Diario dal Far East Film Festival 23: Il racconto della seconda giornata Udine entra nel Limbo di Pou Soi-cheang, sorprende Voice of Silence
26/06/2021
Dopo l’apertura di giovedì, la programmazione del Far East Film Festival è entrata finalmente a pieno regime, con tante proposte e titoli per tutti i gusti.
Tra le sorprese di giornata si segnala Voice of Silence (Sorido eopsi), esordio alla regia della promettente Hong Eui-jeong. Una commedia tra dramma sociale e gangster movie che racconta la vita di Tae-in (Yoo Ah-in) e Chang-bok (Yoo Jae-myung). Tra la vendita di uova e i loschi affari legati alla malavita coreana, il chiacchierone Chang-bok, più vecchio dell’amico, dispensa a Tae-in consigli sulla vita e sulla religione ricordando, per comportamenti e corporatura, gli indimenticabili Laurel & Hardy. Tae-in non parla: ineffabilità difficile da comprendere e motivare, ma che è simbolo coerente della cifra umoristica che percorre l’intera pellicola.
Hong Eui-jeong è stata elogiata dalla critica coreana quando il suo film, in piena pandemia, è riuscito ad arrivare in sala. Voice of Silence è un’opera estremamente equilibrata nei toni e sorprendente nella capacità di sovrapporre la tranquillità dell’ambientazione rurale a omicidi e personaggi grotteschi. Per la produzione del film si segnala il supporto della Biennale College, a cui va il plauso per aver investito su un talento che tornerà a far parlare di sé.
Tra mattina e pomeriggio, al Visionario e online su MyMovies, è stato anche il turno di Underdog (Andadoggu, parte 1 & 2) di Take Masaharu (Cafe Seoul, Unsung Hero, 100 Yen Love). Il regista giapponese ha salutato il pubblico del festival con un video all’insegna del ricordo delle tante emozioni vissute a Udine negli anni passati.
Underdog è un’epopea in due atti sul pugilato, 246 minuti di frammenti di vita tra ricordi, relazioni e soprattutto incontri tra pesi piuma. Adachi Shin firma nuovamente una sceneggiatura sulla boxe per Take dopo 100 Yen Love del 2014. Tre pugili, ma soprattutto tre underdogs (“sfavoriti”), sono al centro di questa grande e lunga storia: Suenaga Akira (Moriyama Mirai), un ex contendente al titolo a fine carriera, Miyagi Shun (Katsuji Ryo), comico che vede il pugilato come ultima chance di carriera nello show business, e Omura Ryuta (Kitamura Takumi), pugile emergente con un futuro brillante ma un passato violento.
Al di là degli intrecci di trama e dei tanti incontri di boxe, Underdog si concentra soprattutto sugli uomini dietro le protezioni gommate rosse e blu. Genitori, figli, mogli e amanti: il trio protagonista non combatte per ricchezza e fama, bensì per ottenere redenzione. Una visione impegnativa che convince maggiormente nel suo primo atto.
Una giornata che ha visto come filo conduttore il tema del corpo: quello mercificato di Son of the Macho Dancer, rivisitazione contemporanea del classico queer di Lino Brocka, quello alienato dei protagonisti di Madalena di Emily Chan, quello straziato dell’infernale Limbo, ultimo thriller dello specialista Pou Soi-cheang.
Con Son of the Macho Dancer il prolifico regista filippino Joel Lamangan (118 titoli all’attivo, and counting) punta al melodramma almodovariano, non disdegnando situazioni tipiche del genere sexploitation. Il protagonista Inno, giovane e dotato, ha tutto per diventare una star dei locali di spogliarello di Manila, come il padre prima di lui (interpretato da Allan Paule, protagonista del Macho Dancer di Brocka del 1988); ma presto il ragazzo finisce nella rete del ricco e spietato Mallari, dove conosce l’orrore dello sfruttamento. Il tema interessante della prostituzione maschile viene ahinoi trattato con toni da sceneggiata televisiva: la regia è elementare e senza spunti, come non ci si dovrebbe aspettare da un regista esperto, la storia non ha abbastanza forza per trainare il film e nemmeno grandi star del cinema filippino come Paule e Jacklyn Jose riescono a sollevare il prodotto dal proprio piattume. E alla fine, più che a Lino Brocka si pensa a Lino Banfi.
