BOY ERASED: LE GUARNIZIONI ABBONDANTI DELLA KIDMAN
24/03/2019

Stampe leopardate. Pizzo bianco e merletti ispanici. Collana di perle. Capelli cotonati alla Dolly Parton, rigonfi di lacca, marmorei.

Magra di una magrezza istruita. Imprescindibile. Presa di mira da un’armata di perline assegnate a un giubbottino di jeans di una taglia microscopica, così adornata Nicole Kidman, in Boy Erased, sorride al figlio dentro la palestra dell’istituto scolastico dove studia il ragazzo; insieme al marito pastore – Russel Crowe – lo convalidano a una notte con la sua ragazza cheerleader, sobria nello stile, molto più costumata della mamma anticonformista nella mise eppure così perbene, inquadrata, benpensante. Portavoce di un costume figlio di un ricercato cattivo gusto al limite della parodia.

È l’Arkansas forse, così foderato e laconico, a condizionare il trend della signora Eamons che si distanzia – o tenta di farlo – da tutte le figure nebulose che le ruotano intorno, prive del ben che minimo colore. Nessuna nuance accesa, in uno scenario che sposa il bianco pressoché ovunque affondato in un clima plumbeo e livido che definisce l’andamento di questo critico dramma familiare.

Se non fosse per Nancy Eamous e il suo afflusso slanciato di tinte vibranti, sarebbe uno sfondo in via d’estinzione, nel braccio angoscioso di una fine incombente.

Stampe floreali e unghie lunghe di forma quadrata rivestite con un french dozzinale. È l’inconsapevolezza stereotipata della periferia. Dei luoghi liberi dai modelli ricercati. Il tentativo grottesco di distinguersi con l’abbondanza. Laddove l’ambiente si fa luttuoso e crudo, spoglio di un retroscena cromatico, Kidman trova un’identità esuberante, ma soprattutto diversa, nella forma satura di paillettes e perline ed è forse l’unico modo per evadere l’ombra didattica e rigorosa di un marito schiavo della morale più ostica.

Solo verso la fine, in quella che appare essere la tenuta più casalinga e morbida, è il viola vivo di una ciniglia ardente che la espone libera dal raggiro codardo nei confronti dell’omosessualità del figlio Jared che torna ad essere figlio e non più una mente deviata da cancellare e riprogrammare daccapo.

È il viola che fa da apripista, che segna la svolta. Ancora una scelta ardente di Nancy che questa volta non porta fronzoli né macramè, ma – con la fronte fasciata da un foulard che la fa sembrare un’eroina – veste uno dei colori delle suffragette, simbolo del movimento di liberazione delle donne. Magari è un caso, oppure – a sorpresa – è una sottile sterzata del regista e attore australiano.

E tutto quel contrasto di colori, quello sbrilluccicare di guarnizioni fuori posto era solo il prologo discrepante di una madre che taceva e non aveva altro modo per smascherare l’intenzione più larga che arginava con modi inibiti la vera stoffa di una mamma decisa.

 

Hilary Tiscione

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