A Chiara di Jonas Carpignano trionfa allo Zurigo Film Festival
04/10/2021
A Chiara di Jonas Carpignano ha vinto il premio come miglior film alla diciassettesima edizione dello Zurigo Film Festival. La giuria, presieduta da Daniel Bruhl e composta dalla regista Stephanie Chuat, dall'ex presidente della Berlinale Dieter Kosslick e dal produttore Andrea Cornwell, ha deciso di assegnare il riconoscimento all'opera di Carpignano con la seguente motivazione: «Siamo stati travolti dalla rilettura moderna della tradizione neorealista italiana, dall'uso eccezionale della musica e del sound design e dalle eccezionali performance di Swamy Rotolo e della sua famiglia, al loro debutto cinematografico. Il film è un capolavoro».

Qui di seguito la nostra recensione del film, che già a luglio aveva trionfato alla Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes.
Si festeggia il 18esimo compleanno di Giulia (Grecia Rotolo), figlia maggiore di una famiglia di Gioia Tauro. Sua sorella Chiara (Swamy Rotolo) ha quindici anni ed è in un momento importante dell’adolescenza. Da lì a poco suo padre Claudio (Claudio Rotolo), interno al mondo delle cosche della ‘Ndrangheta locale, si sottrae all’arresto e diventa latitante: sarà l’inizio per la ragazza di eventi e interrogativi ancora più complicati e dolorosi.
Jonas Carpignano chiude la sua personale trilogia dopo Mediterranea (2015) e A Ciambra (2017), tornando nuovamente a girare nella località calabrese di Gioia Tauro, dove nel frattempo è anche andato a vivere. La protagonista, stavolta, è una giovanissima ragazza, della quale ci vengono mostrate con purezza di sguardo le traversie ma anche la quotidianità tanto grigia quanto vitale, costellata da sogni e bisogni intrappolati in una terra non facile e in una comunità lacerata e piena di contraddizioni dolorose. Girato in sequenza e svelando agli attori solo le loro battute e non quelle degli altri interpreti, A Chiara evidenzia anche, pur nelle nelle inalienabili pulsioni di gioventù di fondo, la maturità espressiva crescente e sempre più rifinita di Carpignano, attento a valorizzare gli stati d’animo dei personaggi e ad esaltarne per immagini i sentimenti: la regia spazia da momenti più isolati, estatici e di slancio pittorico a tantissime sequenze in cui sono i movimenti di macchina, veicolati da una camera a mano tanto mobile e febbrile quanto pudica e il meno ingombrante possibile, a scandire la temperatura emotiva di ciò che si consuma in scena tra selfie, musica, dialoghi aspri e credibili e frammenti di vita inseriti senza alcuna frizione in un più ampio disegno di finzione. Nonostante la parabola malavitosa alla base della storia sia in verità piuttosto convenzionale e già vista in ogni suo sviluppo, in A Chiara a contare è soprattutto il metodo di lavoro con gli attori non professionisti, quasi tutti impeccabili e chiamati dal cineasta a connettere le proprie esperienze di vita con quelle dei rispettivi personaggi per non disperdere fragranza e urgenza poetica. Il collegamento col precedente A Ciambra è garantito dall’apparizione in scena di Pio Amato, protagonista del lungometraggio di quattro anni prima e notevolmente cresciuto nel frattempo, mentre la protagonista ruba la scena recitando con disarmante senso di verità e restituendo tutta la ribelle riottosità e tendenza all’auto-determinazione di Chiara, che chiaramente non può che avere Antoine Doinel come modello d’ispirazione “ideale”. Particolarmente significative, tra i tanti momenti, le sequenze della feste in apertura e in chiusura, che sembrano umilmente fare il verso alla sensibilità barocca di quelle de Il padrino di Coppola declinandole al presente, mentre il finale si concede una nota di malinconia nella (mancata) messa a fuoco di una corsa verso il futuro, ricorrendo a sfocature ed energie che possono facilmente commuovere. La colonna sonora, piena di canzoni rap e trap, spazia da brani come Baby di Sfera Ebbasta & J Balvin e Voce di Madame.

Qui di seguito la nostra recensione del film, che già a luglio aveva trionfato alla Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes.
Si festeggia il 18esimo compleanno di Giulia (Grecia Rotolo), figlia maggiore di una famiglia di Gioia Tauro. Sua sorella Chiara (Swamy Rotolo) ha quindici anni ed è in un momento importante dell’adolescenza. Da lì a poco suo padre Claudio (Claudio Rotolo), interno al mondo delle cosche della ‘Ndrangheta locale, si sottrae all’arresto e diventa latitante: sarà l’inizio per la ragazza di eventi e interrogativi ancora più complicati e dolorosi.
Jonas Carpignano chiude la sua personale trilogia dopo Mediterranea (2015) e A Ciambra (2017), tornando nuovamente a girare nella località calabrese di Gioia Tauro, dove nel frattempo è anche andato a vivere. La protagonista, stavolta, è una giovanissima ragazza, della quale ci vengono mostrate con purezza di sguardo le traversie ma anche la quotidianità tanto grigia quanto vitale, costellata da sogni e bisogni intrappolati in una terra non facile e in una comunità lacerata e piena di contraddizioni dolorose. Girato in sequenza e svelando agli attori solo le loro battute e non quelle degli altri interpreti, A Chiara evidenzia anche, pur nelle nelle inalienabili pulsioni di gioventù di fondo, la maturità espressiva crescente e sempre più rifinita di Carpignano, attento a valorizzare gli stati d’animo dei personaggi e ad esaltarne per immagini i sentimenti: la regia spazia da momenti più isolati, estatici e di slancio pittorico a tantissime sequenze in cui sono i movimenti di macchina, veicolati da una camera a mano tanto mobile e febbrile quanto pudica e il meno ingombrante possibile, a scandire la temperatura emotiva di ciò che si consuma in scena tra selfie, musica, dialoghi aspri e credibili e frammenti di vita inseriti senza alcuna frizione in un più ampio disegno di finzione. Nonostante la parabola malavitosa alla base della storia sia in verità piuttosto convenzionale e già vista in ogni suo sviluppo, in A Chiara a contare è soprattutto il metodo di lavoro con gli attori non professionisti, quasi tutti impeccabili e chiamati dal cineasta a connettere le proprie esperienze di vita con quelle dei rispettivi personaggi per non disperdere fragranza e urgenza poetica. Il collegamento col precedente A Ciambra è garantito dall’apparizione in scena di Pio Amato, protagonista del lungometraggio di quattro anni prima e notevolmente cresciuto nel frattempo, mentre la protagonista ruba la scena recitando con disarmante senso di verità e restituendo tutta la ribelle riottosità e tendenza all’auto-determinazione di Chiara, che chiaramente non può che avere Antoine Doinel come modello d’ispirazione “ideale”. Particolarmente significative, tra i tanti momenti, le sequenze della feste in apertura e in chiusura, che sembrano umilmente fare il verso alla sensibilità barocca di quelle de Il padrino di Coppola declinandole al presente, mentre il finale si concede una nota di malinconia nella (mancata) messa a fuoco di una corsa verso il futuro, ricorrendo a sfocature ed energie che possono facilmente commuovere. La colonna sonora, piena di canzoni rap e trap, spazia da brani come Baby di Sfera Ebbasta & J Balvin e Voce di Madame.