Tennessee Williams sul grande schermo: un cinema che si chiama desiderio
25/03/2021
Semplicemente il più grande drammaturgo americano del Novecento. Pièce teatrali ma anche romanzi, racconti, poesie e sceneggiature, un incendiario patrimonio culturale trasversale alle arti, in cui letteratura, teatro e cinema si scrutano negli occhi fino a unirsi quasi incestuosamente. Tennessee Williams, pseudonimo di Thomas Lanier Williams, nasce il 26 marzo 1911 nello Stato del Mississippi, in quel bigotto e soffocante sud degli Stati Uniti che tornerà tante volte nelle sue opere, deformato dalla memoria (dove «tutto sembra accadere con musica» secondo le sue parole) e rivissuto nel tentativo di rimuovere traumatiche esperienze passate.
Una gioventù difficile, la sua, stretta nella morsa del difficile rapporto con il padre e dei disturbi mentali tendenti alla schizofrenia della sorella, chiusa per volontà della madre in un ospedale psichiatrico e operata al cervello con una lobotomia che la trasformò in una specie di vegetale. Omosessuale in una realtà tutt'altro che di larghe vedute, per usare un eufemismo, Williams trova nel melodramma carico di eccessi il naturale proseguimento di una esistenza tormentata, che si specchia nelle torride relazione sentimentali dei suoi personaggi, schiacciati da complessi edipici, rancori mai sopiti e taboo sessuali all'epoca scandalosi. Depresso e ossessionato dalla paura della pazzia, dopo la fine della sua relazione con il segretario Frank Merlo, avvenuta nel 1963, Williams sprofonda in una spirale autodistruttiva che lo porta a diventare un alcolista. Viene trovato morto nella stanza dell'Hotel Elysée a New York, dove risiedeva, il 25 febbraio 1983. Ma lo straordinario lascito artistico di Tennessee Williams è destinato a vivere per sempre, anche grazie ad autori come Elia Kazan, Joseph L. Mankiewicz, Richard Brooks, Irving Rapper e John Huston che hanno saputo immortalare in maniera mirabile sul grande schermo tutta la complessità della sua opera.
Andiamo a (ri)scoprire i migliori film tratti dai drammi di Tennessee Williams, attraverso una classifica ad alto tasso emotivo. Ecco i magnifici 5 che si sono imposti come classici senza tempo, quelli che vivono del mito degli attori, dello splendore formale della messa in scena e della magistrale scrittura dei dialoghi. In poche parole, un tuffo nella Hollywood da amare del tempo che fu.
5) La gatta sul tetto che scotta (1958)

L'incontro tra il raffinato senso plastico della messa in scena di Richard Brooks e il turgido materiale fornito da Tennessee Williams dà vita a un dramma a tinte forti di notevole spessore, da annoverare tra i must-see del mélo di stampo teatrale soprattutto per la presenza della esplosiva coppia Paul Newman/Elizabeth Taylor. Rispetto al testo originale, viene meno il riferimento all'omosessualità del protagonista per ovvie ragioni legate alla censura e al codice Hays, ma restano intatte la forte carica erotica, la complessità del rapporto padre-figlio e la descrizione delle ipocrisie di una tipica famiglia borghese del sud. Tutto concorre alla riuscita del film in funzione del genere di appartenenza: teatralità spinta nella recitazione, una pioggia di battute scolpite nella roccia («Una sola cosa non puoi comprare, né in Europa né in nessun altro posto: la vita, una volta finita, non la puoi ricomprare») e un claustrofobico clima da serra che fa dei personaggi un pugno di animali in gabbia. Indimenticabile la Taylor nel suo virginale abito bianco. Un po' datato nell'impianto narrativo, ma non importa.
4) La notte dell'iguana (1964)

