Festa del Cinema di Roma | I riconoscimenti a Richard Linklater, Edgar Reitz e Nia DaCosta
23/09/2025

FESTA DEL CINEMA DI ROMA, 15|26 ottobre 2025

Richard Linklater, tra i massimi autori del cinema americano contemporaneo, riceverà il Premio alla Carriera, consegnato da Marco Bellocchio, e presenterà al pubblico Nouvelle Vague, uno dei titoli più applauditi dello scorso Festival di Cannes

A Edgar Reitz il Premio Master of Film, conferito da Nanni Moretti: il grande cineasta tedesco sarà alla Festa del Cinema con il suo nuovo capolavoro, Leibniz – Chronicle of a Lost Painting

Il premio Progressive alla Carriera andrà alla regista newyorkese Nia DaCosta, ospite della Festa con Hedda: ad assegnare il riconoscimento la direttrice artistica Paola Malanga

Richard Linklater, Edgar Reitz e Nia DaCosta riceveranno tre importanti riconoscimenti nel corso della ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma, in programma dal 15 al 26 ottobre 2025. Lo annuncia il Presidente della Fondazione Cinema per Roma, Salvatore Nastasi, su proposta della Direttrice Artistica, Paola Malanga.

La Festa del Cinema assegnerà il Premio alla Carriera a Richard Linklater, tra i massimi autori del cinema americano contemporaneo, regista di opere come la trilogia “Before” (Prima dell’alba, Before Sunset – Prima del tramonto e Before Midnight) e lo struggente e rivoluzionario Boyhood. Linklater, unico nella sua capacità di esplorare le possibilità del linguaggio e confrontarsi coi generi più disparati, presenterà al pubblico della Festa Nouvelle Vague, uno dei titoli più applauditi dello scorso Festival di Cannes: il film vive attimo per attimo la creazione di un cult movie, Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard. Il riconoscimento sarà consegnato da un grande protagonista del cinema italiano, il regista Marco Bellocchio, nel sessantesimo anniversario di I pugni in tasca, esordio capolavoro della nostra “nuova onda”.

A Edgar Reitz sarà conferito il Premio Master of Film: il cineasta tedesco, che con Heimat ha segnato in maniera indelebile la storia della settima arte, sarà alla Festa con il suo nuovo capolavoro, Leibniz – Chronicle of a Lost Painting, grazie al quale corona il sogno, coltivato per tutta la vita, di confrontarsi con uno dei maggiori filosofi tedeschi. Il risultato è un film sorprendentemente agile, fresco, trascinante. A consegnare il premio Master of Film sarà uno dei maggiori registi del nostro cinema: Nanni Moretti. 

Il premio Progressive alla Carriera andrà alla regista newyorkese Nia DaCosta, importante talento emergente del cinema contemporaneo, autrice di acclamati titoli come il crime Little Woods, esordio premiato al Tribeca Film Festival con il Nora Ephron Prize; l’horror Candyman, primo film diretto da una donna afroamericana ad aprire in testa al box office USA; il fantasy The Marvels, trentatreesimo film del Marvel Cinematic Universe. In attesa di 28 anni dopo - Il tempio delle ossa, nuovo capitolo della famosa saga in uscita nel 2026, Nia DaCosta sarà ospite della Festa con Hedda, originale rilettura cinematografica – adrenalinica, trasgressiva ed esplicitamente femminista – di “Hedda Gabler”, il dramma pubblicato da Henrik Ibsen nel 1890. Ad assegnare il Premio Progressive alla Carriera sarà la Direttrice Artistica della Festa del Cinema, Paola Malanga.

I RICONOSCIMENTI GIÀ ANNUNCIATI

Fra i riconoscimenti già annunciati, l’Industry Lifetime Achievement Award al produttore cinematografico britannico Lord David Puttnam. Il premio, una delle novità che la Festa del Cinema introduce a partire dall’edizione 2025, intende omaggiare le personalità dell’industria cinematografica globale che, con la loro memorabile carriera, hanno lasciato un segno indelebile nella storia della settima arte. L’Industry Lifetime Achievement Award sarà assegnato mercoledì 15 ottobre nel corso della serata inaugurale della Festa: a consegnare il premio sarà il produttore, regista e sceneggiatore Uberto Pasolini, a lungo collaboratore di Puttnam.

La Festa inoltre assegnerà il Premio alla Carriera a Jafar Panahi, uno dei più grandi registi della storia del cinema iraniano e uno dei maggiori autori contemporanei. Il riconoscimento sarà consegnato dal regista premio Oscar Giuseppe Tornatore in occasione della proiezione del nuovo film di Panahi, Un simple accident (Un semplice incidente), vincitore della Palma d’oro a Cannes.

