Rocco e i suoi fratelli, è protagonista di Delitto in pieno sole di René Clément. Il film vive di un mito pop che oggi non è invecchiato egregiamente. La sceneggiatura è spesso sbrigativa, alcuni dialoghi estremamente semplificati e la tensione del thriller si vive solo nell’ultima parte. Quello che rimane però sono alcune immagini iconiche che ancora oggi brillano di vita propria: Alain Delon a petto nudo che governa la barca a vela tenendo stretto il timone è quasi una visione estatica.

Il 1977 è il turno di L’amico americano di Wim Wenders, il meno fedele ma allo stesso tempo il miglior risultato cinematografico. Se Delitto in pieno sole è oggi da considerare un cult per intenditori, L’amico americano è invece ritenuto unanimemente un classico del cinema. Il Ripley nevrotico e insidioso di Dennis Hopper lascia il segno, ma ancora più memorabile è il dimesso e represso Bruno Ganz in uno dei picchi della sua carriera. Film questo che, al contrario di quello di Clément, ancora oggi mantiene un fascino misterioso e naviga in territori umani con un’ambiguità estremamente ammaliante. 

Bisogna aspettare il 1999 per avere la trasposizione più fedele e allo stesso tempo più celebre con Il talento di mister Ripley di Anthony Minghella. Questa pellicola rimane la pietra di paragone per ogni successiva opera tratta dai romanzi della Highsmith. Matt Damon è il Tom Ripley più tormentato, sessualmente esposto e malignamente avido, Jude Law spesso gli ruba la scena in un ruolo che l’ha cristallizzato nella memoria collettiva e anche il compianto Philip Seymour Hoffman dà il meglio in una parte piccola ma fondamentale. La messa in scena è sfarzosa e minuziosa, gli anni ‘60 in Italia non sono mai stati così chic e l’intrigo mantiene un ritmo crescente fino alla conclusione. 5 nomination agli Oscar.

Seguono i due film più modesti e meno rilevanti della serie: Il gioco di Ripley (2002) di Liliana Cavani e Il ritorno di Mr. Ripley (2005) di Roger Spottiswoode. Se il primo, nonostante una certa goffaggine, regala una valida prova di John Malkovich (il più elegante tra i Ripley), del secondo, con Barry Pepper, rimane ben poco se non qualche divertissement. 

Ecco quindi che nel 2024 viene realizzata una nuova e forse definitiva interpretazione di Tom Ripley. L’operazione di Netflix è gigantesca e mette a disposizione mezzi sconfinati. L’intento è di restare molto fedeli all’opera originale e allo stesso tempo di mettere in scena uno stile nostalgico e vintage che ricrei gli anni ‘60. Ecco che, grazie alle fotografia in bianco e nero di Robert Elswit e la regia estremamente calibrata di Steven Zaillian, ogni inquadratura è realizzata come se fosse un’istantanea dell’epoca. La ricostruzione storica è anche più dettagliata e meticolosa del film di Minghella, le location italiane vengono sfruttate al massimo della loro potenzialità estetica, la sceneggiatura si prende i suoi tempi e viene accompagnata da una narrazione dal ritmo spesso disteso. Peccato che tutta questa architettura calibrata al millimetro manchi di una vera e propria anima. Le immagini creano sicuramente un impatto visivo notevole ma la loro forma perfetta difetta di un trasposto emotivo. Ne risulta una storia raccontata con la distanza di un fatto di cronaca dove invece sarebbe stato necessario un approccio più romantico e coinvolgente. A lungo andare questa freddezza crea un distacco tale che la partecipazione dello spettatore viene meno. Il bianco e nero poi, oltre ad avere un anacronistico aspetto digitale (perché non usare la pellicola?), appesantisce tutta la narrazione, facendo sembrare la storia di Ripley più un’opera drammatica che un brillante thriller dalla costante tensione. Subentra quindi la nostalgia per lo splendente technicolor di Delitto in pieno sole e per i patinati colori  di Il talento di Mr Ripley. Andrew Scott infine, è un interprete sicuramente valido, basterebbe pensare al suo mefistofelico Moriarty per immaginarlo perfetto per Ripley, eppure per la maggior parte degli episodi ha un tono quasi dimesso, mai veramente seducente e conturbante, poco diabolico e realmente machiavellico solo nel finale (il migliore degli 8 episodi).

Il progetto però sembra voler procedere con successive stagioni, probabilmente portando in scena anche gli altri romanzi della Highsmith. È probabile quindi che il Tom Ripley di Andrew Scott e di Netflix “will return”, come si direbbe al termine di un qualsiasi film di 007. È il Tom Ripley definitivo? Quello originale? Difficile dirlo, forse impossibile.


Cesare Bisantis
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