Come in tutta la produzione del grande drammaturgo americano, il tema centrale è la sessualità declinata in varie forme (l'eros come rifugio, tentazione proibita o impulso adolescenziale, la castità, l'omosessualità repressa), ma anche la ricerca del divino e la pietas verso l'umanità. John Huston aggira il rischio principale di ogni adattamento cinematografico dal teatro (la verbosità) regalando un dramma vivace e sensuale, ironico con una punta di grottesco, nichilista eppure colmo di speranza, calato in una intrigante cornice esotica esaltata dalla splendida fotografia di Gabriel Figueroa. Sue Lyon, lolita kubrickiana, dà il volto (e il corpo) alla minorenne che stuzzica con audaci avances l'ex reverendo tormentato Lawrence Shannon, interpretato da un Richard Burton in forma smagliante.
3) La dolce ala della giovinezza (1962)
«Ognuno di noi ha il suo proprio inferno che lo aspetta». A quattro anni da La gatta sul tetto che scotta (1958), Richard Brooks torna a confrontarsi con Tennesse Williams e fa definitivamente centro, raggiungendo uno dei vertici assoluti della sua carriera. Gli ingredienti del grande autore teatrale ci sono tutti: calde atmosfere sudiste, passionalità, erotismo, grande abbondanza di temi scabrosi (dall'aborto alla dipendenza da droghe, dalla corruzione alla prostituzione maschile). E a impreziosire il tutto c'è una struttura narrativa articolata che si concede suggestivi salti temporali per andare a comporre un desolante quadro di false speranze e sogni infranti. Memorabile Paul Newman bello e dannato nei panni dello spregiudicato attore e gigolò Chance Wayne (sfregiato e non castrato nel finale), ma è Geraldine Page a trovare l'interpretazione della vita come Alexandra Del Lago, diva sul viale del tramonto dipendente da alcool e droghe. L'american dream ne esce con le ossa rotte come poche altre volte si è visto al cinema. Peccato per quell'epilogo consolatorio imposto dalla produzione, che comunque non intacca più di tanto la fosca potenza della pellicola. Magnifico Metrocolor in CinemaScope di Milton R. Krasner, costumi di Orry-Kelly.
2) Un tram che si chiama Desiderio (1951)

Dopo una serie di film incentrati prevalentemente su temi sociali e liberal, Elia Kazan si cimenta qui per la prima volta con la grande letteratura e adatta il celeberrimo dramma di Tennessee Williams. Il risultato è un folgorante adattamento cinematografico di innegabile potenza, grazie alla forte carica di carnalità e all'atmosfera claustrofobica accentuata dai chiaroscuri della splendida fotografia contrastata di Harry Stradling. Nonostante Williams, autore anche della sceneggiatura, abbia espunto gli elementi più scabrosi, la pellicola sconvolge ancora adesso per l'audacia dello script e la modernità di una messa in scena che va ben oltre i limiti del teatro filmato. L'animalesco Brando in sudicia t-shirt attillata è passato alla storia, ma è Vivien Leigh (premiata con Oscar, Bafta e Coppa Volpi a Venezia) il cuore del film: la sua Blanche DuBois, segretamente alcolizzata ed erotomane, è il ritratto lucido e disperato di una femminilità ferita («A sedici anni feci una scoperta: l'amore. Tutto in una volta, troppo fulmineamente. Fu come inondare di luce accecante una cosa che era sempre stata in penombra»). All'attrice, celeberrima Rossella O'Hara di Via col vento, venne in seguito diagnosticata una forma di disturbo bipolare e si racconta che verso il finire dei suoi anni (morì a soli 53 anni) credesse, talvolta, di essere veramente Blanche.
1) Improvvisamente l'estate scorsa (1959)

