Analisi di Dov'è il mio corpo? - Frammenti di un'identità negata
22/04/2025
Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo questa analisi di Dov'è il mio corpo?, scritta da Anita Sala, studentessa del Master MICA. 


“Je suis là”, “io sono qui”, una scritta che appare in vernice bianca sul bordo di un palazzo. Sopra, una mano: sfocata, piccola, ma presente. Sembrerebbe un messaggio anonimo lasciato sul muro, ma in realtà è un atto di presenza, una rivendicazione esistenziale. In Dov’è il mio corpo? – J’ai perdu mon corps (2019) di Jérémy Clapin, rivisitazione del romanzo Happy Hand di Guillaume Laurant, questa scritta diventa una chiave simbolica per leggere l’intero film: una voce muta che cerca di affermarsi nel rumore della città e del mondo. La mano, frammento del corpo, cerca Naoufel. La separazione fisica diventa metafora di frattura identitaria. Clapin, attraverso l’uso di uno stile narrativo frammentato, che intreccia tre linee temporali, e attraverso un linguaggio sensoriale che riduce al minimo il dialogo, ritrae un individuo alienato che reclama il diritto di essere visto. È una condizione comune nella società raccontata nel cinema contemporaneo.

Il film oscilla tra due registri narrativi apparentemente opposti: da una parte una dimensione quasi fiabesca, sospesa, che richiama il cinema del passato, legata anche alla scelta dell’uso dell’animazione; dall’altra, una componente più cruda, realistica, profondamente legata all’attualità. Naoufel incarna questa ambivalenza e si colloca idealmente tra due figure cinematografiche molto diverse tra loro per epoca e tono: Edward di Edward mani di forbice (1990) e Anora di Anora (2024). La sua identità è segnata da una scissione che lo rende un punto di connessione tra queste due figure, portando con sé elementi di entrambi senza appartenere pienamente a nessuno dei due mondi. Come loro, è escluso, in conflitto con il proprio corpo, intrappolato in un contesto che lo marginalizza. Non cercano una ricomposizione, ma accettano la frammentazione come condizione di esistenza. L’uso dell’animazione per raccontare una storia cruda e drammatica come questa enfatizza ulteriormente il senso di estraneità del protagonista. L’animazione accentua il suo sentirsi fuori posto, in una realtà “surreale”, sottolineando la sua condizione di outsider in un contesto che sembra non accorgersi di lui. La mano recisa diventa simbolo di una perdita più ampia: dei genitori, dell’infanzia, dell’identità. Anche Edward, con le mani-forbici, è segnato nella carne e nello spirito, incapace di integrarsi. I protagonisti portano sul corpo la traccia dell’anomalia, vivono in ambienti che li osservano con sospetto, senza empatia. Non tentano di ricostruire, ma di vivere nonostante la mancanza. L’identità diventa frammento, corpo e segno della difficoltà d’integrazione. Come Anora ed Edward, anche Naoufel devia la traiettoria della propria vita: la frammentazione diventa il mezzo per ritrovarsi.

"Je suis là", quindi, non è solo una scritta sul muro, ma una dichiarazione di esistenza. È il segno tangibile di un’identità che si rifiuta di scomparire, un’affermazione di presenza nonostante la frammentazione e l’invisibilità. La mano, separata da corpo ma ancora animata da un impulso vitale, si lancia dal palazzo per raggiungere Naoufel. È un gesto di resistenza, un’affermazione dell’essere. 

L’identità di Naoufel si riflette nella mano e in un dettaglio apparentemente insignificante: il neo sul dorso della mano. Questo tratto distintivo è ciò che la riconduce alla sua origine, mantenendo un legame anche nella separazione, perché l’identità personale di Naoufel persiste nonostante la perdita fisica. Eppure, mentre la mano attraversa la città per ritrovare il suo corpo, Naoufel inizialmente rimane immobile, prigioniero di una vita che non sente sua. Costretto a vivere con lo zio e il cugino, si percepisce intrappolato in un destino già scritto. Un’inquadratura lo mostra di spalle, rivolto verso il corridoio della casa, mentre le perline della porta assumono l’aspetto di sbarre: un’immagine che traduce visivamente il suo senso di prigionia. Ma la barriera che lo separa dal mondo non è solo fisica, è anche mentale. Bloccato tra il desiderio di cambiare e l’impossibilità di sfuggire alla propria condizione, Naoufel lotta con un senso di impotenza che lo immobilizza, mentre si vedrà poi la sua mano che continuerà a cercarlo, a reclamare il diritto di esistere. La mano ha una consapevolezza superiore rispetto a quella di Naoufel stesso. Combatte, e cerca di mantenersi in vita a tutti i costi per poter ritornare dal suo “proprietario”.

In questo contrasto tra immobilità e movimento si riflette il tema del destino, una forza silenziosa che accompagna ogni fase della storia, ma non appare come una traiettoria fissa e inevitabile: può essere deviato, riscritto, trasformato. Questa idea si manifesta attraverso simboli ricorrenti che attraversano le tre linee narrative del film, creando un filo invisibile che lega il passato, il presente e il viaggio della mano. I ricordi d’infanzia di Naoufel sono rievocati in bianco e nero, a contrasto con il presente a colori, come se appartenessero a un tempo perduto ma che influisce ancora profondamente. Questa scelta stilistica richiama il cinema muto: immagini e suoni prevalgono sulle parole. La mano, silenziosa protagonista, parla attraverso rumori e musica. Il suo viaggio è anche il recupero della memoria: accompagna Naoufel nel toccare, creare, esplorare. La mano è Naoufel, e porta con sé il dolore della perdita. È in questa unione tra la narrazione muta della mano e le immagini in bianco e nero del passato che si crea un ponte tra epoche e linguaggi del cinema: tra il passato nostalgico dell’infanzia e il presente frammentato, tra la parola e il silenzio, tra la perdita e il tentativo di ricostruzione.

