Brillante Mendoza: la nostra intervista esclusiva in occasione del Premio alla Carriera al XIX Asian Film Festival
15/04/2022
Premio alla regia al Festival di Cannes 2009 per Kinatay, Brillante Mendoza è senza alcun dubbio tra i più grandi registi filippini di tutti i tempi e tra i più importanti nomi del cinema asiatico contemporaneo. Lo abbiamo intervistato in esclusiva in occasione del Premio alla Carriera assegnato martedì scorso al Farnese Art House, nell’ambito della XIX edizione dell’Asian Film Festival, invitato a Roma dal direttore artistico Antonio Termenini. Due i film presentati, in anteprima europea, che hanno convinto soprattutto per la veemenza nell'impatto visivo e l'originalità concettuale di Resbak (l'attore protagonista Vince Rillon ha vinto ex-aequo il premio per la miglior interpretazione maschile) e le grandi emozioni trasmesse da Gensan Punch, liberamente ispirato alla storia vera di un pugile giapponese mutilato a una gamba sin dalla nascita.
BIOGRAFIA - BRILLANTE MENDOZA: UNA CARRIERA INIMITABILE SOSPESA TRA ASIA E EUROPA
Nato il 30 Ottobre 1960 a San Fernando (Pampanga), nelle Filippine, Brillante Mendoza ha studiato Belle arti all'Università di Santo Tomas di Manila, specializzandosi in Comunicazione. Ha poi intrapreso la carriera di scenografo, lavorando per il cinema, la televisione, il teatro e la pubblicità televisiva per una decina d'anni, prima di esordire nel lungometraggio di finzione. I suoi film hanno ricevuto nomination e premi nei migliori festival del mondo: su tutti gli europei Venezia, Cannes e Berlino.
L'esoridio di Mendoza riale 2005, riuscendo sin da subio a conquistare l'attenzione dei randi festival: Masahista, lungometraggio tratto da una storia vera su un giovane massaggiatore filippino omosessuale, ha vinto proprio in quell'anno il premio del concorso-video del Festival di Locarno e il premio del pubblico del Torino International Gay & Lesbian Film Festival. Il successivo Kàleldo (2006) è stato presentato nella sezione Extra della prima edizione del Festival del cinema di Roma e Manoro (2006) ha vinto il premio CinemAvvenire al Torino Film Festival dello stesso anno.
Con Foster Child, presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2007, Mendoza inizia la fortunata frequentazione del maggior festival cinematografico europeo, proseguita con la presentazione in concorso nell'edizione successiva di Serbis (2008) e culminata nel 2009 con il premio alla regia per Kinatay (in questa occasione diventa il primo regista filippino a ricevere questo premio). Ha partecipato anche al Festival di Berlino nel 2007, nella sezione Forum, con Tirador, mentre il suo Lola è stato uno dei due film a sorpresa del concorso della Mostra del cinema di Venezia 2009.
Durante la tua carriera sei diventato un caso di studio: l'unico regista filippino ad essere conteso in contemporanea dai tre principali festival europei. Qual è il tuo rapporto con il pubblico europeo e quale il ricordo più bello di quelle esperienze passate?
Devo dire che la maggior parte dei miei film sono stati visti in Europa e apprezzati in particolare in Francia, già di per sé questo mi rende molto orgoglioso. Alcuni di questi sono tutt'ora disponibili sulle piattaforme di streaming, inclusa l'Italia, e quindi ancora oggi sono contattato da amici e colleghi europei o anche da semplici curiosi. Ad esempio, appena pochi mesi fa, ho ricevuto molti video-messaggi da Parigi con un forte apprezzamento verso i miei lavori passati. Ma sfortunatamente questa è l'Europa e sappiamo che l'Europa è molto aperta all'ingresso del nostro cinema: non c'è una pratica diffusa su ampia scala, però va riconosciuto che esiste un'ampia fetta di persone disposte a guardare cinema asiatico. Non possiamo dire lo stesso delle Filippine: stiamo ancora cercando di ampliare gli orizzonti della nostra audience. Al contrario, i miei film non sono molto apprezzati negli Stati Uniti, sicuramente non quanto lo sono in Europa e questo credo sia legato a un loro gusto molto specifico che probabilmente non intercetta il mio. Ci tengo però a sottolineare che quando giro i miei film non penso tanto a chi potrebbe apprezzare il mio lavoro o meno. Cerco semplicemente di esprimere quello che sento essere interessante, giusto e più adatto per il film stesso. Mi ritengo in ogni caso molto fortunato per aver condotto negli anni una ricerca che in Francia, in Italia, in Germania e in Spagna ha trovato una così importante risposta e consonanza alla mia idea di cinema.
