Cinema e psicoanalisi: i vostri contributi!
01/04/2023
Al termine delle due giornate dedicate a "Cinema e psicoanalisi" abbiamo invitato i partecipanti a scrivere un articolo sui temi trattati durante gli incontri. Ecco le più interessanti:
La “costruzione” del presente
di Lucia Cirillo
Quello che segue non è esattamente un esempio di rapporto tra psicoanalisi e cinema, ma quello tra psicoanalisi e un sofisticato prodotto seriale, abbastanza assimilabile ad una esperienza cinematografica degna di riflessione, sul ruolo del ricordo “selettivo” del presente “eterodiretto”.
“Sono carne da macello? Per questo mi avete cancellato i ricordi?”. In “Scissors” i protagonisti acconsentono a vivere il presente senza dimenticare nulla, a patto di trovarsi nel luogo adatto per poterlo fare, accettando, di fatto, di vivere due vite contemporaneamente, una lavorativa e una privata, che non si confondono mai. L’incontro con l’altro, in un altrove non delimitato dallo spazio in cui si conoscevano già, sarà percepito come non avvenuto in precedenza. Come se il prima, e l’altrove, fossero dei limiti concettuali, imposti da un’entità in grado di generare e monitorare questo tipo di condizione, in cui i soggetti decidono però di aderire in piena coscienza. Il protagonista lavora in un archivio, un immane database a disposizione, ma quando è fuori da quell’ufficio asettico, sotterraneo, in cui non si sa bene per cosa si sta davvero lavorando, conduce una vita in cui è totalmente all’oscuro di quello che sta realmente facendo. Tuttavia, è pienamente cosciente del fatto che, una volta fuori da lì, la sua vita procederà senza rischio, ma anche senza ricordare nulla di quanto avvenuto durante le ore di lavoro. Plagio? O piena coscienza del proprio stato? Soggiogamento? Oppure una forma di autotutela per evitare un sapere “ingombrante”?
Biforcazione dei ricordi. Una parte di sè rimane intrappolata nel luogo in cui ha stazionato, l’accesso ai ricordi è dettato dallo spazio in cui ci si trova. L’incontro con l’altro non è più strumento di definizione della propria identità, ma parte di un processo di alterazione irreversibile che distorce il presente, non i ricordi passati, non la percezione “generica” del tempo, ma proprio il qui ed ora.
Lo scopo, dunque, non è quello di cancellare i ricordi ma di separarli e relegarli in contesti ben definiti. In “se mi lasci ti cancello”, ad esempio, si creavano dei vuoti nel ricordo di parti del passato. Ne “la donna che visse due volte” si ripercorre a ritroso un passato da recuperare grazie ad un “fantasma”. In “Persona” invece il tentativo di “recuperare” in modo terapeutico il passato avviene tutto attraverso il racconto.
”Scissors” sembra invece tentare di andare oltre le sopra citate metodologie di elaborazione del rimosso, addirittura ipotizzando che la volontà di delegare a qualcun altro il controllo della propria mente, dei ricordi e del quotidiano, possa costituire una sorta di adesione, liberamente espressa e sottoscritta, dalla “vittima” stessa. Tesi decisamente ardita per le implicazioni non soltanto psicoanalitiche che la serie, molto acutamente, solleva.
Chi è Freud, un passeggero?
di Cristina Contini
Chiunque abbia visto al cinema o in televisione il celebre film Titanic del 1997, diretto da James Cameron, ha certamente sperimentato lo smarrimento, l’angoscia ed il sapore tragico di un dramma collettivo.
Si è scritto moltissimo del successo di questo capolavoro mainstream e del magnetismo che ha esercitato su molti spettatori, tornati più volte in sala per immergersi nel viaggio inaugurale e fatale del transatlantico.
La prima ora del film, quella più luminosa e maestosa, con scene caratterizzate da un’esplorazione esuberante e vorace dei dettagli della nave, offre anche una panoramica sui personaggi principali del racconto ma anche sui tantissimi passeggeri presenti a bordo.
Una scena molto coinvolgente e simpatica di questo inizio gioioso ed entusiasmante è il pranzo nel ristorante di prima classe, illuminato con una luce intensa, la luce del sole e del mare di una giornata perfetta.
Al tavolo siedono la protagonista Rose De Witt Bukater, sua madre, il suo futuro marito Cal, Joseph Bruce Ismay, amministratore delegato della compagnia marittima White Star Line, l’ingegnere Thomas Andrews e Margareth Molly Brown.
La conversazione è serena e conviviale fino a quando Ismay inizia ad elogiare senza freni le dimensioni del Titanic, la nave più grande mai costruita; a chi gli chiede il motivo del nome, lui risponde che voleva trasmettere grandezza pura, stabilità, lusso e forza.
