"2001: Odissea nello spazio", analisi di 5 film di Stanley Kubrick: le vostre analisi!
19/10/2021
Durante il webinar dedicato all'analisi di 2001: Odissea nello spazio, il primo dei cinque incontri dedicati ai film di Stanley Kubrick, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi su un elemento emblematico di questo film epocale: ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!

Cinema e scacchi. HAL 9000 precursore dei motori scacchistici
di Alessandro B.

Scacchiere e frammenti di partite di scacchi compaiono in decine di film e serie TV, ma fino a La regina degli scacchi (2020) non avevano mai avuto un ruolo centrale, probabilmente perché il gioco era ritenuto troppo complesso per il grande pubblico.
Le sequenze più note sono certamente la partita tra Antonius Block e la Morte ne Il settimo sigillo (1957), dove purtroppo la disposizione di pezzi e scacchiera è caratterizzata da gravi errori, quella tra Frank Poole e HAL 9000 in 2001: Odissea nello spazio (1968) e quella tra J.F.Sebastian con Roy contro Tyrell in Blade Runner (1982), queste ultime due seguono il finale di vere partite giocate in passato.
Stanley Kubrick è stato un grande appassionato ed un forte giocatore: da ragazzo, assieme all'attività di fotografo, si guadagnava da vivere giocando per soldi nei parchi e nei circoli di New York; scacchiere compaiono in Rapina a mano armata (1956) e Lolita (1962), pavimenti a scacchiera nel finale di 2001: Odissea nello spazio (anche se tutto bianco), in Orizzonti di gloria (1957) e Arancia meccanica (1971). Esistono dichiarazioni del regista dove paragona scacchi e cinema e ci sono aneddoti di quando non convinto da una sequenza interrompeva la lavorazione e cominciava a giocare anche per ore con chiunque volesse farlo; possiamo trovare numerose foto di questo soprattutto sul set di Dottor Stranamore… (1964).
La partita mostrata in 2001: Odissea nello spazio fu realmente giocata nel 1913, HAL 9000 compie una piccola inesattezza mostrando la sequenza di matto finale come l’unica continuazione possibile; in realtà l’avversario potrebbe sopravvivere per qualche mossa in più, anche se la sconfitta è inevitabile. Ciò potrebbe essere uno dei primi segni del suo disorientamento che porterà poi al sabotaggio della missione durante il film.
Assieme all’impiego delle videocomunicazioni nella vita quotidiana, l’utilizzo massiccio di potenti computer nel gioco degli scacchi è sicuramente la principale profezia che si è avverata nel film di Kubrick, alla luce di quanto si è verificato nei decenni successivi.
I primi algoritmi che cercano di replicare il gioco degli scacchi compaiono con la nascita dell’informatica, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50, ad opera soprattutto di Alan Turing, ma il primo programma in grado di giocare, sia pure con risultati mediocri, è di fine anni ’60, proprio all’epoca di 2001: Odissea nello spazio. Bisognerà aspettare la fine del millennio per avere una sfida equilibrata tra uomo e macchina: nel febbraio 1996 il campione del mondo in carica Gary Kasparov affronta il Computer IBM Deep Blue, riuscendo a vincere 4 – 2, ma proprio quelle due sconfitte suscitano clamore e nella rivincita dell’anno successivo Deep Blue riesce addirittura a vincere di misura, costringendo Kasparov a commettere errori banali e giocate spericolate.
Negli anni successivi la potenza di calcolo delle macchine cresce a dismisura, così come la possibilità di accedervi per il grande pubblico. Da allora i computer si sfidano tra loro in interminabili ed equilibratissimi tornei dove sono necessarie oltre 100 partite per decretare un vincitore. Qualsiasi programma serio installato su uno smartphone è ormai in grado di battere un Grande Maestro.
In questi ultimi anni il motore scacchistico è diventato il supporto indispensabile per giocatori di ogni livello: i principianti lo utilizzano soprattutto per memorizzare le fasi iniziali ed i finali, dove le situazioni tendono a ripetersi, i giocatori più esperti per analizzare le proprie partite alla ricerca di errori ed imprecisioni, i campioni per cercare “novità teoriche”, cioè mosse mai giocate prima in partita che possono mettere in difficoltà anche gli avversari più forti.
Proprio questo ricorso intenso all’informatica è considerato la causa principale di un gioco sempre più piatto e ripetitivo al più alto livello; senza dover tornare al periodo romantico di fine Ottocento-inizio Novecento, sembrano mancare giocatori come Bobby Fischer o Gary Kasparov, che pure preparatissimi, erano in grado di vincere con combinazioni originali e sorprendenti. Basti pensare che il Campionato del Mondo 2018 tra l’italo-americano Fabiano Caruana ed il norvegese Magnus Carlsen si è concluso con 12 pareggi su 12 partite e sono stati necessari degli spareggi con un tempo di riflessione molto più breve (e quindi minore possibilità di calcolo) per confermare la vittoria di Carlsen.
Ormai i computer scacchistici tendono ad essere la migliore versione possibile dell’uomo, contenendo un repertorio completo di tutte le partite mai giocate ed essendo in grado di analizzare le singole posizioni con la capacità di calcolo di cui dispongono. Il passaggio successivo della storia riguarderà solo le macchine e lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale: il progetto più avanzato è AlphaZero, controllato da Google, che si basa sul concetto di machine learning e sulla tecnologia delle reti neurali. Per quanto riguarda gli scacchi, si è semplicemente fatto giocare AlphaZero contro se stesso, insegnandogli solo le regole base. In poche ore può giocare fino a 44 milioni di partite: come un bambino, che impara da zero ma che è capace di ricordare a memoria ogni mossa che abbia mai giocato. AlphaZero funziona diversamente dai motori scacchistici tradizionali, che eseguono lunghi calcoli finché non trovano la mossa corretta, ma si basa esclusivamente sulla propria esperienza senza ricorrere al database di milioni di partite giocate da esseri umani ed ha sviluppato uno stile aggressivo e creativo. La partita è appena iniziata, ma questo potrebbe essere il prossimo film di Steven Spielberg.

