Concepire la creazione artistica come una eterna sfida con se stessi, la volontà di superare i limiti conosciuti della tecnologia e la vocazione per un grandioso senso dello spettacolo messo in atto grazie a una maniacale cura per il dettaglio sono solo alcuni delle colonne portanti del lavoro del regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e montatore canadese, uomo di cinema a 360° ma anche esploratore ossessionato dalle profondità sottomarine.
A ogni film che ha realizzato, Cameron ha saputo esprimere al meglio il proprio talento espressivo, senza mai scendere a compromessi con l'establishment hollywoodiano, arrivando anzi a plasmare l'industria cinematografica mainstream dall'interno per portarla a standard qualitativi mai raggiunti prima. Quando si parla di James Cameron è impossibile non andare immediatamente con la mente al bagliore rosso negli occhi del T-800, a Kyle Reese e a Sarah Connor, in poche parole a Terminator (1984), classico della sci-fi che ha segnato come pochi altri l'immaginario degli anni '80. E solo il genio assoluto di Cameron poteva fare sì che un cult simile potesse avere un sequel altrettanto iconico, che ribalta la prospettiva del film precedente e fa nuovamente centro.

«Tre miliardi di vite umane si spensero il giorno 29 agosto del 1997. I sopravvissuti dell'olocausto nucleare chiamarono quella guerra "il giorno del giudizio". E sopravvissero solo per affrontare un nuovo incubo, la guerra contro i robot. Il computer che controllava i robot, Skynet, inviò due Terminator a ritroso nel tempo. La loro missione: distruggere il leader della Resistenza umana, John Connor, mio figlio. Il primo Terminator era programmato per colpire me, nell'anno 1984, prima che John nascesse, e fallì la sua missione. Il secondo fu inviato per colpire direttamente John quando era ancora un bambino. Come per la prima volta, la Resistenza riuscì ad inviare un guerriero solitario con il compito di proteggere John. Si trattava solo di vedere quale dei due lo avrebbe trovato per primo» (Sarah Connor, voce fuori campo nell'incipit)
James Cameron, anche sceneggiatore con William Wisher Jr., con Terminator 2 – Il giorno del giudizio (1991) riprende in mano le vicende del fortunatissimo primo capitolo realizzando un sequel adrenalinico e ricco di entusiasmanti sviluppi narrativi, che ha l'ambizione di riflettere sui limiti di un contesto sociologico in cui persino le macchine, a differenza degli esseri umani, sono in grado di mostrarsi empatiche e compassionevoli. Invariato il tratteggio, cupo e pessimistico, di un futuro prossimo venturo asettico e tecnologizzato frutto dell'immaginario cyberpunk originario, con bagliori di decadenza veicolati dallo strabiliante impatto visivo, ma a sorprendere è il respiro grandioso di un racconto epico rivolto anche al pubblico giovanile, grazie alla presenza di John Connor teenager. Spiazzante e assolutamente vincente, poi, il cambio di registro con cui Schwarzenegger si è calato nei panni del T-800... buono! Un clamoroso giro in giostra tra fiamme e ghiaccio, passato, presente e futuro, in cui svetta la maestria registica di Cameron di strutturare incredibili sequenze action, soprattutto grazie all'uso intelligente di effetti speciali all'avanguardia. Mirabile il fiuto per gli affari al botteghino: con un budget fuori dal comune (94 milioni di dollari, il film più costoso della storia al momento della sua uscita in sala), Terminator 2 ne guadagnò circa 500 in tutto il mondo. Cast in gran forma, con menzione d'onore per Linda Hamilton, ottima nel delineare la coerente evoluzione del suo personaggio. Quattro Oscar: sonoro, montaggio sonoro, trucco, effetti speciali.
Ma quali sono i momenti "wow" che hanno reso indimenticabile Terminator 2?
La potenza della storia emerge fin dagli infuocati titoli di testa, la cui fiammeggiante aura apocalittica diventa il perfetto complemento al gelido minimalismo che aveva contraddistinto gli opening credits del primo capitolo. Anche lo score di Brad Fiedel si fa più eroico e avvolgente, rielaborando i toni metallici di una colonna sonora che ha fatto epoca. Da brividi.
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Moderno cowboy con l'Harley-Davidson al posto del cavallo, che ricarica il fucile con la stessa gestualità di John Wayne in Ombre rosse, Schwarzenegger raggiunge qui lo status di mito americano totale, figlio dell'edonismo e del culto del corpo anni '80, capace di dimostrare qui anche un lato umanissimo nella sua profonda autoconsapevolezza di protagonista "buono". Il primo incontro/scontro con il T-1000, il multiforme cyborg "cattivo" inviato dal futuro per uccidere John Connor, è una sequenza action da togliere il fiato, ambientata tra i canali fluviali di Los Angeles. Uno degli inseguimenti più emozionanti di tutto il cinema del decennio.

La lunga sequenza del "rapimento" di Sarah Connor dal manicomio criminale in cui è rinchiusa è uno dei momenti più elettrizzanti di tutto il film. Dominata dalle livide tonalità del blu, la scena vede il primo contatto tra il T-800 e la madre di John, psichicamente instabile a causa del trauma subito qualche anno prima, che ancora non sa delle benevoli intenzioni di questo Terminator... Lo shock di Sarah viene reso sullo schermo con un montaggio magistrale, giocato su un ralenti a effetto che è puro godimento cinematografico. Ciliegina sulla torta, il cyborg che si avvicina alla donna e, tendendole la mano, le rivolge la mitica battuta «Vieni con me se vuoi vivere», proprio come fece Kyle nel primo Terminator dopo la sparatoria al Technoir. Che meraviglia!
«Guardando John con quel robot, tutto mi divenne chiaro. Il Terminator non si sarebbe mai fermato, non lo avrebbe mai lasciato. Né lo avrebbe mai fatto soffrire, né lo avrebbe sgridato. Non l'avrebbe picchiato, né avrebbe trovato scuse per non stare con lui. Gli sarebbe sempre stato accanto, e sarebbe stato pronto a morire per proteggerlo. Di tutti i padri putativi, fin troppo umani, che si erano avvicendati attraverso gli anni, questo robot sarebbe stato l'unico uomo giusto. In un mondo pazzo era la scelta più sensata». Il rapporto Terminator ("padre")/John Connor ("figlio"), riletto anche sulla base del primo film, è un aspetto struggente che restituisce al film un afflato di speranza mai banale e sempre profondamente autentico. E che spasso vedere il T-800, dotato di una sua "umanità" nonostante le movenze da robot, scherzare con il futuro capo della resistenza contro le macchine.
«Hasta la vista, baby!»

Il grandioso epilogo, ambientato in una immensa acciaieria, rappresenta la monumentale conclusione di un'avventura bigger than life. Il senso plastico dell'azione raggiunge vette di perfezione assoluta, l'ancestrale lotta tra Bene e Male, riletta neglio spazi industriali della contemporaneità, è magnificamente coreografata, lo spettacolo, segnato da continui colpi di scena, è a dir poco vertiginoso. Ma a colpire al cuore è il distacco, traumatico e commovente, tra il Terminator e John, con quel pollice alzato che è un momento di emozione allo stato puro. «Ora capisco perché piangete, ma io non potrei mai farlo».
Davide Dubinelli