Festa del papà: i migliori film
18/03/2021

Per celebrare al meglio la festa del papà abbiamo pensato ai film che, seguendo un ordine cronologico, hanno saputo raccontare al meglio la figura paterna sul grande schermo. Che siano grandi capolavori o pellicole meno riuscite, che siano film comici o drammatici, il denominatore è uno soltanto: tutti trattano il rapporto padre-figlio con grandissimo spessore! 


Il monello (Charlie Chaplin, 1921)



Non sono realmente padre e figlio, ma il gioco messo in scena da Chaplin in questo film non potevamo trascurarlo per questa ricorrenza. Dosando sapientemente comicità (irresistibili le scene delle “malefatte” dei due) e sentimento, il regista-attore (anche sceneggiatore) getta le basi per quella che diventerà la ricetta infallibile del proprio successo. Risate e lacrime si bilanciano perfettamente, mentre le gag, costruite con meccanica precisione, si susseguono incessantemente, con un gioco di rifrazione tra il bambino e l'adulto. Senza mai cadere nella retorica, il cineasta britannico strazia il cuore dello spettatore con la celeberrima scena dell'abbandono e lo commuove con un dolcissimo finale.

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Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, 1948)


La scelta morale di una piena identificazione con la coppia di protagonisti (padre e figlio, delineati come tipologie opposte ma complementari, sia fisicamente che psicologicamente) è veicolata stilisticamente dalla macchina da presa, che segue invisibile i personaggi, testimoniando (e amplificando, grazie a immagini limpide e pulite che trasfigurano il reale per rappresentare la tragedia esistenziale primaria, quella della sofferenza e del dolore) le piccinerie, i soprusi e l'ingiustizia che dominano i rapporti, strutturalmente prevaricanti, tra simili. De Sica esprime una compassione e un'empatia totali, raggiungendo picchi di lirismo mai gratuiti e retorici (raffreddati in ogni caso da uno script minimale e consequenziale), e dà vita a un'opera straziante ed eterna, destinata a entrare di diritto nella storia della settima arte.

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Il buio oltre la siepe (Robert Mulligan, 1962)



Il racconto di formazione è la chiave che conferisce alla pellicola un'aria quasi fiabesca, mostrando le complesse vicende degli adulti attraverso gli occhi di un gruppo di ragazzini in cerca di avventura, che non riesce a spiegarsi l'accanimento della cittadina nei confronti di un innocente. Puntuale ritratto di un'America che, per fortuna, non dovrebbe più esistere, il film inquadra alla perfezione i bifolchi privi di cultura, animaleschi, che dal basso del proprio degrado pretendono di trattare la comunità nera con disprezzo e superiorità, strumentalizzandola a loro piacimento. 

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Hud il selvaggio (Martin Ritt, 1963)



Dramma familiare al maschile, tutto giocato sulle psicologie dei personaggi e sulla descrizione dei rapporti tra tre uomini di diverse generazioni. Gli affetti diventano un gioco di potere e responsabilità, e la sfida tra padre e figlio non si gioca tanto sull'amministrazione del ranch o sul giudizio riguardo il tenore di vita dissoluto (per un paesino rurale) del protagonista, quanto nella competizione tra modelli esistenziali proposti al giovanissimo nipote. 

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Cinque pezzi facili (Bob Rafelson, 1970)



Con questa pellicola il regista ha messo in scena in maniera esemplare sia il sogno americano infranto che l'inquietudine di una famiglia che non sa più come affrontare la realtà (memorabile il “dialogo” tra Bobby e suo padre, da soli, al tramonto). Godibile e coinvolgente dal primo all'ultimo minuto, Cinque pezzi facili porta con sé una grande dose di amarezza che lo permea fino all'apice finale. Indubbiamente la vetta del cinema di Bob Rafelson e il suo manifesto stilistico dal quale non riuscirà più allontanarsi.

