Busan Film Festival 2023, una panoramica su uno degli eventi festivalieri più importanti al mondo
19/11/2023
Da quasi un ventennio il Busan Film Festival è uno degli eventi festivalieri più importanti al mondo, sicuramente il più rilevante in Asia. Le anteprime mondiali dei grandi cineasti asiatici, una panoramica sul cinema coreano oggi, classici restaurati, un the best of dell’anno che sta per terminare con le hit dei film più premiati dell’anno provenienti da tutto il mondo. New currents, A window on Asian cinema, Korean Cinema today, Jiseok (sezione dedicata ai registi asiatici già piuttosto conosciuti), Icons, Wide angle, Midnight passion (con horror e thriller da tutto il mondo), On screen sulle recenti serie televisive. Queste le tante sezioni di un festival per certi versi bulimico, tutto concentrato a Centum, zona della città che si sviluppa attorno a Haeundae Beach, con tre/quattro multisale che consentono al pubblico di non allontanarsi eccessivamente dai luoghi delle proiezioni. E poi Q&A, incontri stampa, red carpet, e, soprattutto, l’ACFM, un mercato imprescindibile, in particolare per gli organizzatori di eventi che ruotano attorno al cinema asiatico, non meno importante dell’EFM di Berlino o del Marchè di Cannes.
In questa che per estensione e popolazione è la seconda città della Corea del Sud, forse manca un po’ di atmosfera, di empatia, quegli ingredienti che rendono unici alcuni eventi mondano-culturali in giro per il mondo. Eppure, nonostante la chiara aspirazione ad organizzare un festival “perfetto”, senza sbavature, dove ogni dettaglio è curato nei minimi particolari, ci hanno sorpreso alcuni difetti, piccole falle, come la difficoltà a prenotare i biglietti online (problema ormai cronico per quasi tutti i grandi festival internazionali post-covid), con sale sulla carta fully booked, ma in realtà semivuote o piene a metà, perché, naturalmente, c’è sempre chi, all’ultimo minuto, deve rinunciare o non riesce ad arrivare in sala in tempo. O peggio, perché i tanti ragazzi che animano le proiezioni a Busan, si accaparrano un consistente numero di biglietti che poi non si sa dove vanno a finire.
Ciò che rimane davvero imprescindibile a Busan, oltre al vitale mercato, è quindi la variegata selezione che permette di avere un quadro esaustivo dello stato di salute del cinema asiatico oggi, con film di tutti i generi, le anteprime mondiali di grandi autori che preferiscono Busan a Cannes e/o Venezia, oltre a grandi scoperte nelle sezioni dedicate ai giovani cineasti.
In questa edizione, che si è svolta dal 3 all’11 ottobre, quindi, accanto alle nuove opere di maestri come Brillante Mendoza, “Moro”, Hang Sang-soo con “in water” e “in our day”, Hamaguchi con “Devil does not exist”, e i premiatissimi “Inside the yellow cocoon shell” del vietnamita An Pham, vincitore della Camera d’Or al festival di Cannes e “Tiger stripes” di Amand Nell Eu, film malese vincitore della Semaine de la critique a Cannes, il festival di Busan ha mostrato, in anteprima mondiale, titoli di grande interesse. Come “Solid by the seashore” del thailandese Patiparn Boontarig. “Soilds by the seashore” unisce, all’insegna del minimalismo come unica cifra espressiva, l’afflato ambientalista che ormai non può mancare, i diritti delle comunità LGBT ed anche la multireligiosità, in un paese a grande maggioranza buddhista. Un film riuscito nel suo sussurrare quanto accade, nel delineare le psicologie dei protagonisti, nella messa in scena, tutta per sottrazione. Abile nel mettere in scena alcuni degli imprescindibili topics della modernità evitando la retorica, ma con un’abbondante dose di politically correct che gli consente di piacere a diverse tipologie di pubblico.
Un’opera a basso budget, “Oasis of now” di Chia Chee Sum, giovane regista malese autore di alcuni cortometraggi. Chia Chee Sum segue lo sguardo di una madre preoccupata per il suo status di immigrata e per la figlia che potrebbe essere portata via da un momento all’altro. Non si fa quasi mai accenno esplicitamente, nei dialoghi, alla condizione di illegalità e di immigrazione clandestina. La donna vietnamita mantiene sempre un’assoluta compostezza ed osserva. Osserva un microcosmo fatto di piccoli soprusi e violenze, di prevaricazioni soprattutto ai danni dei più deboli. La grande capacità del giovane regista è quella di ritrarre un universo in bilico, in pericolo, in ansia, ammantato, però, da un’incredibile ed impalpabile normalità. Non si può parlare di minimalismo, di sottrazione. “Oasis of now” è un sussurro nell’esistenza di personaggi precari, in cerca di un futuro e di certezze che, probabilmente, non arriveranno mai.
