District 9: la parabola fantascientifica sulla xenofobia di Neill Blomkamp (e la sua attualità)
25/03/2021
All'inizio di marzo è giunta la notizia, direttamente da un tweet di Neill Blomkamp, che la stesura iniziale della sceneggiatura del sequel di District 9, uscito ben 12 anni fa, era stata terminata dal regista.

Il film originale, remake di un precedente cortometraggio del regista, Alive in Joburg, nel quale aveva già raccontato la vicenda di una nave aliena bloccata sulla terra, approfondisce il processo di ghettizzazione nei confronti degli alieni, deportati nel cosiddetto distretto 9, situato in un quartiere di Johannesburg. Wikus Van de Merwe (Sharlto Copley), incaricato dalla MNU, è a capo dell’operazione di sfratto che obbliga gli extraterrestri a trasferirsi in un altro campo profughi, ma qualcosa andrà storto: Wikus si infetta con uno strano liquido alieno che innescherà un processo di trasformazione genetica. 



Il regista costruisce, attraverso l’utilizzo del genere fantascientifico, una parabola sul razzismo e la xenofobia, scegliendo la figura aliena come strumento per porre di fronte allo spettatore soggetti differenti da quelli umani, nell’aspetto e nelle abitudini. Non è un caso che venga loro affidato un soprannome dispregiativo: l’equivalente del nostro “negro” o “scimmia” diventa quindi “gambero”, in relazione al loro aspetto fisico simile a quello di un crostaceo. Il film si fa metafora di problematiche etiche e sociali diversificandosi dagli sci-fi movie classici, sia per stile che per budget (30 milioni di dollari). Infatti, considerando che il budget medio di un film di genere fantascientifico si aggira intorno ai 60 milioni, District 9 è sicuramente un’operazione a basso costo e, dal punto di vista commerciale, vincente, grazie ad un box office di ben 210 milioni di dollari.

L’utilizzo dello stile documentaristico è una delle caratteristiche fondamentali del film: sono presenti notiziari televisivi reali, false interviste e riprese da telecamere di sorveglianza. Questo garantisce indubbiamente un maggiore coinvolgimento da parte dello spettatore, catapultato all’interno di situazioni ultra-realistiche, ma sarebbe limitante soffermarsi esclusivamente su questi aspetti per giustificare la scelta stilistica di Blomkamp. La peculiarità consiste nell’aver accostato questo stile ad un film di genere fantascientifico, dato che di per sé il documentario, sia dal punto di vista del contenuto che da quello della forma, avrebbe come obbiettivo mostrare la realtà senza alternarne le immagini.



District 9 è, da questo punto di vista, un film calzante per approfondire un discorso legato alla contemporaneità cinematografica, poiché forma e contenuto sono equivalenti tra loro, o meglio la forma crea contenuto, conferendo un valore aggiunto alla narrazione. Lo stile documentaristico si concilia infatti perfettamente con il contenuto del film ed è utile per formulare una critica implicita nei confronti delle “fake news” veicolate dai media. In District 9, i notiziari televisivi e le interviste ad esperti e familiari diffondo sempre immagini manipolate a scopi propagandistici, diffamatori o per alimentare il terrore cittadino. In questo senso è idiomatica la scena in cui i notiziari diffondono la falsa notizia dei ripetuti incontri sessuali che Wikus ha avuto con esemplari alieni. L’impressione, quindi, è che Blomkamp voglia mettere in guardia lo spettatore: la verità è un aspetto della vita che prevede una ricerca meticolosa, in opposizione all’atteggiamento superficiale del cittadino medio credulone, che affida al mezzo televisivo la suprema detenzione della verità, abbandonandosi ad esclamazioni come “se lo dice la TV, ci credo!”

Il film alterna riprese appartenenti al linguaggio cinematografico tradizionale, a riprese di stampo documentaristico. E non è un caso che Blomkamp introduca con maggior frequenza le riprese cinematografiche tradizionali in un momento idiomatico del film. Quando, dopo essersi rintanato nella baracca di Cristopher (un alieno che vive nel distretto), scoprirà grandi segreti nascosti e soprattutto diventerà consapevole della loro intelligenza e della loro umanità, mentre i notiziari hanno sempre dipinto questi “gamberoni” come disperati e violenti, scegliendo sempre cosa e chi mandare in onda nelle interviste, creando così una falsa percezione. Il cinema, seppur attraverso la finzione, è un mezzo di comunicazione che rivela delle verità, poiché ci pone di fronte a modelli di vita che ci portano a riflettere su noi stessi, in contrasto con l’universo istituzionale che si serve della cronaca per diffondere falsità per i propri giochi di potere. La narrazione del film quindi, alimentata dalla sua forma, ci pone di fronte ad un chiaro conflitto d’immagini, caratterizzato da scene in cui lo spettatore subisce informazioni plagiate, trasmesse attraverso lo stile documentaristico, in opposizione a riprese cinematografiche tradizionali, attraverso le quali si viene a conoscenza di verità scottanti. 



Wikus è un personaggio intimorito, impacciato e moralmente carente: un antieroe. Queste attitudini non sono di certo conformi al disegno di un profilo eroico, anzi non ci fanno nemmeno considerare l’idea di un personaggio pronto all’azione. Eppure, osservare la crescita di questo personaggio è la linfa vitale del film. Non è un caso che proprio Peter Jackson, produttore del film, abbia supportato e sostenuto District 9 dopo averci regalato, con Il signore degli anelli, una delle avventure più affascinanti della storia del cinema che ha come protagonista Frodo: l’antieroe per eccellenza. 

Di fondamentale importanza è l’utilizzo della soggettiva, unita ad effetti visivi e sonori stranianti, per farci entrare progressivamente nei panni di Wikus, così come lui sta lentamente entrando nei panni di un alieno. Sentiamo le orecchie fischiare, rumori ovattati e la vista diventare sempre più annebbiata prima dello svenimento, percependo così le medesime sensazioni che sta provando il personaggio. Neill Blomkamp sembra nutrire grande sfiducia nei confronti dell’essere umano. La sua negatività arriva a tal punto da considerare l’uomo capace di giungere alla comprensione delle cose soltanto se determinate situazioni (l’infezione causata dal fluido) ti obbligano a diventare “l’immigrato” e “il diverso”. La visione pessimista è rappresentata da un’umanità che osserva inerme il tramonto di un’esistenza solidale e civile, destinata quindi a una totale dis-integrazione. 

Il film è il risultato di operazione ben congegnata, stimolante e innovativa, in grado di raggiungere un livello paragonabile ad altre pellicole di genere fantascientifico di successo. Il desiderio di Christopher e suo figlio di tornare a casa non può non ricordare il medesimo intento dell’alieno in E.T. - L’extraterrestre. La pellicola evoca anche le scene d’azione robotiche di Transformers e il Distretto 9 può essere paragonato ad una discarica come quella che appare in Wall-E. Anche altri progetti di Blomkamp si avvalgono in modo consistente del digitale e di effetti speciali notevoli per creare delle metafore della società odierna, sempre attraverso una presenza aliena o robotica (“Tempbot”, “Rakka”, “Elysium” e “Chappie”).

Il finale struggente di District 9, in cui Wikus totalmente trasformato costruisce un fiore con materiale riciclato, destinato alla moglie, mostra allo spettatore la sua grande manifestazione d’amore, vero motore nella vita di un uomo. La scena funge anche da messaggio di speranza che implica la volontà di ricostruire, partendo dalle ceneri di un passato burrascoso, un futuro migliore.



Matteo Malaisi

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