Border: i confini che costruiamo
23/04/2025
Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo un saggio su Border, scritto da Kimberly Pasolini, studentessa del Master MICA.


Border – Creature di confine, titolo originale Gräns, ha conquistato l’attenzione internazionale nel 2018 per la sua originalità e l’approccio unico. Selezionato per rappresentare la Svezia agli Oscar 2019 nella categoria Miglior film in lingua straniera, ha vinto il premio Un Certain Regard al Festival di Cannes.

Il film segna il ritorno al cinema del regista svedese-iraniano Ali Abbasi con il suo secondo lungometraggio, tratto dall’omonimo racconto di John Ajvide Lindqvist, autore del celebre Lasciami entrare. Lindqvist firma la sceneggiatura insieme ad Abbasi e alla regista danese Isabella Eklöf. Da questa collaborazione nasce un’opera che fonde generi diversi, in cui l’ibridazione diventa la chiave di lettura narrativa.

Dopo aver esplorato il genere dell’orrore la maternità demoniaca nel suo esordio Shelley (2016), con Border Abbasi intreccia il fantastico al realismo, contaminandolo con il folklore scandinavo, ponendo domande profonde sui confini fisici, d’identità e morali della condizione umana contemporanea.

Come in Lasciami entrare, anche in Border il confine tra umano e sovrannaturale si fa labile, sollevando domande sui limiti imposti dalla società. Il film mette in discussione la costruzione sociale della "normalità", mostrando come tutto ciò che è percepito come brutto o diverso venga sistematicamente emarginato, sia a livello sociale che personale. In un contesto in cui la società, la cultura e il luogo influenzano fortemente chi siamo, Border mostra come l'identità possa trasformarsi nel tempo, diventando un viaggio in continuo divenire grazie a stimoli esterni, esperienze e incontri.

Tutto questo processo di esplorazione dell’identità è incarnato da Tina (interpretata da Eva Melander) e dalla metamorfosi che compie. Cresciuta sentendosi perennemente fuori posto, Tina porta dentro di sé una condizione di marginalità che si traduce in un’ambivalenza esistenziale: nella sfera pubblica come agente della dogana, Tina spicca per diligenza e competenza per la sua straordinaria capacità di fiutare emozioni come vergogna, rabbia e paura, che le consente di individuare colpevoli e contribuire al bene comune. In questo contesto, fatto di regole e interazioni, Tina sembra avere una parvenza di appartenenza e riconoscimento sociale.

Ma la sua vita privata racconta una realtà opposta: isolata in una casa nel bosco, ai margini sia fisici che simbolici della società, vive con Roland, che la tratta come un “animale” da compagnia. Tina accetta passivamente questa condizione, pur di non restare sola.

Diverso è il suo rapporto con la natura, profondo e viscerale, che si manifesta nel legame con il bosco e con gli animali, in particolare una volpe. Il contatto silenzioso tra Tina e l’animale, suggellato da una carezza attraverso un vetro, diventa un riconoscimento tra anime affini, entrambe relegate ai margini. La presenza della volpe, che ricorre nei momenti cruciali della rivelazione identitaria di Tina, assume un forte valore simbolico. Il bosco, più che un semplice luogo, è rifugio e specchio della sua interiorità: è in questo spazio, lontano dalla società e dalle sue regole, che il corpo di Tina cerca un contatto diretto con la terra, trovando finalmente un senso di appartenenza. È tra gli alberi che prende forma la sua trasformazione, in un ambiente dove può abbandonare ogni maschera ed essere autenticamente sé stessa.

“Chi sono io?”

Quando Tina prende coscienza della sua vera identità, avverte una sensazione di sollievo, come se fosse finalmente riuscita a superare una barriera invisibile che l'aveva tenuta distante da sé stessa per tutta la vita. La rivelazione, però, rappresenta anche un processo doloroso, che implica l’affrontare verità scomode e difficili da accettare.

Scoprire la sua vera natura, quella di un troll, segna un punto di svolta nella sua esistenza: quello che le aveva causato sofferenza e solitudine per anni è ciò che la rende unica e speciale.

Questa consapevolezza si riflette nel rapporto con il proprio corpo: Tina si spoglia, in senso fisico e simbolico, dalle maschere sociali che per anni l’hanno fatta sentire estranea a sé stessa. È un atto di liberazione che le consente di accettarsi pienamente, così come il ritrovato piacere nel cibo: da un’alimentazione svogliata e disinteressata, segno di una disconnessione dal suo vero essere e dalla vita che è costretta a vivere, a un mangiare con gusto e passione ciò che vuole. In questi momenti, Tina afferma la sua identità, accettandosi senza vergogna.

Tuttavia, questo processo la costringe a confrontarsi con un passato doloroso: il massacro della sua gente da parte degli esseri umani e la consapevolezza che suo “padre” le abbia nascosto la verità. La scoperta scatena una reazione emotiva violenta, segno di un tradimento che va oltre la rabbia. È un grido di dolore che segna il confine tra la persona che era e quella che sta diventando.