Bellissimo anche “Women from Rotte Isalnd” dell’indonesiano Jeremias Nyangoen che dirige un film dalle tinte forti, senza mezze misure. Un film di grande impatto emotivo, forse sbilanciato nel suo voler essere un manifesto per i diritti delle donne, senza mezze misure, controluce, mediazioni che vuole schierarsi senza il timore di essere retorico e/o scontato in alcuni passaggi ed anche nel delineare le psicologie dei personaggi e le dinamiche che si sviluppano tra di loro. Ma che proprio per la sua immediatezza e forza delle immagini colpisce al cuore di tutti gli spettatori
Dal Giappone due bellissimi film: “Ripples” di Ogigami Naoko, ritratto impietoso di una housewife repressa che si vendica del marito fedifrago e la divertente commedia di Nobuhiro Yamashita, vera e propria lettera d’amore alla città di Kyoto, “One second ahead, one second behind”.
Antonio Termenini
In questa che per estensione e popolazione è la seconda città della Corea del Sud, forse manca un po’ di atmosfera, di empatia, quegli ingredienti che rendono unici alcuni eventi mondano-culturali in giro per il mondo. Eppure, nonostante la chiara aspirazione ad organizzare un festival “perfetto”, senza sbavature, dove ogni dettaglio è curato nei minimi particolari, ci hanno sorpreso alcuni difetti, piccole falle, come la difficoltà a prenotare i biglietti online (problema ormai cronico per quasi tutti i grandi festival internazionali post-covid), con sale sulla carta fully booked, ma in realtà semivuote o piene a metà, perché, naturalmente, c’è sempre chi, all’ultimo minuto, deve rinunciare o non riesce ad arrivare in sala in tempo. O peggio, perché i tanti ragazzi che animano le proiezioni a Busan, si accaparrano un consistente numero di biglietti che poi non si sa dove vanno a finire.
Ciò che rimane davvero imprescindibile a Busan, oltre al vitale mercato, è quindi la variegata selezione che permette di avere un quadro esaustivo dello stato di salute del cinema asiatico oggi, con film di tutti i generi, le anteprime mondiali di grandi autori che preferiscono Busan a Cannes e/o Venezia, oltre a grandi scoperte nelle sezioni dedicate ai giovani cineasti.
In questa edizione, che si è svolta dal 3 all’11 ottobre, quindi, accanto alle nuove opere di maestri come Brillante Mendoza, “Moro”, Hang Sang-soo con “in water” e “in our day”, Hamaguchi con “Devil does not exist”, e i premiatissimi “Inside the yellow cocoon shell” del vietnamita An Pham, vincitore della Camera d’Or al festival di Cannes e “Tiger stripes” di Amand Nell Eu, film malese vincitore della Semaine de la critique a Cannes, il festival di Busan ha mostrato, in anteprima mondiale, titoli di grande interesse. Come “Solid by the seashore” del thailandese Patiparn Boontarig. “Soilds by the seashore” unisce, all’insegna del minimalismo come unica cifra espressiva, l’afflato ambientalista che ormai non può mancare, i diritti delle comunità LGBT ed anche la multireligiosità, in un paese a grande maggioranza buddhista. Un film riuscito nel suo sussurrare quanto accade, nel delineare le psicologie dei protagonisti, nella messa in scena, tutta per sottrazione. Abile nel mettere in scena alcuni degli imprescindibili topics della modernità evitando la retorica, ma con un’abbondante dose di politically correct che gli consente di piacere a diverse tipologie di pubblico.
Un’opera a basso budget, “Oasis of now” di Chia Chee Sum, giovane regista malese autore di alcuni cortometraggi. Chia Chee Sum segue lo sguardo di una madre preoccupata per il suo status di immigrata e per la figlia che potrebbe essere portata via da un momento all’altro. Non si fa quasi mai accenno esplicitamente, nei dialoghi, alla condizione di illegalità e di immigrazione clandestina. La donna vietnamita mantiene sempre un’assoluta compostezza ed osserva. Osserva un microcosmo fatto di piccoli soprusi e violenze, di prevaricazioni soprattutto ai danni dei più deboli. La grande capacità del giovane regista è quella di ritrarre un universo in bilico, in pericolo, in ansia, ammantato, però, da un’incredibile ed impalpabile normalità. Non si può parlare di minimalismo, di sottrazione. “Oasis of now” è un sussurro nell’esistenza di personaggi precari, in cerca di un futuro e di certezze che, probabilmente, non arriveranno mai.
Bellissimo anche “Women from Rotte Isalnd” dell’indonesiano Jeremias Nyangoen che dirige un film dalle tinte forti, senza mezze misure. Un film di grande impatto emotivo, forse sbilanciato nel suo voler essere un manifesto per i diritti delle donne, senza mezze misure, controluce, mediazioni che vuole schierarsi senza il timore di essere retorico e/o scontato in alcuni passaggi ed anche nel delineare le psicologie dei personaggi e le dinamiche che si sviluppano tra di loro. Ma che proprio per la sua immediatezza e forza delle immagini colpisce al cuore di tutti gli spettatori
Dal Giappone due bellissimi film: “Ripples” di Ogigami Naoko, ritratto impietoso di una housewife repressa che si vendica del marito fedifrago e la divertente commedia di Nobuhiro Yamashita, vera e propria lettera d’amore alla città di Kyoto, “One second ahead, one second behind”.
Antonio Termenini