Provocatoria e sagace, Rose/K. Winslet cita il Dottor Freud e le sue ‘teorie sulle preoccupazioni del maschio riguardo la grandezza’ ma Ismay sembra non conoscerlo e risponde con la celebre esclamazione ‘Chi è Freud? Un passeggero?’, tra l’altro una battuta non prevista dal copione ma spontaneamente recitata dall’attore Jonathan Hyde.
Un momento divertente e spensierato anticipa una lettura con diversi spunti psicanalitici della tragedia raccontata nel film dello scontro con l’iceberg e del rapido naufragio del Titanic.
Il delirio di onnipotenza della società di quei tempi, le pulsioni dei ricchi e e degli aristocratici di cui tutti scrivevano e parlavano (all’epoca non c’era ancora il culto delle star del cinema) che volevano vivere e viaggiare nel lusso; ma anche l’‘es’ delle persone povere, che vibranti di speranza e di uno slancio fresco ed istintivo verso un futuro migliore, scelsero la terza classe per cercare fortuna e un posto tutto loro nel nuovo mondo.
L’inaffondabile Titanic è la metafora di una ‘psiche collettiva’ che dimentica nei giorni della traversata il suo Super Io: l’armatore brama di arrivare prima della data prevista a New York, sorprendendo la stampa ed il mondo intero e chiedendo al capitano Smith di navigare più velocemente; lo stesso capitano ignora più volte i messaggi telegrafati che segnalano la presenza di ghiacci ed iceberg sulla rotta e non avvisa neanche il suo equipaggio, le vedette esplorano il mare ad occhio nudo senza i binocoli, rimasti in un armadio chiuso a chiave per errore/rimozione …
La tragedia incombe sulla sensazione unanime di onnipotenza, James Cameron tratteggia benissimo i personaggi che negano in un primo momento la gravità dell’incidente e la possibilità di non arrivare a destinazione ma è proprio Thomas Andrews a sancire all’armatore ‘La nave è fatta di ferro, signore. Le assicuro che può affondare. E affonderà’.
Freud non era forse un passeggero del Titanic, ma il principio del piacere - e solo alla fine quello di realtà - guida molto il racconto di Cameron e molte sue scelte di regia, come l’opulenza dei set, l’accuratezza dei costumi e degli ambienti, la sua passione/ossessione per i dettagli e per l’estetica delle immagini, anche quelle più dolorose.
La “costruzione” del presente
di Lucia Cirillo
Quello che segue non è esattamente un esempio di rapporto tra psicoanalisi e cinema, ma quello tra psicoanalisi e un sofisticato prodotto seriale, abbastanza assimilabile ad una esperienza cinematografica degna di riflessione, sul ruolo del ricordo “selettivo” del presente “eterodiretto”.
“Sono carne da macello? Per questo mi avete cancellato i ricordi?”. In “Scissors” i protagonisti acconsentono a vivere il presente senza dimenticare nulla, a patto di trovarsi nel luogo adatto per poterlo fare, accettando, di fatto, di vivere due vite contemporaneamente, una lavorativa e una privata, che non si confondono mai. L’incontro con l’altro, in un altrove non delimitato dallo spazio in cui si conoscevano già, sarà percepito come non avvenuto in precedenza. Come se il prima, e l’altrove, fossero dei limiti concettuali, imposti da un’entità in grado di generare e monitorare questo tipo di condizione, in cui i soggetti decidono però di aderire in piena coscienza. Il protagonista lavora in un archivio, un immane database a disposizione, ma quando è fuori da quell’ufficio asettico, sotterraneo, in cui non si sa bene per cosa si sta davvero lavorando, conduce una vita in cui è totalmente all’oscuro di quello che sta realmente facendo. Tuttavia, è pienamente cosciente del fatto che, una volta fuori da lì, la sua vita procederà senza rischio, ma anche senza ricordare nulla di quanto avvenuto durante le ore di lavoro. Plagio? O piena coscienza del proprio stato? Soggiogamento? Oppure una forma di autotutela per evitare un sapere “ingombrante”?
Biforcazione dei ricordi. Una parte di sè rimane intrappolata nel luogo in cui ha stazionato, l’accesso ai ricordi è dettato dallo spazio in cui ci si trova. L’incontro con l’altro non è più strumento di definizione della propria identità, ma parte di un processo di alterazione irreversibile che distorce il presente, non i ricordi passati, non la percezione “generica” del tempo, ma proprio il qui ed ora.