Nei due film che hai presentato, in anteprima europea, all'Asian Film Festival emerge in maniera chiara il tuo stile sospeso tra invenzioni simboliche e realismo narrativo, ma anche una grande necessità di raccontare nuove storie. Come hai vissuto artisticamente la pandemia visto che Resbak ha preceduto e Gensan Punch seguito la cruciale primavera 2020?
Partiamo dal fatto che non sarebbe assolutamente stato possibile girare un film come Resbak dopo l'avvento della pandemia. Impossibile. Non avrei potuto nemmeno immaginare e girare questo film, se non con la libertà produttiva che avevamo in precedenza e mi ritengo molto fortunato dato che le persone coinvolte, tra attori e comparse, sono state moltissime. Le Filippine sono un paese caotico ed estremamente popoloso e ora, in periodo di elezioni, è già un problema recarsi ai seggi, per cui non oso immaginare l'organizzazione di un set di quel tipo. Ma ancora una volta, il primo pensiero che mi ha assalito per Gensan Punch non è stato "oddio come farò": sono partito da quello che serviva al film, anche se le persone da coinvolgere erano naturalmente molte meno.
In Resbak la critica sociale e politica passa attraverso il mondo del rap, perché hai scelto questa chiave? Quale ruolo attribuisci a musiche e montaggio sonoro entro il tuo modo di fare cinema?
Sin dal principio, il film racconta fondamentalmente come il rap sia un linguaggio e non solo una forma di espressione musicale. Il montaggio sonoro ha cercato di trasformare in musica anche i discorsi di piazza, i litigi tra bande e in generale la vita di tutti i giorni. Si è come creata una formula che sentivo di dover seguire e che già avevo iniziato a sperimentare con la mia serie televisiva: credo tantissimo in un rinnovamento delle tecniche di montaggio e sound design al fine di avvicinare il mio cinema alle forme espressive dei nuovi media e in ultima analisi dei linguaggi audiovisivi più vicini ai giovani. Credo in sintesi che l'uso del sonoro dovesse puntare a rendere più facile l'identificazione di ragazze e ragazzi al tema del film, che è sostanzialmente politico e di protesta verso una corruzione da sempre presente e tuttora dilagante.
Hai anche prodotto e presentato qui a Roma il bellissimo The Brokers di Daniel Palacio, quanto è importante per te e per il cinema filippino dare spazio a nuovi registi?
Sì, ci sono molti aspetti comuni sia tematici sia stilistici tra il film di Daniel e il mio cinema. Questo perché è un allievo con cui ho lavorato molto e abbiamo portato avanti un'idea condivisa di denuncia della corruzione che colpisce le Filippine. Ma voglio anche ricordare il lavoro fatto da Raymund Ribay Gutierrez che appena due anni fa alla Mostra del cinema di Venezia 2019 è stato premiato dalla giuria nella Sezione Orizzonte per Verdict che parla di violenza domestica. Sono molto fiero del lavoro che stiamo facendo come casa di produzione, ma in generale direi come industria, anche se la strada è molto lunga e la pandemia ha rallentato notevolmente i nostri piani. Lavorare con i giovani è per me un modo per avere una via d'accesso privilegiata alla loro sensibilità e necessità espressiva, credo il cinema stia cambiando molto rapidamente e solo attraverso il loro sguardo è possibile continuare a innovare o almeno provarci.