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Il padrino (Francis Ford Coppola, 1972)


Emerge, inoltre, un confronto-scontro tra due diverse modalità di pensiero e azione: più votata alla salvaguardia dell'onore e di principi considerati sacri quella della vecchia scuola incarnata da don Vito; pragmatico, cinico e spietato è invece il modus operandi delle nuove leve, indifferenti a derive amorali in nome del perseguimento di un obiettivo. Strepitosa prova di attori con un Brando che giganteggia anche quando rischia di gigioneggiare. Il film lanciò il giovane Al Pacino e tutta una generazione di attori destinati a entrare nella storia del cinema

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Padre padrone (Paolo e Vittorio Taviani, 1977)


Il risultato è pregevole sotto molti punti di vista, in primo luogo per il perfetto equilibrio che si crea tra la restituzione verosimile del mondo agreste dell'epoca e la riflessione, sociologica e persino filosofica, sul rapporto fra generazioni. Grazie al ricco terreno offerto dal testo di partenza, i registi riescono a ottenere il meglio dalle loro invenzioni grottesche come dagli spunti lirici. 

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Kramer contro Kramer (Robert Benton, 1979)



Temi come il femminismo e la parità tra sessi sono affrontati gradualmente e stratificati in modo da non appesantire la vicenda. Abile e diretto è anche il modo in cui la narrazione porta lo spettatore a schierarsi dapprima con un genitore, in seguito con un altro, lasciando la libertà di scelta finale, ma ribadendo le colpe di entrambi. 

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Star Wars: Episodio V – L'Impero colpisce ancora (Irvin Kershner, 1980)



L'approfondimento psicologico dei personaggi, l'introduzione dell'icona Yoda (manovrato e doppiato da Frank Oz), i dialoghi in stile screwball comedy tra Han e Leia e i risvolti ambigui ed edipici che danno un tocco più “nero” alla queste di Luke rendono questo film non meno grandioso del capostipite. E non meno mitico: per coglierne lo splendore, bastano la tante sequenze cult (la battaglia tra i ghiacci di Hoth con i “camminatori” imperiali mossi in stop motion, Han Solo intrappolato nella grafite), la presenza, per la prima volta, della memorabile Imperial March in colonna sonora e, soprattutto, il citatissimo coup de théâtre finale, che svela la vera identità di Darth Vader e che all'epoca mandò i fan in visibilio.

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Ritorno al futuro (Robert Zemeckis, 1985)



Facendo leva sull'immaginario dei viaggi nel tempo, Zemeckis utilizza la macchina dei sogni cinematografica coniugando azione, avventura e divertimento. C'è spazio anche per una riflessione edipica: nel passato Marty incontra i suoi genitori adolescenti e la madre finisce per infatuarsi di lui, suscitando le ire del padre, allora fidanzatino imbranato.

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Indiana Jones e l'ultima crociata (Steven Spielberg, 1989)


Fulcro del film, meno sovraccarico di azione rispetto ai precedenti, è l'irresistibile dinamica conflittuale del rapporto tra Indy e suo padre, magnificamente incarnato da una icona come Sean Connery. La ricerca del Graal, simbolica ricerca delle fede e del divino, coincide per Indy con la ricerca di un ritrovato rapporto con suo padre. Secondo Steven Spielberg soltanto l'autentico James Bond poteva impersonare il padre di Indiana Jones e il risultato del film gli ha dato pienamente ragione. 

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Nel nome del padre (Jim Sheridan, 1993)



Il regista, che ha adattato il testo di partenza insieme a Terry George, firma una dura opera di denuncia, che usa come pretesto un errore giudiziario per sviscerare al meglio la questione irlandese. Senza risparmiare sulle sequenze violente e approfondendo nel modo giusto i tratti psicologici dei personaggi principali, Sheridan dirige una pellicola urgente e personale, con la quale vuole trasmettere tutta la sua indignazione.

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Mrs. Doubtfire – Mammo per sempre (Chris Columbus, 1993)



Mrs. Doubtfire – Mammo per sempre è una pellicola riuscita e divertente, capace di alternare momenti brillanti a sequenze più toccanti e sostenuta in maniera egregia dalla performance di Robin Williams. Il lavoro si presenta ben curato dal punto di vista registico e assolutamente dinamico e ritmato grazie a una sceneggiatura che convince e diverte (anche se limitata da un lieto fine scontato e piuttosto forzato).

