Fly Me to the Moon - Le due facce della Luna: quando la teoria del complotto serve per fare un film piacevole
16/07/2024
Riceviamo e volentieri condividiamo questa analisi di Carmen Apadula su Fly Me to the Moon.
La Luna ha sempre suscitato sull'essere umano una certa fascinazione: che sia un espediente romantico o uno dei traguardi scientifici più importanti dell'umanità, ha incarnato per secoli il ruolo di compagna silenziosa delle notte più limpide. Ora, in Fly Me to the Moon, ci viene detto che raggiungerla è stato possibile solo grazie al capitalismo. La storia. La storia la scriviamo ogni giorno. Poi la prendiamo e la raccontiamo nei libri di scuola, nei romanzi, nelle canzoni, nei film. Ed è nei film, in particolare, che ci prendiamo la libertà di raccontarla ma anche di reinventarla. La descriviamo, non per come è andata davvero, ma per come ci può aiutare a capire qualcosa di più sul presente. Pochi anni fa, ne Il diritto di contare, la storia della conquista della Luna è stata “usata” per parlare della dimostrazione di supremazia e di orgoglio statunitense, sorretto da un gruppo di scienziate afroamericane che, nonostante le discriminazioni subite, hanno svolto tutte le operazioni e i calcoli che hanno reso tecnicamente possibile l’impresa. Ora, in Fly Me to the Moon, lo stesso evento ci viene raccontato come possibile solo grazie al capitalismo. Ma facciamo un po’ di contesto. Nel 1969 l’America si sta sforzando di rimuovere dalle menti delle persone il bagno di sangue del Vietnam. Si butta quindi nella corsa alla Luna. Parte da qui la commedia distribuita da Eagle Picture, firmata da Greg Berlanti. La sfida è mandare il primo uomo sul satellite entro la fine degli anni ’60, un tempo che sta ormai per scadere. Ma non solo: il paese è sempre più depresso e sconvolto dalle rivolte pacifiste, da quelle per i diritti, dagli omicidi eccellenti. Ha perso ormai interesse al programma spaziale che, per risultare vincente, necessita di attrarre l’attenzione delle masse e quella degli sponsor. Basato sul romanzo Lasciami volare (scritto da Alyson Noël, Keenan Flynn e Bill Kirstein), il film racconta di Kelly Jones. La donna viene assunta dalla NASA per risollevare l’immagine dell’agenzia spaziale in piena “corsa allo spazio”, agli occhi del pubblico americano. Ci riuscirà, ovviamente, ma in Florida si imbatterà, si scontrerà e infine si innamorerà del direttore del lancio, ancora tormentato dalla tragedia del primo lancio fallito. Quello dell’Apollo 1. Nel 1967, infatti, sulla rampa di lancio di Cape Canaveral, i tre astronauti Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee morirono durante un'esercitazione a causa di un incendio divampato all'interno del modulo di comando di quella che avrebbe dovuto essere la missione Apollo 1, la prima missione con equipaggio del programma americano di esplorazione della Luna. Insomma, il più grande sogno della storia recente sta per realizzarsi, ma qualcosa potrebbe andare storto. E allora come evitarlo? Affidandosi alla segreta realizzazione di un finto allunaggio nel caso in cui quello vero non fosse andato in porto. Una messinscena perfetta e senza sbavature, da mandare in onda sulle tv di tutto il mondo, per proteggersi da ogni eventuale imprevisto o fallimento e far fare, comunque vada, una bella figura all’America. Il motivo? Beh, semplice: “Non si sa mai come potrebbe andare”. A differenza de Il diritto di contare, però, questo film non possiede alcuna pretesa di realismo, anzi. Si diverte implausibilità, per arrivare a costruire una commedia romantica.