Ci puoi anticipare qualcosa dei tuoi prossimi progetti? Quali sono le storie che stai cercando?
Cerco il nuovo! Non voglio porre alcun limite alla mia ricerca e sono soprattutto aperto alla sperimentazione di nuovi generi, come l'horror e in tal senso ho appena finito di girarne uno che è già uscito nelle Filippine e che mi auguro arrivi presto in Europa. Sono aperto a realizzare più film rivolti alle nuove generazioni, come Resbak: voglio esplorare, c'è così tanto da scoprire e raccontare, voglio solo continuare ad esprimere me stesso. Le storie saranno anche molto diverse, ma sento che politica e corruzione continueranno ad essere la base da cui intendo ripartire.
Un ringraziamento al direttore artistico di Asian Film Festival Antonio Termenini, all'Ufficio Stampa Elisabetta Castiglioni e, per il lavoro di preparazione, a Enrico Nicolosi e Sofia Quadrelli.
A cura di Andrea Valmori
BIOGRAFIA - BRILLANTE MENDOZA: UNA CARRIERA INIMITABILE SOSPESA TRA ASIA E EUROPA
Nato il 30 Ottobre 1960 a San Fernando (Pampanga), nelle Filippine, Brillante Mendoza ha studiato Belle arti all'Università di Santo Tomas di Manila, specializzandosi in Comunicazione. Ha poi intrapreso la carriera di scenografo, lavorando per il cinema, la televisione, il teatro e la pubblicità televisiva per una decina d'anni, prima di esordire nel lungometraggio di finzione. I suoi film hanno ricevuto nomination e premi nei migliori festival del mondo: su tutti gli europei Venezia, Cannes e Berlino.
L'esoridio di Mendoza riale 2005, riuscendo sin da subio a conquistare l'attenzione dei randi festival: Masahista, lungometraggio tratto da una storia vera su un giovane massaggiatore filippino omosessuale, ha vinto proprio in quell'anno il premio del concorso-video del Festival di Locarno e il premio del pubblico del Torino International Gay & Lesbian Film Festival. Il successivo Kàleldo (2006) è stato presentato nella sezione Extra della prima edizione del Festival del cinema di Roma e Manoro (2006) ha vinto il premio CinemAvvenire al Torino Film Festival dello stesso anno.
Con Foster Child, presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2007, Mendoza inizia la fortunata frequentazione del maggior festival cinematografico europeo, proseguita con la presentazione in concorso nell'edizione successiva di Serbis (2008) e culminata nel 2009 con il premio alla regia per Kinatay (in questa occasione diventa il primo regista filippino a ricevere questo premio). Ha partecipato anche al Festival di Berlino nel 2007, nella sezione Forum, con Tirador, mentre il suo Lola è stato uno dei due film a sorpresa del concorso della Mostra del cinema di Venezia 2009.
Nel 2012 ha partecipato in concorso alla Berlinale con Captive (che vede la presenza di Isabelle Huppert) e alla 69ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia con Thy Womb, la quale ha ricevuto una menzione speciale del premio P. Nazareno Taddei. Nel 2016 è stato presente nella sezione Festa Mobile del 34° Torino Film Festival con il film Ma' Rosa. Mendoza's Amo (2017) è la prima serie crime drama filippina ad essere mostrata su Netflix. Tra i suoi film più recenti si annoverano Alpha: The Right to Kill (2018) e Mindanao (2019), mentre i suoi ultimi due lungometraggi, Gensan Punch e Resbak, sono stati presentati rispettivamente Fuori Concorso e In Concorso al XIX Asian Film Festival come anteprime europee.
Un'immagine da Kinatay (Massacro, 2009).
INTERVISTA ESCLUSIVA - DALLA PANDEMIA ALLE NUOVE GENERAZIONI: UN CAMBIO DI PROSPETTIVA NEL CINEMA DI BRILLANTE MENDOZADurante la tua carriera sei diventato un caso di studio: l'unico regista filippino ad essere conteso in contemporanea dai tre principali festival europei. Qual è il tuo rapporto con il pubblico europeo e quale il ricordo più bello di quelle esperienze passate?