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Il Re Leone (Roger Allers e Rob Minkoff, 1994) 

 

Il re leone è una riflessione ricca di spunti d'interesse sui rapporti affettivi e sulla crescita dell'individuo. Il percorso di formazione del leoncino Simba è costruito dai tre sceneggiatori (Irene Mecchi, Jonathan Roberts e Linda Woolverton) seguendo uno schema ben preciso, che comincia dalla morte della figura paterna sino ad arrivare al ripristino del potere famigliare da parte dell'eroe ormai maturo.

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La vita è bella (Roberto Benigni, 1997)

 
L'Olocausto viene affrontato con una delicatezza capace di sfociare nella poesia, spostando il focus dall'orrore dello sterminio (mai banalizzato, nonostante rimanga fuori campo) al coraggio di un'umanità che non vuole vedere calpestata la propria dignità per poter continuare a sperare in un futuro migliore. Buffo, tenero e commovente nel prendere in giro gli orchi cattivi pur spingendo lo spettatore a un doveroso momento di riflessione.

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He got game (Spike Lee, 1998)



He Got Game
ha una doppia anima: dramma familiare, apologo sulla seconda occasione e sulla forza dell'amore e del perdono da un lato; circostanziata, accorata, perfetta descrizione delle storture del sistema sportivo americano dall'altro. Una denuncia feroce contro la divinizzazione degli adolescenti (neri, con famiglie disastrate, cresciuti nei ghetti), obnubilati dalla fama e corrotti dal denaro facile, e un'opera di grande solidità, esaltata dalla sua natura ambigua e spezzata dalla medesima frattura che caratterizza il nome del protagonista

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L'estate di Kikujiro (Takeshi Kitano, 1999)

 

In apparenza, L'estate di Kikujiro potrebbe risultare una pellicola distante dalle corde abituali di Takeshi Kitano: forse perché scanzonata, ottimista e decisamente più parlata rispetto ai lungometraggi che l'avevano reso popolare negli anni precedenti, come Il silenzio sul mare (1991) o Hana-Bi (1997). Eppure, a guardare più in profondità, lo stile di Kitano è riconoscibile: dall'attenzione cromatica per le inquadrature, fino all'eccentricità sgangherata del personaggio che interpreta, passando per l'attenzione nei confronti dei sentimenti umani.

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Era mio padre (Sam Mendes, 2002)



Come ben esplicita il titolo originale, lo stesso della serie di fumetti di Max Allan Collins pubblicata nel 1998 da cui è tratto, l'opera è un sofferto viaggio per fuggire dalla brutalità della violenza che, in chiave metaforica, diventa una (ri)scoperta dell'amore per i valori più autentici della vita. Assolutamente centrale anche il rapporto tra padre putativo/biologico e figli, in un gioco di specchi che innesca una spirale di rimpianti e rimorsi in nome dei legami di sangue o dell'etica criminale.

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Padre e figlio (Alexandr Sokurov, 2003)



«L'amore del padre crocifigge, l'amore del figlio è crocifisso»: una delle chiavi di lettura dell'opera risiede in questa riflessione del teologo russo Filarete, snodo ricorrente nei dialoghi tra i due protagonisti del film. Non esiste amore tanto potente quanto quello di un padre per suo figlio: una benedizione che può trasformarsi in condanna, una forza alla quale è impossibile sottrarsi.

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Big Fish – Le storie di una vita incredibile (Tim Burton, 2003)


Con grande sensibilità, Burton entra in punta di piedi nella stanza di Bloom malato e intesse con un filo impalpabile il delicato rapporto padre-figlio, così vero e realistico come mai si era visto in precedenza nel cinema del regista. Allo stesso tempo, e con altrettanta efficacia, colora i racconti di Edward con pennellate di tinte circensi, tratteggiando, soprattutto nel meraviglioso finale (di felliniana memoria), una galleria di freaks tenerissimi proprio perché appartenenti alla quotidianità. Senza mai scadere nella retorica, Burton accompagna per mano Bloom fino alla fine della sua vita, creando un punto di convergenza della propria poetica, a metà tra le opere precedenti e quelle successive della sua filmografia.  

