Far East Film Festival 21 | Nel giorno del Gelso d'Oro a Yao Chen deludono gli horror
03/05/2019

A Udine c’è il pubblico delle grandi occasioni: la diva Yao Chen, attrice, blogger e filantropa, viene premiata con il Gelso d’Oro alla carriera. L’onoreficenza si accompagna alla proiezione del drammatico Lost, Found, in cui Chen interpreta una donna in carriera la cui vita viene sconvolta dal rapimento della figlia. Il film di Lue Yue, già direttore della fotografia per Zhang Yimou, è un dramma teso e coinvolgente, con un respiro da thriller. Colpisce, in particolare, la scelta di concentrarsi tanto sulla madre quanto sulla tata della bimba, la cui storia emerge da una struttura narrativa che usa il metodo delle diverse testimonianze per ricostruire, in parallelo, le drammatiche vicende che l’hanno portata al rapimento. Espediente che rischia di venire vanificato da un tono che, man mano che il film si avvicina al climax, si fa moralizzante e retorico, purtroppo una costante dei film cinesi in concorso. Rimane comunque un’opera lodevole e un’occasione per gettare uno sguardo sulle contraddizioni di un paese che, nonostante la crescita, non riesce a garantire agli abitanti diritti fondamentali come quello alla sanità. La realtà cinese viene dipinta con efficacia anche nel mirabile When Love Blossoms, opera prima di Ye Tian, che racconta con apparente leggerezza una storia d’amore e solitudine nella Pechino contemporanea. Un timido fattorino si innamora della coinquilina, una ragazza ambiziosa più per necessità che temperamento. Impossibilitato a dichiarare i propri sentimenti, si imbatte in uno spettacolo teatrale che sembra rispecchiare la sua stessa storia. Il film equilibra bene romanticismo e realismo e l’espediente dell’arte che rispecchia la realtà, seppur abusato, è funzionale al racconto e accompagna il film a un climax commovente e coinvolgente. E allo spettatore non sfugge l’insistenza con cui il regista inquadra i quartieri ai piedi dei grattacieli, le case popolari, le stanze claustrofobiche e sporche, che costringono a una vicinanza obbligata che invece di unire separa. Altro regista molto legato alla propria città è l’ex enfant prodige del cinema di Hong Kong, Pang HoCheung, un habitué del Far East. Il suo Missbehavior è una commediola senza pretese, che però manca completamente del cinismo di opere come Dream Home. E il caustico umorismo del cinema di Pang è qui ridotto a una serie di vignette e battutacce del livello di un qualsiasi cinepanettone. Senza contare che il costante riferimento ai social, piuttosto che una loro coerente integrazione all’interno del plot, invece che dare al film un respiro contemporaneo e pop lo fanno apparire fuori tempo massimo. Deludono anche i ben tre horror della giornata. Le due produzioni mainstream tailandesi hanno in comune una notevole disparità tra intenzioni e risultato. Se i film di Wisit Sasanatieng e Sittisiri Mongkolsiri non mostrano abbastanza qualità da raggiungere una valutazione sufficiente, è altrettanto vero che entrambi contengono elementi interessanti, che permettono di guardare con cauto ottimismo al futuro del cinema di genere tailandese. In Reside, ad esempio, la banalità dell’ennesima storia di possessione, che guarda pù a La casa di Raimi che a L’esorcista, è ravvivata da una certa qualità performativa dei corpi, che si contorcono in danze demoniache che ricordano quel teatro balinese tanto amato da Artaud. In Krasue: Inhuman Kiss, invece, i corpi si deformano, le teste si separano dal corpo e inizano a fluttare. I fantasmi tailandesi sono al contempo eterei e carnali; per questo stona ancora di più l’uso sconsiderato e approssimativo di CGI (usata, ad esempio, anche in una banale scena di pianto). Eppure le ambientazioni esotiche sono affascinanti, eaumentano il rimpianto per un’opera che avrebbe potuto arricchire ulteriormente il fortunato genere del folk horror. Semplicemente brutto il filippino Eerie: il regista è giovane, 28 anni, e ha già diverse opere a suo nome; ha tempo per capire che non bastano lugubri ambientazioni cattoliche, suore minacciose, jump scares a profusione e fantasmi dai lunghi capelli neri per realizzare un buon film di paura. Assolutamente trascurabile, infine, l’altro film filippino della giornata, Miss Granny. Sesto (!) remake del fortunato film coreano del 2014, il film di Joyce Bernal ha la profondità e l’impatto visivo di una puntata di telenovela. Ma già le dichiarazioni della regista prima del film, in cui affermava di voler prendersi una pausa per ritrovare il proprio cinema, non lasciavano ben sperare.

Giornata ricca anche quella odierna, la penultima, che propone l’ultima fatica del divo Chow Yun-fat e un biopic sul leggendario regista Koji Wakamatsu. Ma l’appuntamento più atteso è quello con il divo Anthony Wong, terzo Gelso d’Oro dell’edizione, presente col dramma Still Human.

Marco Lovisato

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