2001: Odissea nello Spazio - I ricordi e le emozioni
di Maria Serena Pasinetti

I grandi maestri come Stanley Kubrick ci presentano i loro capolavori e ci sfidano a interpretarli, più o meno consapevolmente.
Ed eccomi qui di fronte a questo film assolutamente unico e straordinario come 2001:Odissea nello Spazio a offrire qualche mia piccola osservazione in mezzo a una quantità di interpretazioni molto più qualificate della mia, ma tant’è stiamo al gioco e giochiamo. 
Cominciamo con i ricordi, quei ricordi che anche Hal, la macchina, possiede, che affiorano con il suo spegnersi (la vecchiaia) e che la umanizzano quando racconta quando è stata costruita, chi l’ha costruita, la canzoncina che cantava da …piccola.
Per quanto mi riguarda ricordo che la prima volta in cui vidi Odissea al cinema alla sua uscita in sala fui colpita da un film di cui capii pochissimo, ma rimasi emozionata (sì le emozioni) dalle scene nello spazio e dalla musica. Ne rimasi così presa da ritornare a rivederlo dopo pochi giorni con alcune mie amiche, spinte dalla mia insistenza. Un flop totale, si annoiarono, mi chiesero che cosa avessi trovato nel film. Sinceramente non seppi rispondere, dissi solo che il film mi aveva fatto sentire delle emozioni.
Nella stessa ricerca del significato del monolito, cercandone un’interpretazione, mi ha colpito un’osservazione del maestro a proposito di questa straordinaria essenza “la verità di una cosa sta nel sentirla non nel pensarla.”
Una spinta, forse, a non interpretare ma a prendere il monolito per quello che è, che risuona in ognuno di noi, nel cuore più che nel cervello, un momento emotivo.
In questa affascinante ricerca dei significati ecco intervenire Andrea Chimento che collega nel finale del film lo sguardo in macchina del feto(?) con l’iniziale sguardo in macchina di Alex in Arancia Meccanica, uscito tre anni dopo 2001. Un altro spunto affascinante. 
Lo sguardo è veramente straordinario, nella sua tenerezza che colpisce nel profondo. E allora non è forse meglio prendere questo sguardo per la ricchezza di emozioni che ci suscita piuttosto che cervelloticamente cercare una “spiegazione” più o meno razionale per cercare di “capire”?
Come sosteneva anche, a volte scherzosamente, Kubrick è difficile “capire” un film alla prima visione. Per questo lo vediamo e rivediamo. Ma a volte, io aggiungo, per capire qualcosa forse non è necessario capire con la testa. “I can feel it”, dice Hal, la macchina.
Per questo penso che la grandezza dei film come Odissea consista nell’essere sempre attuali nella loro capacità di emozionarti, a seconda del momento in cui lo vedi, momento psicologico o temporale che sia.
L’ultima volta in cui l’ho visto, al cinema, nel 2018, restaurato, io diciamo “diversamente giovane”, ma non il film, ho riprovato ancora emozioni forti questa volta nel momento della solitudine dell’interprete invecchiato.
E credo che anche Kubrick come pochi altri grandi maestri abbia saputo parlare egregiamente della vecchiaia e della sua solitudine, in questo caso in uno spazio prospettivamente asettico come quello dell’astronave.
Anche questa volta ricordi, emozioni, vecchiaia, un tutt’uno in un capolavoro eterno di un genio come Stanley Kubrick.

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