Tratto dall'omonima pièce teatrale di Tennessee Williams, adattata per il cinema dallo stesso drammaturgo insieme a Gore Vidal, uno dei film più audaci di Mankiewicz (e, in generale, della Hollywood dell'epoca) in cui la prosa del testo teatrale, il tema trattato e i paletti imposti dal Codice Hays (che portarono all'eliminazione di qualsiasi riferimento diretto all'omosessualità) permettono al regista di approcciarsi alla materia con soluzioni quasi sperimentali, in primis nella rievocazione del rito cannibalico finale ai danni di Sebatian (nome non casuale per un moderno "martire" senza volto). Un torbido dramma dall'atmosfera angosciosa, che si fa progressivamente racconto dell'orrore illustrando la mostruosità e l'abiezione umana in tutte le sue forme, specie nella disperata volontà di censurare e rimuovere tutto quanto considerato socialmente sconveniente. Indimenticabile il barocco e inquietante "Eden" in cui si muove Violet (Katharine Hepburn), così come la prova bigger than life di Liz Taylor. Sublime.
Davide Dubinelli
«Il desiderio è qualcosa che viene a occupare uno spazio più grande di quello che il singolo individuo può concedergli»
Una gioventù difficile, la sua, stretta nella morsa del difficile rapporto con il padre e dei disturbi mentali tendenti alla schizofrenia della sorella, chiusa per volontà della madre in un ospedale psichiatrico e operata al cervello con una lobotomia che la trasformò in una specie di vegetale. Omosessuale in una realtà tutt'altro che di larghe vedute, per usare un eufemismo, Williams trova nel melodramma carico di eccessi il naturale proseguimento di una esistenza tormentata, che si specchia nelle torride relazione sentimentali dei suoi personaggi, schiacciati da complessi edipici, rancori mai sopiti e taboo sessuali all'epoca scandalosi. Depresso e ossessionato dalla paura della pazzia, dopo la fine della sua relazione con il segretario Frank Merlo, avvenuta nel 1963, Williams sprofonda in una spirale autodistruttiva che lo porta a diventare un alcolista. Viene trovato morto nella stanza dell'Hotel Elysée a New York, dove risiedeva, il 25 febbraio 1983. Ma lo straordinario lascito artistico di Tennessee Williams è destinato a vivere per sempre, anche grazie ad autori come Elia Kazan, Joseph L. Mankiewicz, Richard Brooks, Irving Rapper e John Huston che hanno saputo immortalare in maniera mirabile sul grande schermo tutta la complessità della sua opera.
Andiamo a (ri)scoprire i migliori film tratti dai drammi di Tennessee Williams, attraverso una classifica ad alto tasso emotivo. Ecco i magnifici 5 che si sono imposti come classici senza tempo, quelli che vivono del mito degli attori, dello splendore formale della messa in scena e della magistrale scrittura dei dialoghi. In poche parole, un tuffo nella Hollywood da amare del tempo che fu.
5) La gatta sul tetto che scotta (1958)

L'incontro tra il raffinato senso plastico della messa in scena di Richard Brooks e il turgido materiale fornito da Tennessee Williams dà vita a un dramma a tinte forti di notevole spessore, da annoverare tra i must-see del mélo di stampo teatrale soprattutto per la presenza della esplosiva coppia Paul Newman/Elizabeth Taylor. Rispetto al testo originale, viene meno il riferimento all'omosessualità del protagonista per ovvie ragioni legate alla censura e al codice Hays, ma restano intatte la forte carica erotica, la complessità del rapporto padre-figlio e la descrizione delle ipocrisie di una tipica famiglia borghese del sud. Tutto concorre alla riuscita del film in funzione del genere di appartenenza: teatralità spinta nella recitazione, una pioggia di battute scolpite nella roccia («Una sola cosa non puoi comprare, né in Europa né in nessun altro posto: la vita, una volta finita, non la puoi ricomprare») e un claustrofobico clima da serra che fa dei personaggi un pugno di animali in gabbia. Indimenticabile la Taylor nel suo virginale abito bianco. Un po' datato nell'impianto narrativo, ma non importa.
4) La notte dell'iguana (1964)