BIOGRAFIE

Richard Linklater

Tra i massimi autori del cinema americano contemporaneo, Richard Linklater (Houston, 1960) ha saputo mettere in dialogo la grande tradizione europea (specie i giganti della Nouvelle Vague, da Rohmer a Truffaut) con la scuola del realismo letterario e la lezione dello sperimentalismo underground del suo maestro James Benning. Ed è proprio a Benning che guarda il suo esordio It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books (1988), in cui già è possibile intravedere l’ossessione che coltiverà lungo tutta la sua carriera: l’idea che il tempo sia contemporaneamente oggetto e materia del cinema e che il cinema possa a sua volta manipolare e cristallizzare il tempo, come mostrerà in particolare nella trilogia Before (Prima dell’alba [1995], Before Sunset – Prima del tramonto [2004] e Before Midnight [2013]) e nello struggente e rivoluzionario Boyhood (2014), girato nell’arco di dodici anni. Nel 1991 realizza il sorprendente Slacker, autentico manifesto della cultura indie, mentre due anni dopo è il turno di La vita è un sogno, splendido ritratto dell’adolescenza e dei suoi riti di passaggio, a cui darà un seguito ideale nel 2016 con un vero gioiello come Tutti vogliono qualcosa. La sua produzione mostra un desiderio inesausto di esplorare le possibilità del linguaggio e confrontarsi coi generi più disparati: in SubUrbia (1996) adatta un testo teatrale di Eric Bogosian, con School of Rock (2003) dà alla luce una delle commedie musicali più amate di tutto il millennio, Tape (2001) è girato in rigorosa unità di tempo, mentre in Waking Life (2001), A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare (2006) e Apollo 10 e mezzo (2022) si cimenta con la tecnica d’animazione del rotoscopio. Passa dalla commedia sportiva di Bad News Bears – Che botte se incontri gli orsi (2005) alla denuncia sociale di Fast Food Nation (2006), racconta personaggi bizzarri come l’impresario di pompe funebri di Bernie (2011) o straordinariamente brillanti come la protagonista di Che fine ha fatto Bernadette? (2019), ritrae le ferite dell’America nel notevole Last Flag Flying (2017), riscrive le traiettorie del cinema classico nel geniale Hit Man – Killer per caso (2023) oppure omaggia i suoi maestri in Me and Orson Welles (2009) e nell’ultimo, bellissimo Nouvelle Vague (2025). Quello di Linklater è un cinema capace di rinnovare costantemente gli strumenti a propria disposizione senza fortunatamente mai tradire il cuore della sua ricerca: raccontare con grazia e precisione il fluire della vita, mettere in forma il costante lavorio della memoria e cogliere la bellezza nascosta del vivere quotidiano. 

Edgar Reitz

Edgar Reitz (Morbach, 1932) è uno dei più grandi autori della storia del cinema tedesco (e non solo). Nessuno come lui ha saputo trasformare il bacino della memoria individuale in una riflessione sulla Storia, sullo scorrere del tempo e sul senso profondo del vivere sociale. Cresciuto nella regione rurale dell’Hunsrück, dove ambienterà poi i suoi film più noti, Reitz si avvicina fin dalla giovane età a ogni forma di espressione artistica: studia letteratura, giornalismo e storia dell’arte a Monaco, coltiva la scrittura, si cimenta nel teatro sperimentale e compie le prime esperienze dietro la cinepresa sulla scorta degli insegnamenti del geniale Willy Zielke. Dopo aver realizzato i primi corti (tra cui si distinguono Cotone [1959] e Yucatan [1960]), nel 1962 è tra i firmatari del Manifesto di Oberhausen, un testo programmatico che decretò la rottura con la tradizione cinematografica teutonica e aprì la stagione del Nuovo Cinema Tedesco, invocando un’arte più libera e personale, capace di raccontare il presente con linguaggi e forme rinnovate. Nel 1963, insieme ad Alexander Kluge e con l’appoggio di Fritz Lang, fonda l’Institut für Filmgestaltung, a Ulma, una scuola di formazione che si propone di combinare teoria e pratica, offrendo agli studenti la possibilità di sperimentare tecniche narrative, registiche e di montaggio fuori da ogni canone. Dopo l’esperimento di Varia Vision – Unendliche Fahrt (1965), un’installazione proiettata su 16 schermi sul tema del viaggio, nel 1967 dirige il lungometraggio Tavola dell’amore, premiato alla Mostra del Cinema di Venezia come miglior opera prima. I film della fase iniziale della sua carriera si distinguono inevitabilmente per l’inesausto desiderio di scardinare i consolidati modelli estetico/narrativi: che sia nell’ambito del genere (Cardillac [1969], da E.T.A. Hoffmann), della meditazione sul passato più recente (Il viaggio a Vienna [1973] e Ora zero [1977]) o più lontano (Il sarto di Ulm [1978], realizzato nell’arco di un decennio) o addirittura della rievocazione mitologica (La cosa d’oro [1972], diretto insieme ad altri tre registi). Ma è con l’uscita di Heimat (1984) che Reitz rivoluziona definitivamente il linguaggio del cinema, ibridandolo con quello della televisione (dopo essere stato presentato a Venezia, viene trasmesso per la prima volta dalla tv tedesca), del romanzo dell’Ottocento, della tradizione della letteratura regionale tedesca (Heimatliteratur) e d’infiniti altri riferimenti. Ambientata nell’immaginario villaggio di Schabbach, è un’opera monumentale (oltre 15 ore) incentrata sulle vicende dei componenti della famiglia Simon, le cui vite riflettono e subiscono le grandi mutazioni storiche: guerre mondiali, industrializzazione, emigrazione e rinnovamento sociale. Girato alternando bianco e nero e colore, il racconto – non esente da un influsso autobiografico – ridefinisce il concetto stesso di heimat («patria»): non più un semplice luogo geografico ma un vero e proprio territorio emotivo, comunitario e simbolico, uno spazio dell’anima in cui riverbera il mistero dell’identità collettiva. Seguiranno gli altrettanto straordinari Heimat 2 – Cronaca di una giovinezza (1992), ancor più titanico nella durata (oltre 25 ore), e Heimat 3 – Cronaca di una svolta epocale (2004), (di “sole” 11 ore), che insieme costituiscono un affresco indimenticabile e insuperabile del Novecento tedesco. Nel 2013, il regista decide di girarne un prequel ambientato nella seconda metà dell’Ottocento, L’altra Heimat – Cronaca di un sogno, che diventa una magistrale meditazione sul tema dell’emigrazione condotta con un registro unico, capace di coniugare l’epica con il lirismo e l’intimismo. Dopo aver diretto con Jörg Adolph lo splendido documentario Filmstunde_23 (2024) – in cui il regista ritrova dopo cinquant’anni gli allievi di un corso di cinema tenuto al Luisengymnasium di Monaco – nel 2025, ormai novantatreenne, presenta a Berlino l’ennesimo capolavoro: Leibniz – Chronicle of a Lost Paninting, grazie al quale corona il sogno, coltivato per tutta la vita, di confrontarsi con uno dei maggiori intellettuali tedeschi di ogni tempo (filosofo, matematico, inventore). Girato con la collaborazione alla regia di Anatol Schuster, il film è un grande saggio filosofico sul corpo come espressione sensibile dell’anima, sulla relazione che intercorre tra l’enunciazione verbale e l’atto del mostrare e, in fondo, sul cinema stesso. A testimonianza della vitalità insuperabile di un autore che ha segnato in maniera indelebile la storia della settima arte.

