Analisi di “Ritratto della giovane in fiammeâ€
04/05/2024
A seguito delle lezioni svolte all'interno del corso di Film Critic & Festival Programmer alla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano, abbiamo chiesto agli studenti di scrivere delle loro analisi e interpretazioni di film a loro scelta.

Analisi di “Ritratto della giovane in fiamme" di Giulia Giovanelli

La rappresentazione femminile al cinema è un tema estremamente attuale: negli ultimi anni si è indubbiamente prestata una maggiore attenzione sia al modo in cui si raccontano le donne sul grande schermo sia a quale sia il loro posto all’interno dell’industria cinematografica come autrici, attrici e addette ai lavori. Il clamoroso successo di un film come Barbie di Greta Gerwig ha svelato definitivamente una ritrovata sensibilità a questo tipo di tematiche da parte del pubblico. C’è sempre più fame di nuove prospettive che vadano ad abbattere lo status quo. 

Nel 1975, Laura Mulvey, una delle voci più autorevoli nell’ambito dei gender studies, pubblica il saggio breve “Cinema e piacere visivo”.  Mulvey tramite lo strumento della psicanalisi (in particolari le teorie di Freud e Lacan) analizza il cinema hollywoodiano classico svelando come il film abbia interiorizzato e riproposto dei modelli di raffigurazione già inconsciamente presenti nell’individuo e nella cultura patriarcale a cui aderisce. Il risultato è l’individuazione del cosiddetto “male gaze”: Le donne sullo schermo diventano oggetto sessuale del piacere visivo e sono definite solo ed esclusivamente dallo sguardo maschile. Non siamo interessati al personaggio femminile per quello che fa o che dice ma solamente in funzione del ruolo che ricopre per l’uomo protagonista. Nonostante siano passati più di trent’anni, la prospettiva patriarcale rimane quella dominante tutt’oggi. Laura Mulvey stessa spiegò come l’intento principale del suo lavoro fosse quello di distruggere le architetture rappresentative preesistenti al fine sviluppare delle pratiche diverse per raffigurare le donne al cinema. 

È proprio questa l’operazione che la regista francese Céline Sciamma riesce a compiere nel film in costume “Ritratto della giovane in fiamme” dando vita ad una narrazione capace di riflettere sul concetto di sguardo, di erotizzazione dei corpi femminili e sui modelli di rappresentazione. La prospettiva messa in scena è antitetica a quella a cui fa riferimento Laura Mulvey e mostra come sia effettivamente possibile creare universi visivi alternativi.

Tradizionalmente, l’immagine femminile diventa oggetto erotico sia per i personaggi maschili intradiegetici che per lo spettatore in sala che assume il loro punto di vista. L’uomo è il portare dell’azione: fa progredire la vicenda e controlla la fantasia filmica assumendo un ruolo attivo sia all’interno della narrazione che nell’atto di ridurre il comprimario femminile alla passività completa. In questo film non esistono uomini che possano esercitare questo tipo di sguardo. L’uomo viene estromesso dalla narrativa, rimanendo una lontana minaccia extradiegetica che pone al mondo femminile delle sfide da affrontare e dei problemi da risolvere.  I personaggi maschili sono solo delle comparse. Non hanno un’identità, un nome o un carattere ma soprattutto non hanno voce in capitolo sui corpi delle protagoniste. Sono invece le donne ad esercitare uno sguardo anche erotico nei confronti di altre donne, ma l’oggetto guardato non è mai veramente passivo: osservatrice e osservata si scambiano continuamente i ruoli confondendo e complicando la dinamica di potere che nel male gaze vede un soggetto completamente asservito all’altro.  

In una delle scene più significative della pellicola, possiamo osservare come la prossemica dei corpi, sottolineata dalle inquadrature scelte, sia un elemento fondamentale per raccontare lo svilupparsi del rapporto amoroso tra le due protagoniste. La pittrice Marianne dice all’amata Héloise mentre la sta ritraendo: “Perdonatemi, non vorrei mai essere al vostro posto”. In risposta, Héloise afferma: “ma noi siamo nello stesso posto, esattamente nel medesimo”. La pittrice è in piedi, torreggia sulla persona ritratta che invece è seduta davanti a lei. Il dialogo è ripreso tramite l’utilizzo di un gioco di campi e controcampi che indugiano sui volti delle due donne e mettono in scena una dinamica oppositiva in cui Marianne è convinta di avere il controllo. Ma nel momento in cui Héloise la invita a raggiungerla dall’altra parte della stanza e i due corpi scendono allo stesso livello avvicinandosi reciprocamente, il rapporto di apparente supremazia presente fino a quel momento viene azzerato svelando l’assoluta parità che caratterizza la relazione tra le due amanti. 

Inoltre, è possibile osservare un utilizzo frequente della soggettiva che fa assumere al pubblico il punto di vista di Marianne. Anche nel cinema di Hitchcock, autore citato come esempio da Laura Mulvey nel suo saggio, ritroviamo un abbondante uso di soggettive dal punto di vista del personaggio maschile che osserva con insistenza i personaggi femminili, completamente ignari di essere spiati. Qui, al contrario, l’atto voyeuristico viene continuamente sovvertito: Héloise si accorge di essere vista e anzi risponde, sfida senza paura e spesso invita la sua controparte, e con lei lo spettatore, a guardarla. L’unico momento in cui Héloise non sa di essere fissata è la soggettiva finale su un suo primo piano strettissimo che simboleggia il suo aderire coatto ai canoni sociali. La giovane è costretta a sposare un uomo lasciando la donna amata e con lei la regia abbandona deliberatamente lo sguardo alternativo proposto nel resto del film a favore di una modalità di rappresentazione femminile più canonica. 

Se all’inizio della storia, Marianne dipinge Héloise senza che lei lo sappia, man mano che il loro rapporto si sviluppa è la giovane ritratta a partecipare attivamente al processo di rappresentazione. È lei a non riconoscersi nella prima versione del suo dipinto e a decidere di posare per rendere possibile la realizzazione di un’immagine più veritiera fino ad arrivare a mischiare i colori per Marianne ed essere presente con lei dall’altra parte del cavalletto quando l’ultima pennellata viene ultimata. In modo analogo, Céline Sciamma e molte altre cineaste si stanno costruendo sempre di più la possibilità di partecipare attivamente al processo di decostruzione dei canoni utilizzati fino a questo momento e tratteggiare finalmente dei ritratti di donne autentici e tridimensionali. Nuove frontiere di rappresentazione del femminile sono possibili e “Ritratto della giovane in fiamme” ne è la prova. 

Giulia Giovanelli

Corsi

Sei un appassionato di cinema?
Non perderti i nostri corsi lorem ipsum dolor


Sei un’azienda, un museo o una scuola?
Abbiamo studiato per te lorem ipsum dolor

Con il tuo account puoi:

Votare i tuoi film preferiti

Commentare i film

Proporre una recensione

Acquistare i nostri corsi

Guardare i webinar gratuiti

Personalizzare la tua navigazione

Filtri - Cerca un Film

Attori
Registi
Genere
Paese
Anno
Cancella
Applica