Riceviamo e con piacere pubblichiamo questa analisi di Battle Royale di Niccolò Marnati
Nichilista, immorale, cinico, mefistofelico… Non basterebbe l’intera categoria dei termini associati al male presenti in qualsiasi dizionario di qualsiasi lingua per descrivere l’essenza di quel distorto capolavoro che è Battle Royale. Una dozzina di anni prima che Hunger Games sbancasse al botteghino, dall’altra parte dell’oceano Pacifico, Kinji Fukasaku ci regala la sua macabra interpretazione del controverso romanzo di Koushun Takami che fece scandalo in Giappone alla sua uscita, divenendo tuttavia, proprio a causa del suo contenuto, un bestseller nazionale e internazionale. Ambientato in un futuro distopico, all’interno di uno stato giapponese ultra-autoritario noto come “Repubblica della Grande Asia Orientale”, la storia narra degli alunni di una classe di scuola superiore costretti a combattere tra loro fino alla morte su un’isola. La configurazione scenografica data dalla successione tra le sequenze diurne e quelle notturne suggerisce un’interessante alternanza rispetto all’ambiente nella sua essenza intrinseca. Ciò che viene mostrato durante il giorno conferisce una reale sensazione di abbandono: strutture in macerie inghiottite dai rampicanti in un ambiente realista che tende a enfatizzare la sensazione di degrado morale e sociale e che funge da fondamento per il raccapricciante “Programma”. Le sequenze notturne ci mostrano, d’altro canto, un ambiente molto più impressionista, a simboleggiare la totale assenza di speranza e umanità nel buio più opprimente dove solo le fioche luci intradiegetiche delle torce simboleggiano i bagliori di vita; vita che tuttavia viene concessa al solo fine di distruggere e annichilire il prossimo. Questa morbosa crudeltà riesce a trasmettersi magistralmente anche grazie all’utilizzo dei primi piani in concomitanza con i contrasti chiaroscurali dati dalla luce del fuoco nell’oscurità sui volti di alcuni ragazzi. Macabri sorrisi imbrattati dal sangue e occhi neri come abissi sanciscono il totale trionfo dell’inumanità sull’esistenza. Prendendo in esame il possibile messaggio dietro alla pellicola, essa può essere considerata come un feroce attacco al sistema sociale giapponese. In quanto “Il Programma” si configura come un mezzo di prevenzione alla criminalità volto a disciplinare la gioventù, non è arduo effettuare un parallelo con il sistema di vita del paese del sol levante, fondato sulla massima precisione e metodo in qualsiasi aspetto della quotidianità. Se da una parte ciò può essere visto come sinonimo di massima efficienza a livello pratico, non bisogna scordare il lato oscuro di tale struttura. L’esempio principale può essere rappresentato dal fenomeno degli Hikikomori: tali individui, in buona parte giovani, decidono di ritirarsi in modo spontaneo dalla vita socialmente attiva, trascorrendo la maggior parte del tempo chiusi in maniera quasi ermetica all’interno delle loro stanze/abitazioni. Secondo studi, tale fenomeno può essere radicato in diversi fattori, tra cui l’autorealizzazione e il successo personale a cui l’individuo è sottoposto fin dall’adolescenza nella società nipponica. Sono proprio adolescenti all’interno del film a subire tale sorta di “castrazione”. A questi viene precluso un futuro libero e privo di pregiudizi in favore della ferrea disciplina che, nel caso della pellicola di Fukasaku, indossa la tetra maschera di dottrina della morte. Al di là del suo contenuto, Battle Royale costituisce una gemma del cinema pulp per il suo soggetto e la sua violenza ad alto impatto visivo. Non è un caso che un maestro del genere come Quentin Tarantino, lo abbia definito il suo film preferito di sempre.
Niccolò Marnati