Decisamente migliore Madalena di Emily Chan, storia d’amore tra due anime perse in una Macao diversa da quella turistica, in cui le luci al neon illuminano strade solitarie e appartamenti sovraffollati. Il titolo del film deriva dall’unione dei nomi dei protagonisti: Mada (Louis Cheung) è un tassista alcolizzato che passa le proprie giornate a rivangare il passato nel proprio appartamento, Lena (Chrissie Chau) lavora come cameriera in un ristorante e come ragazza immagine in un locale per guadagnare i soldi necessari a tornare in Cina da madre e figlia. I due si incontrano, si innamorano, progettano un futuro insieme. Ma il passato si mette di traverso… I due protagonisti, che avevano già lavorato insieme in Hotel Soul Good di Yan Pak-wing, presentato a Udine due edizioni fa, sono convincenti e affiatati, ma purtroppo la storia è troppo stereotipata per essere presa sul serio, e l’opera cerca con insistenza la lacrima e la commozione a ogni costo. Il film si fa interessante quando racconta la realtà sociale dell’ex colonia portoghese, quella lontana dalle cartoline e dai casinò, fatta di case ammuffite e persone sfruttate. Entrambi i personaggi vogliono fuggire ed entrambi bevono “come se ne dipendesse la loro vita”: lui per non soffrire e lei per farsi dare qualche extra dai clienti che la invitano al tavolo. Il lieto fine arriva sui titoli di coda, ma appare un po’ forzato e fa storcere il naso.
Se i protagonisti di Madalena compiono, come l’omonima peccatrice dei vangeli, un percorso tortuoso dall’ombra alla luce, quelli di Limbo sembrano destinati alla dannazione. Già dall’introduzione al film Pou Soi-cheang mette le cose in chiaro: la sua ultima opera è un vero e proprio viaggio all’inferno. Protagonisti sono due poliziotti, il rookie Will Ren (Mason Lee) e il tormentato Cham Lau (Gordon Lam), alle prese con una serie di macabri ritrovamenti di mano sinistre mozzate. La caccia al mutilatore li porterà nei putridi anfratti di una Hong Kong mai così mostruosa; e tenendo conto di come spesso la città è stata rappresentata dal suo stesso cinema è un risultato non da poco. Con Limbo Pou Soi-cheang ritorna al nichilismo dei primi film, e in particolare di Dog Bite Dog, che lo fece conoscere proprio al pubblico di Udine nel 2007. Il direttore della fotografia Cheng Siu-keu sceglie un bianco e nero fortemente contrastato e per nulla elegante; il formato panoramico non fa che contribuire al senso di oppressione, stando ben attento a includere spesso nell’inquadratura il panorama senza speranza dei grattacieli. Limbo è un film che punta dritto ai sensi, e non lo fa in maniera piacevole: i suoni sono quelli delle mosche che si posano sui rifiuti che tappezzano (letteralmente) le strade, gli odori sono quelli della decomposizione. I corpi vengono martoriati e mutilati, picchiati e annichiliti: il trattamento subito da Wong To (una straordinaria Cya Lyu), giovane in cerca di redenzione, ne rappresenta l’apice. Il modo in cui la ragazza si aggrappa alla vita è commovente, ma il regista non le concede nulla se non all’ultimissimo istante. Segnata dalla colpa di un incidente tremendo che ha coinvolto la famiglia di Cham, Wong To è animata dal desiderio di espiazione; ma questo le è costantemente negato, perché l’inferno è fatto per pagare e non per redimersi. Sebbene non sia esente da punti deboli, e a volte giochi un po’ troppo a fare il greatest hits del serial killer movie, Limbo è un’opera terribile e un thriller coinvolgente che lascia senza fiato e ci fa sentire.
Tra i film di sabato 26 giugno troviamo le opere prime The Goldfish e Like Father and Son, il fantascientifico Seobok e il romantico My Missing Valentine.
