«Un realismo inseguito attraverso la finzione e i trucchi del cinema, un inganno veicolato dalla fantasia e dalla creatività che infrangono regole consolidate in nome di un gioco stimolante e beffardo; come beffardo è il destino di Kane, vero e proprio alter ego di Welles, personaggio bigger than life, ambizioso e geniale, megalomane ma inconcludente, disperatamente bisognoso di affetto eppure incapace di amare, refrattario a compromessi e ad accettare condizioni imposte da altri, condannato per questo alla solitudine e alla sconfitta»
È un passaggio della recensione di Quarto potere, una delle più belle e importanti che tu, Marco, abbia scritto per LongTake.
Dicevi di averci messo mesi a pensarla e a scriverla, ma nessuno di noi ci credeva davvero: potresti anche averla scritta di getto, come spesso ti capitava quando i ritmi aumentavano ai festival, o come quando tempestivamente (prima di tutti gli altri) uscivi con notizie che ancora facevano fatica a battere le agenzie. O magari era vero, ci avevi messo davvero molto tempo, perché sei sempre stato un grande perfezionista, un (grande) critico cinematografico preciso, puntuale, affidabile, che voleva sempre migliorarsi nonostante la sua lunga esperienza in materia.

Sei nato il 6 settembre del 1983 e da quel giorno, o almeno da quando noi ti abbiamo conosciuto, hai sempre mangiato e respirato cinema. Dicevi di sentirti spesso inadeguato, riprendendo un discorso dell’adorato Nanni Moretti, ma proprio le persone che si sentono così sono anche le più sensibili, proprio come te, che ti prendevi a carico molte cose e ti eri aperto perfino con noi soltanto negli ultimi mesi. Un amico, oltre che un grande professionista, che avevamo trovato e che con noi rimarrà per sempre. Così ti eri descritto su altre pagine, qualche anno fa: «Marco Valerio […] vede, vive, mangia e respira cinema 365 giorni l’anno e ne scrive con l’ambizione di fare della propria passione un lavoro a tempo pieno. Cultore di Scorsese, Lynch e Fellini; discepolo di Monicelli, Coen e Moretti, appassionato di Polanski, Kubrick, Hitchcock, Welles e Pasolini: soprattutto amante del cinema di qualità. Come disse Frank Capra: “Il cinema è una malattia, quando entra nel sangue prende il sopravvento. È come avere Jago nel cervello e, come per l’eroina, l’unico antidoto a un film è un altro film”».
Seguivi tanto sport, aspettavamo i tuoi post sulle olimpiadi, eri esperto di calcio e appassionato di basket: tifavi i Boston Celtics. Ti sei laureato a Milano in Scienze dello Spettacolo e scrivevi per testate importanti, da whipart a i-filmsonline, passando per MilanoWeekend e tantissime altre.

Amavi LongTake, eri orgoglioso di farne parte, di essere un redattore (parola a cui tenevi particolarmente), di avere scritto alcune delle recensioni più importanti del dizionario, di gestire le news, aver ricevuto i complimenti dalla Mostra di Venezia e di aver presentato l’ultimo film di Tom Ford nella rassegna Venezia a Milano. Non sempre eri d’accordo coi voti del sito, che spesso volevi più alti, poiché, tanto con le persone quanto coi film, eri sempre generoso e sapevi di avere bisogno di loro per affrontare ogni giornata.
Nelle ultime settimane hai preso l’agognato tesserino da pubblicista. All’ultima Venezia inizialmente non volevi venire e poi ne sei stato professionalmente felice: hai amato l’ultimo Larraín, Jackie, di cui hai scritto e che hai scelto come (ultima) immagine di copertina della tua pagina facebook. Avevi già l’accredito per il prossimo Festival di Roma (ndr: per questo motivo il nostro sito, oltre a fare due giorni di completo silenzio, non seguirà i film del Festival di Roma 2016, si limiterà a condividere unicamente recensioni già presenti a sistema prima dell’inizio del Festival) e fatto tanti piani importanti per il futuro.
Eravamo in riunione tutti insieme la sera prima di quel tragico 5 ottobre, maledetto, quando abbiamo ricevuto la terribile notizia, inattesa e a cui ancora non riusciamo a credere. E forse non ci riusciremo mai.

Perché per noi sarai sempre qui, e forse presto ci racconterai del nuovo Scorsese che tanto attendevi e che siamo certi vedrai prima di noi. Sarai sempre nella nostra redazione, aspetteremo le tue mail mattutine in cui ci elenchi le news che hai preparato pronte da programmare sui social, le tue splendide recensioni, i tuoi consigli e i tuoi pareri. E no, Marco, non pensare che non ti arriveranno più i temutissimi planning quotidiani. Sarai sempre qui con noi, dentro LongTake e dentro tutti gli altri siti per cui lavoravi. Perché se tu eri orgoglioso di lavorare per LongTake, non sai quanto LongTake fosse orgogliosa di te e di tutto il supporto che hai dato fin dal primo giorno, fin da una notturna conversazione su Skype in cui ti esponevamo il progetto e… non ci hai pensato un secondo: volevi subito imbarcarti in questa, forse folle, impresa. Sarai sempre qui e sarai sempre nelle sale dove andremo, tra un’anteprima milanese e la Mostra di Venezia, tra l’Apollo e la Sala Darsena. E forse ora avrai una sala tutta tua, un cinema che era il posto dove più amavi stare, osservando quelle immagini sullo schermo su cui spesso ti scioglievi, lasciando andare quelle emozioni che trattenevi invece nella vita di tutti i giorni.
Non ha senso, Marco, chiudere questo articolo con qualcosa di nostro, tu lo sai. Ha senso chiuderlo con qualcosa di tuo, una delle ultime frasi che hai scritto e che forse, oltre che del bellissimo film di cui hai parlato, diceva qualcosa anche di te:
«Ma Jackie è anche una riflessione sulla crudele labilità del tempo e della memoria, oltre che sull’universale senso di solitudine e inadeguatezza dinanzi al volgere degli eventi che accomuna ogni essere umano, speranzoso di lasciare un segno di sé nelle pagine della storia, dando un senso alla propria esistenza e alla propria sofferenza, quotidiana o straordinaria che essa sia, sempre alla ricerca di un barlume, sfuggevole e intenso, di felicità e della propria personale Camelot».