Come in tutta la produzione del grande drammaturgo americano, il tema centrale è la sessualità declinata in varie forme (l'eros come rifugio, tentazione proibita o impulso adolescenziale, la castità, l'omosessualità repressa), ma anche la ricerca del divino e la pietas verso l'umanità. John Huston aggira il rischio principale di ogni adattamento cinematografico dal teatro (la verbosità) regalando un dramma vivace e sensuale, ironico con una punta di grottesco, nichilista eppure colmo di speranza, calato in una intrigante cornice esotica esaltata dalla splendida fotografia di Gabriel Figueroa. Sue Lyon, lolita kubrickiana, dà il volto (e il corpo) alla minorenne che stuzzica con audaci avances l'ex reverendo tormentato Lawrence Shannon, interpretato da un Richard Burton in forma smagliante.
3) La dolce ala della giovinezza (1962)
«Ognuno di noi ha il suo proprio inferno che lo aspetta». A quattro anni da La gatta sul tetto che scotta (1958), Richard Brooks torna a confrontarsi con Tennesse Williams e fa definitivamente centro, raggiungendo uno dei vertici assoluti della sua carriera. Gli ingredienti del grande autore teatrale ci sono tutti: calde atmosfere sudiste, passionalità, erotismo, grande abbondanza di temi scabrosi (dall'aborto alla dipendenza da droghe, dalla corruzione alla prostituzione maschile). E a impreziosire il tutto c'è una struttura narrativa articolata che si concede suggestivi salti temporali per andare a comporre un desolante quadro di false speranze e sogni infranti. Memorabile Paul Newman bello e dannato nei panni dello spregiudicato attore e gigolò Chance Wayne (sfregiato e non castrato nel finale), ma è Geraldine Page a trovare l'interpretazione della vita come Alexandra Del Lago, diva sul viale del tramonto dipendente da alcool e droghe. L'american dream ne esce con le ossa rotte come poche altre volte si è visto al cinema. Peccato per quell'epilogo consolatorio imposto dalla produzione, che comunque non intacca più di tanto la fosca potenza della pellicola. Magnifico Metrocolor in CinemaScope di Milton R. Krasner, costumi di Orry-Kelly.
2) Un tram che si chiama Desiderio (1951)

Dopo una serie di film incentrati prevalentemente su temi sociali e liberal, Elia Kazan si cimenta qui per la prima volta con la grande letteratura e adatta il celeberrimo dramma di Tennessee Williams. Il risultato è un folgorante adattamento cinematografico di innegabile potenza, grazie alla forte carica di carnalità e all'atmosfera claustrofobica accentuata dai chiaroscuri della splendida fotografia contrastata di Harry Stradling. Nonostante Williams, autore anche della sceneggiatura, abbia espunto gli elementi più scabrosi, la pellicola sconvolge ancora adesso per l'audacia dello script e la modernità di una messa in scena che va ben oltre i limiti del teatro filmato. L'animalesco Brando in sudicia t-shirt attillata è passato alla storia, ma è Vivien Leigh (premiata con Oscar, Bafta e Coppa Volpi a Venezia) il cuore del film: la sua Blanche DuBois, segretamente alcolizzata ed erotomane, è il ritratto lucido e disperato di una femminilità ferita («A sedici anni feci una scoperta: l'amore. Tutto in una volta, troppo fulmineamente. Fu come inondare di luce accecante una cosa che era sempre stata in penombra»). All'attrice, celeberrima Rossella O'Hara di Via col vento, venne in seguito diagnosticata una forma di disturbo bipolare e si racconta che verso il finire dei suoi anni (morì a soli 53 anni) credesse, talvolta, di essere veramente Blanche.
1) Improvvisamente l'estate scorsa (1959)

Tratto dall'omonima pièce teatrale di Tennessee Williams, adattata per il cinema dallo stesso drammaturgo insieme a Gore Vidal, uno dei film più audaci di Mankiewicz (e, in generale, della Hollywood dell'epoca) in cui la prosa del testo teatrale, il tema trattato e i paletti imposti dal Codice Hays (che portarono all'eliminazione di qualsiasi riferimento diretto all'omosessualità) permettono al regista di approcciarsi alla materia con soluzioni quasi sperimentali, in primis nella rievocazione del rito cannibalico finale ai danni di Sebatian (nome non casuale per un moderno "martire" senza volto). Un torbido dramma dall'atmosfera angosciosa, che si fa progressivamente racconto dell'orrore illustrando la mostruosità e l'abiezione umana in tutte le sue forme, specie nella disperata volontà di censurare e rimuovere tutto quanto considerato socialmente sconveniente. Indimenticabile il barocco e inquietante "Eden" in cui si muove Violet (Katharine Hepburn), così come la prova bigger than life di Liz Taylor. Sublime.
Davide Dubinelli