Vi diamo appuntamento a domani con il Diario dal Far East!
Tra le sorprese di giornata si segnala Voice of Silence (Sorido eopsi), esordio alla regia della promettente Hong Eui-jeong. Una commedia tra dramma sociale e gangster movie che racconta la vita di Tae-in (Yoo Ah-in) e Chang-bok (Yoo Jae-myung). Tra la vendita di uova e i loschi affari legati alla malavita coreana, il chiacchierone Chang-bok, più vecchio dell’amico, dispensa a Tae-in consigli sulla vita e sulla religione ricordando, per comportamenti e corporatura, gli indimenticabili Laurel & Hardy. Tae-in non parla: ineffabilità difficile da comprendere e motivare, ma che è simbolo coerente della cifra umoristica che percorre l’intera pellicola.

Hong Eui-jeong è stata elogiata dalla critica coreana quando il suo film, in piena pandemia, è riuscito ad arrivare in sala. Voice of Silence è un’opera estremamente equilibrata nei toni e sorprendente nella capacità di sovrapporre la tranquillità dell’ambientazione rurale a omicidi e personaggi grotteschi. Per la produzione del film si segnala il supporto della Biennale College, a cui va il plauso per aver investito su un talento che tornerà a far parlare di sé.
Tra mattina e pomeriggio, al Visionario e online su MyMovies, è stato anche il turno di Underdog (Andadoggu, parte 1 & 2) di Take Masaharu (Cafe Seoul, Unsung Hero, 100 Yen Love). Il regista giapponese ha salutato il pubblico del festival con un video all’insegna del ricordo delle tante emozioni vissute a Udine negli anni passati.
Underdog è un’epopea in due atti sul pugilato, 246 minuti di frammenti di vita tra ricordi, relazioni e soprattutto incontri tra pesi piuma. Adachi Shin firma nuovamente una sceneggiatura sulla boxe per Take dopo 100 Yen Love del 2014. Tre pugili, ma soprattutto tre underdogs (“sfavoriti”), sono al centro di questa grande e lunga storia: Suenaga Akira (Moriyama Mirai), un ex contendente al titolo a fine carriera, Miyagi Shun (Katsuji Ryo), comico che vede il pugilato come ultima chance di carriera nello show business, e Omura Ryuta (Kitamura Takumi), pugile emergente con un futuro brillante ma un passato violento.
Al di là degli intrecci di trama e dei tanti incontri di boxe, Underdog si concentra soprattutto sugli uomini dietro le protezioni gommate rosse e blu. Genitori, figli, mogli e amanti: il trio protagonista non combatte per ricchezza e fama, bensì per ottenere redenzione. Una visione impegnativa che convince maggiormente nel suo primo atto.
Una giornata che ha visto come filo conduttore il tema del corpo: quello mercificato di Son of the Macho Dancer, rivisitazione contemporanea del classico queer di Lino Brocka, quello alienato dei protagonisti di Madalena di Emily Chan, quello straziato dell’infernale Limbo, ultimo thriller dello specialista Pou Soi-cheang.
Con Son of the Macho Dancer il prolifico regista filippino Joel Lamangan (118 titoli all’attivo, and counting) punta al melodramma almodovariano, non disdegnando situazioni tipiche del genere sexploitation. Il protagonista Inno, giovane e dotato, ha tutto per diventare una star dei locali di spogliarello di Manila, come il padre prima di lui (interpretato da Allan Paule, protagonista del Macho Dancer di Brocka del 1988); ma presto il ragazzo finisce nella rete del ricco e spietato Mallari, dove conosce l’orrore dello sfruttamento. Il tema interessante della prostituzione maschile viene ahinoi trattato con toni da sceneggiata televisiva: la regia è elementare e senza spunti, come non ci si dovrebbe aspettare da un regista esperto, la storia non ha abbastanza forza per trainare il film e nemmeno grandi star del cinema filippino come Paule e Jacklyn Jose riescono a sollevare il prodotto dal proprio piattume. E alla fine, più che a Lino Brocka si pensa a Lino Banfi.