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Alla ricerca di Nemo (Andrew Stanton, 2003)


Il lungo viaggio di Marlin, tra meduse, testuggini, squali in riabilitazione e gabbiani, è un invito spassionato a liberarsi delle proprie paure prima di rimanerne perennemente intrappolati; ma è anche la storia emozionante di un padre disposto ad affrontare quelle stesse paure pur di ricongiungersi con suo figlio. Il risultato è un avvincente road-movie subacqueo, ricco di personaggi esilaranti, tra cui spicca la smemorata Dory, e forte di un ritmo che non presenta cali per tutta la durata.

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La ricerca della felicità (Gabriele Muccino, 2006)



La capacità di arrangiarsi è spiattellata senza mezze misure e il messaggio edificante è scolpito a caratteri cubitali. Will Smith (nominato all'Oscar), sommesso e malinconico, convince in un ruolo apparentemente non nelle sue corde, abbandonando per un attimo i panni dell'affascinante piacione e aiutato nella sua spontaneità dalla presenza del figlio Jaden nel ruolo di Christopher.

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The Road (John Hillcoat, 2009)

 

Un padre (Viggo Mortensen) e un figlio (Kodi Smit-McPhee) cercano disperatamente di sopravvivere, spostandosi da una zona all'altra dell'immensa distesa in cui sono incappati, all'indomani di un cataclisma di proporzioni bibliche che ha quasi azzerato la popolazione e regredito gli esseri umani a un livello bestiale. Conscio dell'inadeguatezza del ragazzo, il padre cerca di formarlo per ogni tipo di avversità, mentre il futuro gli appare sempre più incerto e desolato.

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Scialla! (Francesco Bruni, 2011)



Frizzante film d'esordio da regista per Francesco Bruni, sceneggiatore già molto noto e fedele collaboratore di Paolo Virzì. La sua opera prima è tutta giocata sul rapporto padre-figlio tra Bruno e Luca, che si nutre delle personalità agli antipodi dei due personaggi e di uno scontro generazionale che sa arricchirsi di malinconie e profondità insperate, oscillando tra il saggio e il comico, tra la commedia di costume e la riflessione amarognola.

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Father and son (Hirokazu Kore-Eda, 2013)

 

Giunto alla sua nona pellicola, Hirokazu Kore-Eda affronta nuovamente uno dei suoi temi prediletti, quello dell'istituzione familiare nel Giappone contemporaneo, focalizzandosi questa volta sul complesso ruolo della paternità. Sottilmente diviso in due parti, il film segue nella prima gli effetti che l'improvvisa notizia dello scambio dei neonati ha sulle vite dei rispettivi genitori, mettendo in particolare l'accento sul confronto tra due diversi sistemi familiari ed educativi, per poi concentrarsi nella seconda sulla trasformazione interiore di Ryota, dalla scoperta della propria inadeguatezza come padre alla messa in discussione delle sue precedenti certezze, fino al tentativo di ricostruire da zero un rapporto intimo e reale con il figlio.

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Nebraska (Alexander Payne, 2013)


Nel pieno rispetto della tradizione del film on the road, il percorso fisico corrisponde, soprattutto, a una crescita interiore alla scoperta di se stessi. Assume così un ruolo centrale il rapporto padre-figlio, che permette di riflettere senza paternalismi sullo scorrere del tempo, sulle incomprensioni transgenerazionali e sulla gioia di vivere nascosta sotto alla scorza coriacea di chi è giunto al punto di fare un bilancio della propria esistenza. 

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Kung Fu Panda 3 (Alessandro Carloni e Jennifer Yuh, 2016)


Il panda cicciotto Po, ormai esperto di kung-fu, viene spinto dal suo maestro Shifu a diventare a sua volta insegnante di arti marziali. L’incontro con il padre biologico Li Shan lo porterà a tornare tra i membri della sua specie, che dovrà faticosamente addestrare per combattere il terribile spirito Kai.

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Guardiani della Galassia Vol. 2 (James Gunn, 2017)

 

Il secondo capitolo dei Guardiani della Galassia e delle loro avventure interspaziali, tratta dai fumetti di Dan Abnett e Andy Lanning, conferma le prerogative del primo episodio, che ne avevano determinato il successo planetario e il consenso pressoché unanime presso il grande pubblico, fatalmente sedotto da un misto irripetibile e travolgente di ironia e buddy movie in pieno stile Marvel.

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