Nia DaCosta

Nia DaCosta (New York, 1989) è una delle più importanti autrici emergenti del cinema contemporaneo. Appassionatasi al cinema dopo aver visto Apocalypse Now, si laurea nel 2011 alla New York University e inizia a lavorare in televisione come assistente di produzione. Nel 2018 gira con soli ottocentomila dollari il suo primo lungometraggio, Little Woods, un dramma criminale marcatamente intimista che racconta con sorprendente intensità il peso delle diseguaglianze sociali e sanitarie dell’America. Presentato a Tribeca, dove vince il Nora Ephron Prize, il film colpisce per il suo linguaggio asciutto, capace di rileggere persino la lezione del western per raccontare un mondo dove la frontiera non è più una conquista ma uno spazio-limite fatto di cliniche, strade fangose, motel squallidi e spacciatori di oppioidi. La consacrazione arriva nel 2021 con Candyman, sequel del classico Candyman – Terrore dietro lo specchio (1992) di Bernard Rose. Prodotto e co-sceneggiato da Jordan Peele, è uno dei migliori horror del nuovo millennio, ambientato in una Chicago gentrificata che diventa il prisma attraverso cui si riflettono questioni fondamentali della contemporaneità come le disparità etniche, il ruolo della memoria collettiva e i traumi comunitari. Sorta di teatro delle ombre e di geniale rilettura di Alice nel paese delle Meraviglie, Candyman è il primo film diretto da una regista afro-americana a debuttare in testa al box office Usa, ottenendo un grande successo di pubblico e il plauso collettivo della critica. La sua straordinaria riuscita attira le attenzioni della Marvel, che gli offre la regia di The Marvels (2023), interpretato da Brie Larson, Teyonah Parris, Iman Vellani, Tessa Thompson e Samuel L. Jackson. L’immersione in un filone così codificato come quello supereroico permette alla regista di mostrare nuovamente tutta la sua personalità autoriale, che confermerà col successivo Hedda (2025), dove adatta e aggiorna la celebre pièce Hedda Gabler di Henrik Ibsen. Il testo originale diventa qui un serbatoio di tensione irrisolte, ambientato in un tempo sospeso che riflette sulle dinamiche di potere, genere e classe grazie anche alla magistrale interpretazione di Tessa Thompson. Per il 2026 è invece programmata l’uscita di 28 anni dopo – Il tempio delle ossa, quarto capitolo della serie iniziata con l’ormai classico 28 giorni dopo (2002) ed ennesima testimonianza dell’eccezionale versatilità di una grande regista in grado di mettersi in gioco e reinventarsi costantemente. 


Cover Credits: Alamy The Canadian press

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