Jean-Pierre Melville, l'ultimo samurai del noir esistenzialista francese
20/10/2021
Un maestro assoluto, purtroppo mai celebrato abbastanza. Regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e attore, il parigino Jean-Pierre Melville (20 ottobre 1917 – 2 agosto 1973) ha segnato in maniera indelebile la storia del cinema, francese e non solo, facendo del noir e del poliziesco due anime appartenenti allo stesso, indimenticabile corpo cinematografico.
Un autore di statura per certi versi inarrivabile, che si è sempre nutriuto di professionalità e di amore per il cinema, prendendo come modello i grandi americani che hanno gettato le basi dei suoi generi di riferimento (John Huston su tutti), senza dimenticare i codici del western classico e i topoi della tragedia greca. Artista solitario e controverso, maniacale controllore di tutte le fasi della lavorazione, Melville è stato pienamente compreso e rivalutato solo molti anni dopo la sua prematura morte, diventando autore di culto per registi come John Woo, Takeshi Kitano e, soprattutto, Michael Mann, il quale lo ha magnificamente omaggiato con il suo capolavoro Heat – La sfida (1995).
Per ricordare la straordinaria grandezza di Jean-Pierre Melville, andiamo a scoprire i suoi cinque migliori film:
5) L'armata degli eroi (1969)

Jean-Pierre Melville fece parte della resistenza francese a partire dal 1940 e questo adattamento del romanzo di Joseph Kessel è filtrato attraverso i ricordi della propria esperienza personale, oltre che caratterizzato da un evidente coerenza poetica rispetto alle altre opere del cineasta francese. Girato tra due lungometraggi noir, Frank Costello faccia d'angelo (1967) e I senza nome (1970), L'armata degli eroi racconta la resistenza da un punto di vista antieroico: i protagonisti sono delle ombre (come segnala il titolo francese, L'Armée des ombres) che si muovono furtivamente per perseguire i loro obiettivi, figure silenti e solitarie che agiscono senza nascondere le loro latenti inquietudini, i dubbi e le contraddizioni, consapevoli di un destino di morte che li attende. La struttura narrativa procede per accumulo di situazioni e personaggi restituendo così un senso di caos e tensione, in cui la lotta per la sopravvivenza e il senso del dovere pongono in secondo piano qualsiasi legame affettivo e remora etica, pur lasciando evidenti ferite e strascichi interiori. All'azione, quindi, viene preferita l'introspezione, così come i silenzi, le pause riflessive e gli sguardi vengono valorizzati maggiormente rispetto ai dialoghi. Accusato di gollismo all'epoca dell'uscita, il film è in realtà un'amara riflessione sulla fallibilità dell'animo umano dinnanzi a condizioni estreme e chiamato a difficili scelte che ne pregiudicano il senso morale in nome di un bene più grande servito con combattuta e tormentata efficienza. La versione italiana è più breve di ben trentadue minuti e ha eliminato, in maniera del tutto arbitraria e discutibile, quasi completamente la parte iniziale in cui Gerbier è internato a Vichy.
4) Bob il giocatore (1955)

Quarto film di Melville e prima incursione nel genere noir. Ispirandosi al cinema americano (in particolar modo evidenti sono i debiti verso Giungla d'asfalto di John Huston del 1950 e La fiamma del peccato di Billy Wilder del 1944), il cineasta francese sa costruire un'opera personale e moderna, per certi versi precorritrice della Nouvelle Vague. Melville gira in esterni e usa luci naturali per restituire l'atmosfera crepuscolare di una città in perfetta simbiosi con il malinconico incedere degli antieroi protagonisti della vicenda, solitari e silenziosi malavitosi destinati alla sconfitta e legati a un romantico e vetusto codice d'onore. Una narrazione rarefatta che privilegia la cura dei dettagli e una tensione di carattere psicologico rispetto all'azione, in questa circostanza ridotta ai minimi termine. A contare maggiormente, ancora prima della storia, è lo studio introspettivo dei caratteri coinvolti, fantasmatiche figure fataliste ma mai rinunciatarie, sognatrici e fallibili, quindi profondamente umane. Un film secco e amaro, dall'impeccabile rigore formale vitalizzato da uno stile sempre fecondo, originale e lontano dalle convenzioni. Esiste un (trascurabile) remake firmato da Neil Jordan, Triplo gioco (2002).
3) Frank Costello faccia d'angelo (1967)