È attraverso gli altri che conosciamo noi stessi

La scoperta dell’identità di Tina avviene attraverso l’incontro con Vore, altro simile della sua specie, ma il loro legame è segnato da profonde differenze. Mentre Tina ha vissuto una vita di inadeguatezza e auto-rifiuto, Vore ha sempre abbracciato pienamente la propria identità. Questa contrapposizione tra i due lo rende una figura di contrasto fondamentale. Vore si è sempre rifiutato di adattarsi alle convenzioni sociali, rifiutando le maschere e vivendo senza paura di essere sé stesso. Il suo aspetto, grottesco e animalesco, con pelle ruvida e maculata e tratti sproporzionati, rispecchia la sua totale disconnessione dalla “normalità”. Incarnando la negazione delle regole sociali, sfida un mondo che lo ha emarginato, e richiama l’immagine dei troll del folklore scandinavo: creature che vivono ai margini della civiltà, rifiutando le norme morali e divenendo simbolo del rifiuto delle convenzioni oppressive.

Nel rapporto con Vore, Tina inizia a liberarsi dalle maschere e dalle aspettative che l’hanno definita per tutta la vita. Inizialmente incredula e spaesata, la sua vicinanza a lui la costringe a confrontarsi con la propria essenza più profonda. Con il tempo, Tina riconosce il valore e la bellezza della sua natura che fino a quel momento aveva cercato di reprimere. I momenti condivisi nel bosco diventano un'esplorazione di un mondo dove le convenzioni sociali non hanno più potere.

Il culmine di questo rapporto avviene durante un atto sessuale che trascende la dimensione corporea, trasformandosi in un’esperienza simbolica di conoscenza e liberazione, attraverso la quale Tina scopre e accetta la sua vera identità, rivelando il suo corpo, un tempo prigione, come rifugio.

L’intimità con Vore permette a Tina di fare pace con la propria natura, affrontando la sua identità senza paura e vergogna. Grazie all’accettazione totale di sé di Vore, Tina supera le barriere sociali e riconosce una forza interiore che non sapeva di possedere. Attraverso di lui, comprende che la felicità non dipende dal conformarsi alle aspettative altrui, ma dall'abbracciare la propria unicità.

Questo cambiamento non è solo interiore: si riflette nei suoi comportamenti che diventano progressivamente più “animaleschi” e meno “umani”. La Tina che un tempo cercava di nascondere la propria natura, ora la accetta con coraggio, vedendola come una risorsa anziché come una debolezza.

Chi è il vero cattivo

Cresciuto nell'isolamento e privo di una figura genitoriale o di una comunità, l’esistenza di Vore è segnata da abusi fisici e psicologici. A differenza di Tina, Vore ha sempre rifiutato di adattarsi a una società che lo ha emarginato e maltrattato. La sua rabbia, motore di ogni sua azione, è un dolore mai risolto che non trova né sfogo né sollievo, e non si limita a essere una reazione alla sofferenza, ma rappresenta una scelta consapevole di rifiutare ogni possibilità di guarigione o integrazione. Vore non cerca di "guarire" come Tina, ma di "vendicarsi". Per lui, l'unica via per affermare la propria esistenza è infliggere dolore e caos a un mondo che lo ha ferito, trasformando la sua ira in una giustizia personale, simbolo della faccia oscura della trasformazione.

La sua vendetta si sviluppa lentamente manipolando le situazioni in modo indiretto, fino a culminare in un atto finale di distruzione con lo scambio del changeling. Nel folklore scandinavo, il changeling è una creatura che sostituisce un bambino umano rapito dalle fate o dai troll. Questo gesto, emblematico della sua vendetta, rappresenta il suo desiderio di riscatto e il totale distacco dalla società che lo ha rifiutato e abbandonato.

Vore non si limita a infliggere dolore, ma cerca di rovesciare l'ordine sociale che lo ha emarginato. La sua vendetta diventa un atto universale che scuote le fondamenta della società, mettendo in luce le sue ipocrisie e la paura di ciò che è diverso. La sua azione non cerca riscatto, ma distruzione, ribaltando le regole e trascinando il mondo nel caos che ha sempre vissuto.

Esiste davvero una morale?

“Allora vuoi essere umana?”

“Non voglio far del male a nessuno. È umano pensare in questo modo?”.

Il dialogo tra Tina e Vore in una delle scene finali rappresenta il culmine del percorso interiore della protagonista e simboleggia lo scontro tra due visioni opposte del mondo. La proposta di Vore non è solo un invito alla fuga, ma una chiamata per un dovere morale più grande.

La scelta di Tina racchiude il cuore della sua evoluzione. Pur riconoscendo la propria natura e il dolore vissuto, rifiuta la brutalità come risposta. Non vuole replicare la crudeltà degli esseri umani che l’hanno emarginata, né seguire il cammino di Vore, che incarna il lato oscuro della vendetta.

Tina decide di restare nel "confine”: non abbraccia né il passato né il futuro che le viene imposto, ma crea una terza via. Si colloca in un territorio ambiguo, in equilibrio tra le due realtà, dove risiede la sua vera identità.

Un'identità che non dipende più da regole esterne, ma dalla sua capacità di agire in modo autentico e morale., indipendentemente dal giudizio altrui. Non si sottomette al mondo umano, né cede alla rabbia di Vore, scegliendo con lucidità di affrontare le conseguenze delle sue decisioni. Non come una condanna, ma come l’espressione piena della propria libertà.

Kimberly Pasolini

 

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