Christian Mungiu e i suoi animali selvatici così umani
13/07/2023
All’interno della “new wave rumena”, corrente stilistica con cui si identifica il filone di film realisti e minimalisti, molti di questi ambientati alla fine degli anni 80’, dopo il crollo del regime autoritario di Nicolae Ceaușescu, il regista Christian Mungiu si è saputo distinguere come uno degli autori più talentuosi del cinema, non solo nel suo paese, ma anche a livello europeo. La sua grande sensibilità e capacità di osservare l’essere umano, sia nei suoi sentimenti universali, sia nel particolare, guardando alla situazione della sua amata e disastrata Romania, lo rendono molto versatile, in grado di spaziare tra storie e drammi diversa natura. Dopo il suo primo lungometraggio Occident (2002), il vero successo arriverà con il film che nel 2007 scosse Cannes, 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, raccontando, con immagini molto forti, il delicato tema dell’aborto, in un paese in cui ancora era considerato un reato.

Il regista dimostra una grande attenzione ai personaggi femminili, sia nella vicenda drammatica di oppressione a cui erano sottoposte le due ragazze prigioniere del monastero ortodosso che fa da sfondo alla vicenda de Oltre le colline (2012) a quello di una giovane e del suo rapporto problematico con il padre nel film Un padre, una figlia (2016).

In quello che è il suo ultimo film, Animali selvatici, Mungiu parte sempre dalla Romania, ma per trattare un tema che riguarda tutti noi, ancor drammaticamente attuale, ovvero quello della xenofobia.

Matthias, un uomo piuttosto burbero e taciturno, perde il suo lavoro all’interno di un mattatoio in Germania e fa ritorno nel suo sperduto, piccolo paese d’origine, nel cuore delle foreste della Transilvania. Cerca di riallacciare i rapporti con la sua ex moglie e riprendere faticosamente le redini della famiglia, imponendo una più rigida educazione a suo figlio, rimasto sotto shock dopo aver visto qualcosa nel bosco mentre si recava a scuola. L’uomo deve anche occuparsi del padre malato e, nel contempo, si riavvicina alla sua vecchia amante Csilla, che gestisce un panificio, la quale decide di assumere, come nuovi dipendenti, due immigrati cingalesi. La loro presenza non sarà gradita all’interno della piccola e chiusa comunità del paese, scatenando un moto di razzismo e violenza nei loro confronti.

In un mondo sempre più globalizzato, interconnesso, in cui ci aspetteremmo una riduzione delle differenze culturali e nazionali, troviamo ancora insanabili contrasti, guardando con sospetto chi è semplicemente diverso da noi. Anzi, proprio la situazione della Romania, così come della comunità del paese che fa da sfondo alla storia, vede la convivenza con minoranze diverse. Invece, a dispetto di quanto ci si potrebbe aspettare, non c’è tolleranza, ma lo straniero viene rigettato e marginalizzato, come fosse un insetto fastidioso. 

Mungiu parte da un piccolo paese della Transilvania, per fare una riflessione generale sulle contraddizioni del mondo contemporaneo. Con una regia decisa, fatta di piani fissi e intensi, il regista mostra come negli esseri umani si nasconda un lato animalesco, quello istintivo e irrazionale, che prevale su qualsiasi senso di progresso o uguaglianza che sembravano ormai essere dati per scontati al giorno d’oggi. Particolarmente memorabile, è il lungo piano sequenza dell’assemblea cittadina in cui la gente dimostra, con le sue velenose lamentele, tutti i pregiudizi e la cattiveria verso i due stranieri.

Ciò che emerge da questa storia è che, in fondo, rimane sempre qualcosa di ancestrale, insito nella natura umana che non potrà mai venire meno, ovvero la naturale conflittualità tra gli esseri umani e che vogliono ottenere la supremazia l’uno sull’altro. Più aperte al dialogo sembrano essere invece le donne, che però vengono inesorabilmente schiacciate da queste dinamiche sociali ingiuste, come Csilla che cerca faticosamente di difendere i due stranieri.

Gli esseri umani sono indubbiamente gli “animali” più complessi da analizzare, soprattutto nei loro comportamenti e nella relazione con altri esemplari della loro stessa specie. L’occhio acuto e penetrante del regista sembra osservarli al microscopio, in maniera oggettiva, senza condizionare in alcun modo il pubblico con un suo giudizio o prospettiva particolare da cui osservare i personaggi. È sempre stata questa la sua volontà autoriale, quella di raccontare la realtà, umana e sociale insieme, in tutta la sua crudezza, senza sconti per nessuno. Perché, in fondo, pur adattandoci alle convenzioni sociali, c’è sempre un animale selvatico dentro di noi che risveglia i nostri più incontenibili istinti.

A cura di Elena Musolino 

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