Ispirandosi al romanzo di Goan McLeod, Melville dà vita a un polar esistenzialista, in cui dialoghi e azioni sono limitati al minimo e a contare maggiormente non è tanto la trama (di per sé piuttosto semplice) quanto la descrizione di uno stato d'animo. Il regista, infatti, mette in scena il dramma della solitudine umana esplicitata da un personaggio (interpretato mirabilmente da Alain Delon) che sembra privo di emozioni e che vive la propria inquietudine in maniera silente e naturale, consapevole della sua condizione di emarginato e del destino di morte che lo attende. Antispettacolare e a tratti ermetico, caratterizzato da una cura quasi maniacale per i dettagli e per la ripetitività espressiva di alcuni rituali (il gioco con i canarini, l'uso del cappello e dei guanti, il ritorno sul luogo del delitto), il film riflette sulle nevrosi e sulle psico-patologie dell'uomo contemporaneo, incapace di abbandonarsi alle proprie pulsioni sentimentali, rinchiuso in sé stesso, diffidente verso gli altri, determinato a sopravvivere malgrado non riesca a trovare un proprio posto nel mondo. Un'opera amarissima e per certi versi astratta, ostica ma indimenticabile. Titolo italiano al limite dell'idiozia, che tradisce lo spirito del film, reso perfettamente da quello originale, Le Samouraï. Straordinario.
2) I senza nome (1970)

Dodicesimo e penultimo film di Jean-Pierre Melville, vera e propria summa poetica del cineasta francese. L'azione è ridotta al minimo così come i dialoghi, la cura dei dettagli e delle gestualità è maniacalmente precisa, lo stile è essenziale, l'astrazione narrativa porta i tempi del racconto a dilatarsi e a creare una tensione prevalentemente psicologica e introspettiva, focalizzandosi maggiormente sui caratteri dei singoli personaggi piuttosto che sullo svolgimento della storia. Così, mentre i criminali agiscono seguendo un rigido codice comportamentale e sono legati da amicizia virile e profondo senso dell'onore, le forze dell'ordine si muovono al di fuori di schemi prestabiliti, superano i limiti imposti dalla legge e non disdegnano il tradimento o la mistificazione come mezzi per raggiungere i propri scopi. Tutti i protagonisti sono accomunati dalla solitudine, dalla malinconia e da un senso di fatalismo, consapevoli di un destino di sconfitta che li attende ma non per questo refrattari a prendere l'iniziativa, uomini fuori dal tempo e maschere dolenti cui non resta che aspettare la morte in un mondo dilaniato da profonde inquietudini esistenziali e da un cinismo spietato. Splendida la fotografia algida e notturna di Henri Decaë che restituisce un senso di sospensione metafisica e straordinaria prova di un cast che riunisce talenti come Alain Delon, Gian Maria Volontà, Yves Montand e Bourvil. L'edizione originale dura 140 minuti, quella italiana circa un quarto d'ora in meno. Il titolo originale Le cercle rouge (Il cerchio rosso) fa riferimento alla citazione in esergo (inventata) che apre il film: «Buddha prese un pezzo di gesso rosso, tracciò un cerchio e disse: “Se è scritto che due uomini, anche se non si conoscono, debbono un giorno incontrarsi, può accadere loro qualsiasi cosa e possono seguire strade diverse, ma al giorno stabilito, ineluttabilmente, essi si ritroveranno in questo cerchio rosso”». Inizialmente incompreso, è stato ampiamente rivalutato nei decenni successivi all'uscita, diventando uno dei noir più importanti e influenti di sempre.
1) Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide (1966)

Adattamento molto libero del romanzo Morire due volte di Josè Giovanni, uno dei migliori film di Jean-Pierre Melville in cui il regista descrive con il suo consueto fatalismo malinconico un mondo di valori che va irrimediabilmente perdendosi. Tra l'evaso Gu (Lino Ventura) e l'ispettore Blot (Paul Meurisse) c'è una sorta di stima in quanto i due personaggi sono incarnazione di una vecchia scuola di pensiero in cui l'onore e l'etica professionale hanno ancora senso: due antieroi pronti a combattere e a cadere da soli, destinati a essere sconfitti dall'avanzare di un feroce cinismo e di nuove generazioni convinte che il fine giustifichi sempre i mezzi. Il modus operandi dei criminali è posto in relazione con quello delle forze dell'ordine, sottolineando come le distinzioni manichee tra bene e male siano ormai obsolete: Gu e Blot sono accomunati dal rispetto, anacronistico ma sincero, verso valori in cui credono fortemente (l'amicizia virile, il senso del dovere, la fiducia negli altri); allo stesso modo il crudele ispettore Farnadio (Paul Frankeur) e lo spietato Jo Ricci (Marcel Bozzuffi) sono due personaggi complementari, espressione di un universo violento e efferato. Gestendo una materia narrativa decisamente complessa, Melville sa unire introspezione psicologica e stilizzazione figurativa, astrazione metafisica e aderenza al realismo, pur non disdegnando una dimensione più prettamente spettacolare (assai notevole, ad esempio, la sequenza dell'assalto al portavalori) cui imprime il proprio tocco personale caratterizzato dall'essenzialità e dal rigore formale. Indimenticabili le prove di Lino Ventura e Paul Meurisse, punte di diamante di un cast in gran forma. Intramontabile capolavoro.
Un autore di statura per certi versi inarrivabile, che si è sempre nutriuto di professionalità e di amore per il cinema, prendendo come modello i grandi americani che hanno gettato le basi dei suoi generi di riferimento (John Huston su tutti), senza dimenticare i codici del western classico e i topoi della tragedia greca. Artista solitario e controverso, maniacale controllore di tutte le fasi della lavorazione, Melville è stato pienamente compreso e rivalutato solo molti anni dopo la sua prematura morte, diventando autore di culto per registi come John Woo, Takeshi Kitano e, soprattutto, Michael Mann, il quale lo ha magnificamente omaggiato con il suo capolavoro Heat – La sfida (1995).
«Giochiamo a nascondino da che siamo nati» (Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide, 1966)
Per ricordare la straordinaria grandezza di Jean-Pierre Melville, andiamo a scoprire i suoi cinque migliori film:
5) L'armata degli eroi (1969)