Devo dire che la maggior parte dei miei film sono stati visti in Europa e apprezzati in particolare in Francia, già di per sé questo mi rende molto orgoglioso. Alcuni di questi sono tutt'ora disponibili sulle piattaforme di streaming, inclusa l'Italia, e quindi ancora oggi sono contattato da amici e colleghi europei o anche da semplici curiosi. Ad esempio, appena pochi mesi fa, ho ricevuto molti video-messaggi da Parigi con un forte apprezzamento verso i miei lavori passati. Ma sfortunatamente questa è l'Europa e sappiamo che l'Europa è molto aperta all'ingresso del nostro cinema: non c'è una pratica diffusa su ampia scala, però va riconosciuto che esiste un'ampia fetta di persone disposte a guardare cinema asiatico. Non possiamo dire lo stesso delle Filippine: stiamo ancora cercando di ampliare gli orizzonti della nostra audience. Al contrario, i miei film non sono molto apprezzati negli Stati Uniti, sicuramente non quanto lo sono in Europa e questo credo sia legato a un loro gusto molto specifico che probabilmente non intercetta il mio. Ci tengo però a sottolineare che quando giro i miei film non penso tanto a chi potrebbe apprezzare il mio lavoro o meno. Cerco semplicemente di esprimere quello che sento essere interessante, giusto e più adatto per il film stesso. Mi ritengo in ogni caso molto fortunato per aver condotto negli anni una ricerca che in Francia, in Italia, in Germania e in Spagna ha trovato una così importante risposta e consonanza alla mia idea di cinema.
Nei due film che hai presentato, in anteprima europea, all'Asian Film Festival emerge in maniera chiara il tuo stile sospeso tra invenzioni simboliche e realismo narrativo, ma anche una grande necessità di raccontare nuove storie. Come hai vissuto artisticamente la pandemia visto che Resbak ha preceduto e Gensan Punch seguito la cruciale primavera 2020?
Partiamo dal fatto che non sarebbe assolutamente stato possibile girare un film come Resbak dopo l'avvento della pandemia. Impossibile. Non avrei potuto nemmeno immaginare e girare questo film, se non con la libertà produttiva che avevamo in precedenza e mi ritengo molto fortunato dato che le persone coinvolte, tra attori e comparse, sono state moltissime. Le Filippine sono un paese caotico ed estremamente popoloso e ora, in periodo di elezioni, è già un problema recarsi ai seggi, per cui non oso immaginare l'organizzazione di un set di quel tipo. Ma ancora una volta, il primo pensiero che mi ha assalito per Gensan Punch non è stato "oddio come farò": sono partito da quello che serviva al film, anche se le persone da coinvolgere erano naturalmente molte meno.
Un'immagine da Resbak (2021).
In Resbak la critica sociale e politica passa attraverso il mondo del rap, perché hai scelto questa chiave? Quale ruolo attribuisci a musiche e montaggio sonoro entro il tuo modo di fare cinema?
Sin dal principio, il film racconta fondamentalmente come il rap sia un linguaggio e non solo una forma di espressione musicale. Il montaggio sonoro ha cercato di trasformare in musica anche i discorsi di piazza, i litigi tra bande e in generale la vita di tutti i giorni. Si è come creata una formula che sentivo di dover seguire e che già avevo iniziato a sperimentare con la mia serie televisiva: credo tantissimo in un rinnovamento delle tecniche di montaggio e sound design al fine di avvicinare il mio cinema alle forme espressive dei nuovi media e in ultima analisi dei linguaggi audiovisivi più vicini ai giovani. Credo in sintesi che l'uso del sonoro dovesse puntare a rendere più facile l'identificazione di ragazze e ragazzi al tema del film, che è sostanzialmente politico e di protesta verso una corruzione da sempre presente e tuttora dilagante.