Ci sono degli elementi essenziali per poter comprendere la poetica e la tematica principale del film: simboli, dettagli, personaggi e luoghi ricorrenti che accompagnano lo spettatore nella comprensione della condizione di Naoufel, un ragazzo magrebino emarginato che tenta di riscrivere il suo destino e di trovare il suo posto nel mondo. 

Il vento

Elemento sensoriale costante. Fin da piccolo, Naoufel registra il vento e ne è affascinato: lo registra con il suo microfono mentre si sporge dal finestrino, in un momento che precede l’incidente dei suoi genitori. È simbolo dell’irraggiungibile. Registrare il suono del vento è come un tentativo di fermare qualcosa che, inevitabilmente, scivola via. Il vento ritorna: trasporta la mano con l’ombrello, accompagna Naoufel nel momento decisivo. Seduto sul bordo del palazzo, prima del salto, registra i suoi passi e il vento. Gabrielle ascolterà quel suono alla fine. Il vento unisce passato e presente, dolore e cambiamento: è la colonna sonora della frammentazione.

La mosca

Presente nel momento della separazione tra la mano e il corpo, ricorre anche nell’infanzia. Il padre gli consiglia di prenderla di sorpresa. Alla fine, Naoufel compie un gesto improvviso: un salto, che cambia il suo destino. La mosca non è solo testimone della vita di Naoufel, diventa metafora dello spettatore: osserva il protagonista da prospettive diverse, in modo non lineare, spostandosi tra le diverse linee temporali, seguendo il protagonista con “occhi grandi” proprio come noi.

L’occhio e il teschio

Una scena simbolica mostra la mano nel laboratorio ospedaliero circondata da organi, tra cui un occhio che cade e viene calpestato da un uomo ignaro. Questo simboleggia una società che vede ma non guarda, incapace di percepire la sofferenza degli emarginati. Il teschio, su cui la mano si arrampica, rappresenta la disintegrazione del corpo a guscio vuoto. Questa condizione non appartiene alla mano, ma a Naoufel, ridotto a un’essenza spenta. Il film mostra che la parte più fragile è lui, mentre la mano alla fine lo lascia andare, riconoscendo che può trovare la sua strada. 

Il piccione

Il viaggio della mano è segnato da simboli come il piccione, a cui la mano si aggrappa per fuggire. Il piccione rappresenta l’istinto di sopravvivenza e l’adattamento, simile a Naoufel, outsider senza un posto preciso. La mano stringe troppo forte il piccione, che muore, annullando ogni idealizzazione: la lotta per la sopravvivenza può avere conseguenze tragiche. Più avanti appare un uomo con maschera da piccione, figura anonima e invisibile, che indica involontariamente la strada alla mano. Sul tetto, mentre impugna una bomboletta spray, la vernice cola segnando il percorso per Naoufel. Sarà lui a scrivere “JE SUIS LA”. La mano si dichiara e si rende visibile lanciandosi dal palazzo aggrappata a un ombrello, sintetizzando il cammino segnato da difficoltà ma anche da nuove vie. 

Neve e vernice

La neve cade dopo il salto: segno di trasformazione. La vernice bianca, colata dall’uomo mascherato, diventa traccia visiva per la mano. È simbolo di riscrittura. Come quando Naoufel sporca una porta, e il falegname la rivernicia subito: non per cancellare, ma per ricoprire. I segni restano. La neve è accettazione. Gabrielle la guarda sorridendo: riconosce Naoufel nella sua imperfezione.

Personaggi e luoghi

I personaggi si dividono in chi lo isola e chi lo accoglie. Il datore di lavoro, lo zio, il cugino: lo trattano come un oggetto. La città è chiusa, grigia, frammentata. Parigi non è da cartolina, ma vissuta dal basso, da chi lotta per essere visto. Naoufel cerca una vista dall’alto, un’altra prospettiva.

Ma due figure si distinguono: Gabrielle e Gigi. Lei lo accoglie pur non comprendendolo. Gigi lo assume e lo lascia essere, anche se non capisce il suo desiderio di fare il falegname. "Non lo so", risponde Naoufel. Una risposta che riflette il suo smarrimento. Gigi vive isolato, ma ha uno sguardo aperto. Anche Gabrielle riconosce l’umanità di Naoufel, pur con perplessità. “Non lo conosci nemmeno”, dice a Gigi. “È in difficoltà”, risponde lui. Sono le uniche figure che lo vedono davvero. In un mondo che ti tratta come merce, loro accolgono la sua interezza, senza ridurlo alle sue mancanze.

La frammentazione non è una condanna, ma una possibilità. L’identità è un processo in divenire. Accoglierne la molteplicità è una forma di resistenza contro le semplificazioni. Il finale aperto lascia spazio alla libertà. Quello che era smarrimento, ora è possibilità. “Je suis là” diventa allora affermazione di esistenza. Nonostante tutto.

Anita Sala

 

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