Jean-Pierre Melville fece parte della resistenza francese a partire dal 1940 e questo adattamento del romanzo di Joseph Kessel è filtrato attraverso i ricordi della propria esperienza personale, oltre che caratterizzato da un evidente coerenza poetica rispetto alle altre opere del cineasta francese. Girato tra due lungometraggi noir, Frank Costello faccia d'angelo (1967) e I senza nome (1970), L'armata degli eroi racconta la resistenza da un punto di vista antieroico: i protagonisti sono delle ombre (come segnala il titolo francese, L'Armée des ombres) che si muovono furtivamente per perseguire i loro obiettivi, figure silenti e solitarie che agiscono senza nascondere le loro latenti inquietudini, i dubbi e le contraddizioni, consapevoli di un destino di morte che li attende. La struttura narrativa procede per accumulo di situazioni e personaggi restituendo così un senso di caos e tensione, in cui la lotta per la sopravvivenza e il senso del dovere pongono in secondo piano qualsiasi legame affettivo e remora etica, pur lasciando evidenti ferite e strascichi interiori. All'azione, quindi, viene preferita l'introspezione, così come i silenzi, le pause riflessive e gli sguardi vengono valorizzati maggiormente rispetto ai dialoghi. Accusato di gollismo all'epoca dell'uscita, il film è in realtà un'amara riflessione sulla fallibilità dell'animo umano dinnanzi a condizioni estreme e chiamato a difficili scelte che ne pregiudicano il senso morale in nome di un bene più grande servito con combattuta e tormentata efficienza. La versione italiana è più breve di ben trentadue minuti e ha eliminato, in maniera del tutto arbitraria e discutibile, quasi completamente la parte iniziale in cui Gerbier è internato a Vichy.
4) Bob il giocatore (1955)

Quarto film di Melville e prima incursione nel genere noir. Ispirandosi al cinema americano (in particolar modo evidenti sono i debiti verso Giungla d'asfalto di John Huston del 1950 e La fiamma del peccato di Billy Wilder del 1944), il cineasta francese sa costruire un'opera personale e moderna, per certi versi precorritrice della Nouvelle Vague. Melville gira in esterni e usa luci naturali per restituire l'atmosfera crepuscolare di una città in perfetta simbiosi con il malinconico incedere degli antieroi protagonisti della vicenda, solitari e silenziosi malavitosi destinati alla sconfitta e legati a un romantico e vetusto codice d'onore. Una narrazione rarefatta che privilegia la cura dei dettagli e una tensione di carattere psicologico rispetto all'azione, in questa circostanza ridotta ai minimi termine. A contare maggiormente, ancora prima della storia, è lo studio introspettivo dei caratteri coinvolti, fantasmatiche figure fataliste ma mai rinunciatarie, sognatrici e fallibili, quindi profondamente umane. Un film secco e amaro, dall'impeccabile rigore formale vitalizzato da uno stile sempre fecondo, originale e lontano dalle convenzioni. Esiste un (trascurabile) remake firmato da Neil Jordan, Triplo gioco (2002).
3) Frank Costello faccia d'angelo (1967)