Gensan Punch invece parla di pugilato, tema caro al grande cinema americano e asiatico, attraverso una vicenda vera e davvero potente. Quando hai sentito l'esigenza di raccontare la storia di Nao e hai qualche regista che ti ha ispirato?
La necessità di raccontare una storia come questa non è tanto nata dalla volontà di fare un film sul pugilato o di rendere omaggio a una tematica sicuramente molto trattata anche dal cinema asiatico. Cercavo qualcosa di autentico e ho costruito il personaggio di Nao su una storia che avevo letto e che mi aveva profondamente colpito. In qualche modo ho cercato di rifarmi ai canoni classici del boxing movie, portando però avanti una ricerca più precisa sulle immagini e sulle sensazioni. Ho spesso cercato di raccontare la famiglia e con essa anche l'orgoglio che rende umano l'essere umano. Essendo basato su una storia vera, io credo che il momento cruciale sia stato quando ho incontrato i protagonisti di quella storia: è vita vera, è un'esperienza vera e quelle conversazioni sono state la più grande fonte di ispirazione possibile. Un'esperienza davvero unica.
La necessità di raccontare una storia come questa non è tanto nata dalla volontà di fare un film sul pugilato o di rendere omaggio a una tematica sicuramente molto trattata anche dal cinema asiatico. Cercavo qualcosa di autentico e ho costruito il personaggio di Nao su una storia che avevo letto e che mi aveva profondamente colpito. In qualche modo ho cercato di rifarmi ai canoni classici del boxing movie, portando però avanti una ricerca più precisa sulle immagini e sulle sensazioni. Ho spesso cercato di raccontare la famiglia e con essa anche l'orgoglio che rende umano l'essere umano. Essendo basato su una storia vera, io credo che il momento cruciale sia stato quando ho incontrato i protagonisti di quella storia: è vita vera, è un'esperienza vera e quelle conversazioni sono state la più grande fonte di ispirazione possibile. Un'esperienza davvero unica.
Un'immagine da Gensan Punch (2021).
Hai anche prodotto e presentato qui a Roma il bellissimo The Brokers di Daniel Palacio, quanto è importante per te e per il cinema filippino dare spazio a nuovi registi?
Sì, ci sono molti aspetti comuni sia tematici sia stilistici tra il film di Daniel e il mio cinema. Questo perché è un allievo con cui ho lavorato molto e abbiamo portato avanti un'idea condivisa di denuncia della corruzione che colpisce le Filippine. Ma voglio anche ricordare il lavoro fatto da Raymund Ribay Gutierrez che appena due anni fa alla Mostra del cinema di Venezia 2019 è stato premiato dalla giuria nella Sezione Orizzonte per Verdict che parla di violenza domestica. Sono molto fiero del lavoro che stiamo facendo come casa di produzione, ma in generale direi come industria, anche se la strada è molto lunga e la pandemia ha rallentato notevolmente i nostri piani. Lavorare con i giovani è per me un modo per avere una via d'accesso privilegiata alla loro sensibilità e necessità espressiva, credo il cinema stia cambiando molto rapidamente e solo attraverso il loro sguardo è possibile continuare a innovare o almeno provarci.
Ci puoi anticipare qualcosa dei tuoi prossimi progetti? Quali sono le storie che stai cercando?
Cerco il nuovo! Non voglio porre alcun limite alla mia ricerca e sono soprattutto aperto alla sperimentazione di nuovi generi, come l'horror e in tal senso ho appena finito di girarne uno che è già uscito nelle Filippine e che mi auguro arrivi presto in Europa. Sono aperto a realizzare più film rivolti alle nuove generazioni, come Resbak: voglio esplorare, c'è così tanto da scoprire e raccontare, voglio solo continuare ad esprimere me stesso. Le storie saranno anche molto diverse, ma sento che politica e corruzione continueranno ad essere la base da cui intendo ripartire.
Un ringraziamento al direttore artistico di Asian Film Festival Antonio Termenini, all'Ufficio Stampa Elisabetta Castiglioni e, per il lavoro di preparazione, a Enrico Nicolosi e Sofia Quadrelli.
A cura di Andrea Valmori