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"Westworld" non è più "Westworld": le nostre impressioni sulla terza stagione

Ne abbiamo fatta di strada dai saloon western del parco della Delos all’attuale mondo futuristico del 2058.



Molti colpi di scena e molte rivelazioni ci hanno stupito e hanno spesso rimescolato le carte, molte storyline sono state concluse ma altrettante devono ancora essere scritte. Ed è proprio da dove era terminata la seconda stagione che riparte la terza di Westworld, riprendendo le fila di alcuni personaggi principali dello show, come Dolores, Maeve e Bernard, ma aggiungendo al racconto anche un nuovo protagonista, Caleb, e un mefistofelico villain, Serac.


Dopo il sanguinoso massacro avvenuto nei parchi della Delos, l’intero progetto è stato chiuso. L’azione quindi si sposta definitivamente nel mondo reale. La realtà di questo XXI secolo è controllata da Engerraund Serac, un potente magnate francese creatore di Rehoboam, una super intelligenza artificiale in grado, attraverso una serie di algoritmi, di prevedere il futuro di ogni essere umano. Lo scopo di Serac è quello di poter controllare l’andamento dell’umanità prevedendo qualsiasi crisi, di allontanare i soggetti ritenuti pericolosi per delle azioni che commetteranno solo in futuro e di annullare così il libero arbitrio. Al polo opposto, invece, ritorna Dolores Abernathy (Evan Rachel Wood), fuggita dal parco della Delos con un manipolo di altri “hosts” e intenta a ribaltare i piani di Serac per instaurare un nuovo ordine mondiale dominato dagli androidi. Per riuscire nel suo intento arruolerà Caleb Nichols, un ex militare ora ridotto a operaio e distrutto da una vita di tragedie. Anche Serac, però, si aggiudica l’aiuto di una potente alleata, la host Maeve (Thandie Newton), che corrompe grazie a un ricatto.
Tra i due fuochi, poi, si ritrovano il redivivo Bernard (Jeffrey Wright) e l’ex proprietario della Delos William (Ed Harris), opposti negli intenti ma accomunati dalla necessità di dover ripartire da un nuovo inizio.



Un cambio radicale e repentino questo della terza stagione di Westworld, non solo nelle ambientazioni e nei personaggi, ma anche nelle intenzioni e nello svolgimento del racconto. Sembra che i creatori, dopo aver dato vita a uno show televisivo rompicapo, vogliano ora appiattire il tutto a una maggiore linearità, aggiungendo spesso dei toni action. Quasi inutile dire che molto del fascino si perde.


I due nuovi protagonisti, nonostante una scelta di cast eccellente, non convincono: Caleb, interpretato dalla star di Breaking Bad Aaron Paul, non riesce a coinvolgere mai veramente nei suoi drammi personali; d’altro canto, il villain Serac, incarnato dal grande Vincent Cassel, regala solo il fascino del suo interprete ma, nelle intenzioni, rimane un personaggio stereotipato e poco tridimensionale.
Vorrebbe recuperare il ruolo di carismatico deus ex machina che fu di Anthony Hopkins ma non si avvicina minimamente a quella profondità. Inoltre, vengono poco sfruttati i personaggi più sfaccettati di Bernard e William, ridotti ormai a svolgere ruoli di contorno sullo sfondo delle vicende.



I temi etici e filosofici che hanno sempre aperto molti dibattiti e reso unica la serie qui si riducono e perdono il potente fascino di continua incertezza che comunicavano nei precedenti cicli. La vita reale continuamente messa in discussione, la differenza tra realtà e finzione che spesso si assottigliava per poi essere nuovamente sconvolta, tutto ciò si riduce a un’unica riflessione legata al libero arbitrio.
“Abbiamo sostituito l’ordine al caos” sostiene Serac. È legittimo annichilire qualsiasi tipo di anomalia ma allo stesso tempo limitare la libertà di alcuni per il controllo di chi è ritenuto sano? C’è chi poi si chiederà se è un mondo giusto uno in cui l’intelligenza è riservata solo agli umani e, addirittura, a un gruppo ristretto di essi. Se so che inevitabilmente nella vita compirò delle scelte sbagliate, è giusto rischiare sperando che il destino possa essere modificato? Dibattito sicuramente interessante questo, ma molto più semplicistico rispetto ai ragionamenti a cui ci avevano abituato i creatori Jonathan Nolan e Lisa Joy.


Si aggiunga, poi, un ritmo degli episodi altalenante, un freddezza da parte dei personaggi che non ci permette di parteggiare per nessuno, un’ambientazione futuristica che sa di già visto e così, in conclusione, è facile riconoscere che non siamo più ai livelli delle precedenti stagioni, soprattutto della prima, che fu un gioiello unico e inarrivabile nel panorama delle serie televisive.



Peccato, perché la realizzazione e la messa in scena sono eccezionali, come al solito, e la qualità del prodotto rimane comunque alta. Sicuramente questa stagione dividerà molti fan nell'attesa di scoprire dove porterà la quarta, già confermata.


Westworld non è più Westworld, perché questo mondo del selvaggio ovest del titolo non esiste più.


Ora rimane solo una realtà caotica ma prevedibile e stereotipata. Resta un mondo non così diverso dal nostro, inquietante forse, ma riconoscibile, più simile a un videogioco che a una complessa realtà dove la coscienza umana perdeva i suoi tratti e dove i concetti di identità e di razionalità erano in continuo mutamento.


Cesare Bisantis

Maximal Interjector
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