25 anni di Crash: uno schianto di perverso erotismo
18/05/2021
Il 17 maggio di venticinque anni fa Crash (1996) veniva presentato per la prima volta al Festival di Cannes. Film estremamente controverso, come d’altronde fu, al momento della pubblicazione, l’omonimo libro di James Ballard. L’opera dello scrittore anticipò il movimento cyberpunk, andando a costruire un racconto deviante, perfettamente collocato tra la fine dell’era industriale e l’inizio di quella tecnologica. Il regista David Cronenberg mantiene questa atmosfera aliena e straniante: i personaggi che conosciamo all’inizio della storia conducono vite vuote e prive di emozioni, sono figure spersonalizzate ed essenzialmente apatiche che spesso rifuggono il contatto visivo durante le conversazioni, rivolgendo piuttosto lo sguardo verso il fuori campo.

L’algida scrittura del racconto, permeata da una sensualità clinica e anatomica, rendeva veramente difficile anche solo ipotizzarne una trasposizione efficace. Cronenberg venne infatti sconsigliato più volte dal girare un film sull’opera di Ballard e la minacciosa nube di una carriera stroncata venne usata come monito. Ovviamente il regista canadese non diede ascolto a questi tentativi di dissuasione e la sua opera venne così accolta da prevedibili polemiche: si parlò di pornografia, oscenità e devianza, tutti appellativi che però non incisero sul pensiero dei giudici che premiarono il film con il premio speciale della giuria.

Nel film di Cronenberg non ritroviamo la spettacolarizzazione della violenza che dilagò tra la popolazione americana dopo l’attentato a Kennedy: non vengono infatti utilizzati rallenti per enfatizzare gli incidenti, ma si cerca piuttosto di concentrarsi sull’immediatezza dell’azione. Il film rappresenta infatti uno degli ultimi esemplari dell’era pre-rivoluzione digitale, la concretezza e la tangibilità di ogni immagine che vediamo contribuisce al fascino seduttivo di cui si veste l’intera opera. A differenza dello scritto di partenza, Cronenberg riesce a costruire un film estremamente sensuale, in grado di distaccarsi dalla gelida apatia del quotidiano proprio grazie a questo processo di trasformazione verso cui l’uomo è proiettato. L’incidente ha effetto fertilizzante e non distruttivo: la trasformazione scaturita da una forza creativa spinge l’essere umano verso una nuova percezione di sé. Non c’è più spazio per etica e moralità, come d'altronde è privo di giudizio lo sguardo del regista.   

L’auto, sposando in pieno quella che era la cultura di fine secolo, diventa l’estensione del corpo e della è personalità dei nostri personaggi. L’unione tra carne e metallo acquista sempre più importanza e le ferite, ora dei corpi ora della carrozzeria, vengono celebrate e adornate da una densa carica erotica. Questa trasformazione diventa ancor più evidente nel momento in cui le cicatrici vengono rifinite con tatuaggi che omaggiano e richiamano la macchina. Un’opera seducente ed estremamente perversa, capace di mettere in luce le nostre più scabrose ferite.




Simone Manciulli

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