Lo scopo, dunque, non è quello di cancellare i ricordi ma di separarli e relegarli in contesti ben definiti. In “se mi lasci ti cancello”, ad esempio, si creavano dei vuoti nel ricordo di parti del passato. Ne “la donna che visse due volte” si ripercorre a ritroso un passato da recuperare grazie ad un “fantasma”. In “Persona” invece il tentativo di “recuperare” in modo terapeutico il passato avviene tutto attraverso il racconto.
”Scissors” sembra invece tentare di andare oltre le sopra citate metodologie di elaborazione del rimosso, addirittura ipotizzando che la volontà di delegare a qualcun altro il controllo della propria mente, dei ricordi e del quotidiano, possa costituire una sorta di adesione, liberamente espressa e sottoscritta, dalla “vittima” stessa. Tesi decisamente ardita per le implicazioni non soltanto psicoanalitiche che la serie, molto acutamente, solleva.
Chi è Freud, un passeggero?
di Cristina Contini
Chiunque abbia visto al cinema o in televisione il celebre film Titanic del 1997, diretto da James Cameron, ha certamente sperimentato lo smarrimento, l’angoscia ed il sapore tragico di un dramma collettivo.
Si è scritto moltissimo del successo di questo capolavoro mainstream e del magnetismo che ha esercitato su molti spettatori, tornati più volte in sala per immergersi nel viaggio inaugurale e fatale del transatlantico.
La prima ora del film, quella più luminosa e maestosa, con scene caratterizzate da un’esplorazione esuberante e vorace dei dettagli della nave, offre anche una panoramica sui personaggi principali del racconto ma anche sui tantissimi passeggeri presenti a bordo.
Una scena molto coinvolgente e simpatica di questo inizio gioioso ed entusiasmante è il pranzo nel ristorante di prima classe, illuminato con una luce intensa, la luce del sole e del mare di una giornata perfetta.
Al tavolo siedono la protagonista Rose De Witt Bukater, sua madre, il suo futuro marito Cal, Joseph Bruce Ismay, amministratore delegato della compagnia marittima White Star Line, l’ingegnere Thomas Andrews e Margareth Molly Brown.
La conversazione è serena e conviviale fino a quando Ismay inizia ad elogiare senza freni le dimensioni del Titanic, la nave più grande mai costruita; a chi gli chiede il motivo del nome, lui risponde che voleva trasmettere grandezza pura, stabilità, lusso e forza.
Provocatoria e sagace, Rose/K. Winslet cita il Dottor Freud e le sue ‘teorie sulle preoccupazioni del maschio riguardo la grandezza’ ma Ismay sembra non conoscerlo e risponde con la celebre esclamazione ‘Chi è Freud? Un passeggero?’, tra l’altro una battuta non prevista dal copione ma spontaneamente recitata dall’attore Jonathan Hyde.
Un momento divertente e spensierato anticipa una lettura con diversi spunti psicanalitici della tragedia raccontata nel film dello scontro con l’iceberg e del rapido naufragio del Titanic.
Il delirio di onnipotenza della società di quei tempi, le pulsioni dei ricchi e e degli aristocratici di cui tutti scrivevano e parlavano (all’epoca non c’era ancora il culto delle star del cinema) che volevano vivere e viaggiare nel lusso; ma anche l’‘es’ delle persone povere, che vibranti di speranza e di uno slancio fresco ed istintivo verso un futuro migliore, scelsero la terza classe per cercare fortuna e un posto tutto loro nel nuovo mondo.
L’inaffondabile Titanic è la metafora di una ‘psiche collettiva’ che dimentica nei giorni della traversata il suo Super Io: l’armatore brama di arrivare prima della data prevista a New York, sorprendendo la stampa ed il mondo intero e chiedendo al capitano Smith di navigare più velocemente; lo stesso capitano ignora più volte i messaggi telegrafati che segnalano la presenza di ghiacci ed iceberg sulla rotta e non avvisa neanche il suo equipaggio, le vedette esplorano il mare ad occhio nudo senza i binocoli, rimasti in un armadio chiuso a chiave per errore/rimozione …
La tragedia incombe sulla sensazione unanime di onnipotenza, James Cameron tratteggia benissimo i personaggi che negano in un primo momento la gravità dell’incidente e la possibilità di non arrivare a destinazione ma è proprio Thomas Andrews a sancire all’armatore ‘La nave è fatta di ferro, signore. Le assicuro che può affondare. E affonderà’.
Freud non era forse un passeggero del Titanic, ma il principio del piacere - e solo alla fine quello di realtà - guida molto il racconto di Cameron e molte sue scelte di regia, come l’opulenza dei set, l’accuratezza dei costumi e degli ambienti, la sua passione/ossessione per i dettagli e per l’estetica delle immagini, anche quelle più dolorose.