Decisamente migliore Madalena di Emily Chan, storia d’amore tra due anime perse in una Macao diversa da quella turistica, in cui le luci al neon illuminano strade solitarie e appartamenti sovraffollati. Il titolo del film deriva dall’unione dei nomi dei protagonisti: Mada (Louis Cheung) è un tassista alcolizzato che passa le proprie giornate a rivangare il passato nel proprio appartamento, Lena (Chrissie Chau) lavora come cameriera in un ristorante e come ragazza immagine in un locale per guadagnare i soldi necessari a tornare in Cina da madre e figlia. I due si incontrano, si innamorano, progettano un futuro insieme. Ma il passato si mette di traverso… I due protagonisti, che avevano già lavorato insieme in Hotel Soul Good di Yan Pak-wing, presentato a Udine due edizioni fa, sono convincenti e affiatati, ma purtroppo la storia è troppo stereotipata per essere presa sul serio, e l’opera cerca con insistenza la lacrima e la commozione a ogni costo. Il film si fa interessante quando racconta la realtà sociale dell’ex colonia portoghese, quella lontana dalle cartoline e dai casinò, fatta di case ammuffite e persone sfruttate. Entrambi i personaggi vogliono fuggire ed entrambi bevono “come se ne dipendesse la loro vita”: lui per non soffrire e lei per farsi dare qualche extra dai clienti che la invitano al tavolo. Il lieto fine arriva sui titoli di coda, ma appare un po’ forzato e fa storcere il naso.
Se i protagonisti di Madalena compiono, come l’omonima peccatrice dei vangeli, un percorso tortuoso dall’ombra alla luce, quelli di Limbo sembrano destinati alla dannazione. Già dall’introduzione al film Pou Soi-cheang mette le cose in chiaro: la sua ultima opera è un vero e proprio viaggio all’inferno. Protagonisti sono due poliziotti, il rookie Will Ren (Mason Lee) e il tormentato Cham Lau (Gordon Lam), alle prese con una serie di macabri ritrovamenti di mano sinistre mozzate. La caccia al mutilatore li porterà nei putridi anfratti di una Hong Kong mai così mostruosa; e tenendo conto di come spesso la città è stata rappresentata dal suo stesso cinema è un risultato non da poco. Con Limbo Pou Soi-cheang ritorna al nichilismo dei primi film, e in particolare di Dog Bite Dog, che lo fece conoscere proprio al pubblico di Udine nel 2007. Il direttore della fotografia Cheng Siu-keu sceglie un bianco e nero fortemente contrastato e per nulla elegante; il formato panoramico non fa che contribuire al senso di oppressione, stando ben attento a includere spesso nell’inquadratura il panorama senza speranza dei grattacieli. Limbo è un film che punta dritto ai sensi, e non lo fa in maniera piacevole: i suoni sono quelli delle mosche che si posano sui rifiuti che tappezzano (letteralmente) le strade, gli odori sono quelli della decomposizione. I corpi vengono martoriati e mutilati, picchiati e annichiliti: il trattamento subito da Wong To (una straordinaria Cya Lyu), giovane in cerca di redenzione, ne rappresenta l’apice. Il modo in cui la ragazza si aggrappa alla vita è commovente, ma il regista non le concede nulla se non all’ultimissimo istante. Segnata dalla colpa di un incidente tremendo che ha coinvolto la famiglia di Cham, Wong To è animata dal desiderio di espiazione; ma questo le è costantemente negato, perché l’inferno è fatto per pagare e non per redimersi. Sebbene non sia esente da punti deboli, e a volte giochi un po’ troppo a fare il greatest hits del serial killer movie, Limbo è un’opera terribile e un thriller coinvolgente che lascia senza fiato e ci fa sentire.
Tra i film di sabato 26 giugno troviamo le opere prime The Goldfish e Like Father and Son, il fantascientifico Seobok e il romantico My Missing Valentine.
Vi diamo appuntamento a domani con il Diario dal Far East!
Marco Lovisato e Andrea Valmori