Ispirandosi al romanzo di Goan McLeod, Melville dà vita a un polar esistenzialista, in cui dialoghi e azioni sono limitati al minimo e a contare maggiormente non è tanto la trama (di per sé piuttosto semplice) quanto la descrizione di uno stato d'animo. Il regista, infatti, mette in scena il dramma della solitudine umana esplicitata da un personaggio (interpretato mirabilmente da Alain Delon) che sembra privo di emozioni e che vive la propria inquietudine in maniera silente e naturale, consapevole della sua condizione di emarginato e del destino di morte che lo attende. Antispettacolare e a tratti ermetico, caratterizzato da una cura quasi maniacale per i dettagli e per la ripetitività espressiva di alcuni rituali (il gioco con i canarini, l'uso del cappello e dei guanti, il ritorno sul luogo del delitto), il film riflette sulle nevrosi e sulle psico-patologie dell'uomo contemporaneo, incapace di abbandonarsi alle proprie pulsioni sentimentali, rinchiuso in sé stesso, diffidente verso gli altri, determinato a sopravvivere malgrado non riesca a trovare un proprio posto nel mondo. Un'opera amarissima e per certi versi astratta, ostica ma indimenticabile. Titolo italiano al limite dell'idiozia, che tradisce lo spirito del film, reso perfettamente da quello originale, Le Samouraï. Straordinario.
2) I senza nome (1970)

Dodicesimo e penultimo film di Jean-Pierre Melville, vera e propria summa poetica del cineasta francese. L'azione è ridotta al minimo così come i dialoghi, la cura dei dettagli e delle gestualità è maniacalmente precisa, lo stile è essenziale, l'astrazione narrativa porta i tempi del racconto a dilatarsi e a creare una tensione prevalentemente psicologica e introspettiva, focalizzandosi maggiormente sui caratteri dei singoli personaggi piuttosto che sullo svolgimento della storia. Così, mentre i criminali agiscono seguendo un rigido codice comportamentale e sono legati da amicizia virile e profondo senso dell'onore, le forze dell'ordine si muovono al di fuori di schemi prestabiliti, superano i limiti imposti dalla legge e non disdegnano il tradimento o la mistificazione come mezzi per raggiungere i propri scopi. Tutti i protagonisti sono accomunati dalla solitudine, dalla malinconia e da un senso di fatalismo, consapevoli di un destino di sconfitta che li attende ma non per questo refrattari a prendere l'iniziativa, uomini fuori dal tempo e maschere dolenti cui non resta che aspettare la morte in un mondo dilaniato da profonde inquietudini esistenziali e da un cinismo spietato. Splendida la fotografia algida e notturna di Henri Decaë che restituisce un senso di sospensione metafisica e straordinaria prova di un cast che riunisce talenti come Alain Delon, Gian Maria Volontà, Yves Montand e Bourvil. L'edizione originale dura 140 minuti, quella italiana circa un quarto d'ora in meno. Il titolo originale Le cercle rouge (Il cerchio rosso) fa riferimento alla citazione in esergo (inventata) che apre il film: «Buddha prese un pezzo di gesso rosso, tracciò un cerchio e disse: “Se è scritto che due uomini, anche se non si conoscono, debbono un giorno incontrarsi, può accadere loro qualsiasi cosa e possono seguire strade diverse, ma al giorno stabilito, ineluttabilmente, essi si ritroveranno in questo cerchio rosso”». Inizialmente incompreso, è stato ampiamente rivalutato nei decenni successivi all'uscita, diventando uno dei noir più importanti e influenti di sempre.
1) Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide (1966)

Adattamento molto libero del romanzo Morire due volte di Josè Giovanni, uno dei migliori film di Jean-Pierre Melville in cui il regista descrive con il suo consueto fatalismo malinconico un mondo di valori che va irrimediabilmente perdendosi. Tra l'evaso Gu (Lino Ventura) e l'ispettore Blot (Paul Meurisse) c'è una sorta di stima in quanto i due personaggi sono incarnazione di una vecchia scuola di pensiero in cui l'onore e l'etica professionale hanno ancora senso: due antieroi pronti a combattere e a cadere da soli, destinati a essere sconfitti dall'avanzare di un feroce cinismo e di nuove generazioni convinte che il fine giustifichi sempre i mezzi. Il modus operandi dei criminali è posto in relazione con quello delle forze dell'ordine, sottolineando come le distinzioni manichee tra bene e male siano ormai obsolete: Gu e Blot sono accomunati dal rispetto, anacronistico ma sincero, verso valori in cui credono fortemente (l'amicizia virile, il senso del dovere, la fiducia negli altri); allo stesso modo il crudele ispettore Farnadio (Paul Frankeur) e lo spietato Jo Ricci (Marcel Bozzuffi) sono due personaggi complementari, espressione di un universo violento e efferato. Gestendo una materia narrativa decisamente complessa, Melville sa unire introspezione psicologica e stilizzazione figurativa, astrazione metafisica e aderenza al realismo, pur non disdegnando una dimensione più prettamente spettacolare (assai notevole, ad esempio, la sequenza dell'assalto al portavalori) cui imprime il proprio tocco personale caratterizzato dall'essenzialità e dal rigore formale. Indimenticabili le prove di Lino Ventura e Paul Meurisse, punte di diamante di un cast in gran forma. Intramontabile capolavoro.
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