È un film volutamente d’altri tempi, in cui la spregiudicatezza sessuale di quegli anni è solo allusa, e in cui conta molto di più l’interazione e la rapidità dei dialoghi rispetto all’effettivo intreccio della storia. Fly Me to the Moon è un film brioso e divertente. Molto è sulle spalle di Scarlett Johansson e della sua inarrestabile Kelly Jones, che ne sa sempre una (se non due) più del diavolo, in barba all’accoglienza non esattamente calorosa del capo del programma Apollo 11, Cole Davis. D’altronde Kelly incarna l’anima del commercio: il marketing, la comunicazione, la pubblicità che cos’è se non un dolce inganno? E chi meglio di una scaltra truffatrice può farsi strada in una simile carriera? Ci vorrà l’amore ovviamente (stiamo pur sempre guardando una commedia romantica, le cose si risolvono baciando, mica sparando) di questo ragazzone americano tutto d’un pezzo per temperare questa donna e farle trovare la giusta via di mezzo. Ma con Fly Me to the Moon lo spettatore ricorderà più di una storia d’amore. C’è il contesto, gli anni’60, il racconto del “dietro le quinte” degli astronauti, degli ingegneri e di tutte le altre migliaia di persone a lavoro per l’impresa. Oltre che l’incredibile messinscena architettata dai “poteri forti”, per essere sicuri che l’America uscisse vincente dal conflitto ideologico, come nei film della vecchia Hollywood, in cui i cattivi sono sempre gli indiani d’America. Una messinscena che è ancora oggi uno dei cavalli di battaglia dei complottasti di tutto il mondo. Nel 1974, ad esempio, arrivò sul mercato un libro autopubblicato dal titolo Non siamo mai stati sulla Luna. Una truffa da 30 miliardi di dollari. L’autore, Bill Kaysing, era uno scrittore piuttosto prolifico. Tra i vari lavori, si era occupato anche di curare le pubblicazioni tecniche di un’azienda che lavorò per la NASA durante gli anni della missione Apollo, e sfruttò questo aggancio per ostentare autorevolezza riguardo la sua nuova pubblicazione. Le tesi portate da Kaysing sono le stesse che troviamo ancora oggi sul web, nonostante siano state tutte già smentite decenni fa da prove ufficiali. Anche i russi hanno confermato ufficialmente che la polvere e le rocce riportate dalla missione sono veramente lunari. La bandiera che si muove, le ombre che non quadrano, sono tutte cose che si possono spiegare con la fisica, sopratutto se teniamo conto delle condizioni nello spazio. Se i russi avessero avuto anche un solo dubbio, avrebbero trovato il modo di farlo sapere al grande pubblico e sarebbe stata una vittoria politica incredibile, ma non l'hanno fatto perché era vero. Il primo livello del film, quello della musica swing, degli sguardi allusivi, e delle schermaglie che portano al bacio, è perfetto. Ma quello che conquista davvero lo spettatore è il secondo. Non è semplice fare una commedia romantica fatta bene, certo. Ma ancora più difficile lo è creare i presupposti per una celebrazione del capitalismo che forse non è tale. Perché Fly Me to the Moon alla fine diventa proprio apologia della menzogna e delle fake news fatte circolare per un obiettivo superiore, e fa insidiare nello spettatore il dubbio che questa convinzione dei personaggi (che tutto si può fare per battere i russi) sia davvero giusta. È vero, il film è diseguale anche perché mette molta carne al fuoco, che non sempre si cuoce perfettamente. Non sarà perfetto, ma come si fa a non emozionarsi ancora oggi, al momento in cui vediamo l’Apollo 11 partire e Neil Armstrong toccare il suolo lunare? Non si può. Il problema? La commedia di Apple TV+ potrebbe diventare suo malgrado uno dei flop cinematografici più importanti degli ultimi anni. Infatti, i soli 875.000 dollari di incasso, a paragone di un budget di 100 milioni, sono un vero disastro. E se questo sarà l'andamento del film, il futuro non sarà per niente roseo. La commedia d'epoca è in programmazione in 3.300 località questo fine settimana, ma non si è mai vista in nessuna pubblicità. Forse, il licenziamento del capo del marketing di Apple TV+ non è del tutto casuale: lo streamer quest'anno ha già messo a segno il clamoroso flop di Argylle. Un gran peccato, perché l'alchimia tra Scarlett Johansson e Chunning Tatun sullo schermo è perfetta. Se non altro, tanti sono stati i critici che hanno amato il film. Cahiers du Cinema lo ha addirittura descritto come "un film che difende l'autenticità e l'idealismo in un'epoca di contenuti generati dall'intelligenza artificiale". D’altronde, la Luna ha sempre suscitato una certa fascinazione sull'essere umano. Che sia un espediente romantico o uno dei traguardi scientifici più importanti dell'umanità, ha incarnato per secoli il ruolo di compagna delle notte più limpide. E da tutto questo, il cinema ha sempre attinto a piene mani. Ma fino a che punto i film e la narrazione fantascientifica possono concedersi licenze che si discostano dalla realtà? In Interstellar, ad esempio, il protagonista sopravvive ad un viaggio in un buco nero. Accettabile, considerando che al giorno d’oggi non sappiamo cosa c'è in un buco nero. Gravity, invece, è un film fatto molto bene, ma la storia però non sta in piedi perché si violano le leggi più elementari. Di certo, con il film di Berlanti, non raggiungiamo il livello del film più accurato dal punto di vista scientifico: 2001 - Odissea nello spazio, la cui parte sulla missione verso Giove era basata su studi diretti della NASA. Fly Me to the Moon diventa invece la celebrazione della vittoria definitiva sull’Unione Sovietica. Perché non solo gli americani sono arrivati sulla Luna per primi, ma ci sono arrivati (secondo il film) in quanto Paese capitalista. La protagonista è infatti l’incarnazione vera e propria del capitalismo: è desiderabile, vende un mondo di sogni, è pronta a mentire, non accetta un "no" come risposta e (se ben pagata) è disposta a fare qualsiasi cosa. Scarlett Johansson ci vende la donna che sa vendere, mentre per la controparte maschile, Channing Tatum, conta solo la missione. Per lui che è un ingegnere tutto d’un pezzo, tutti questi lustrini e questo marketing sono inutili. Ma anche lui sarà lentamente conquistato da questa donna irresistibile dall’idea di vendere la missione al Paese.
Carmen Apadula
La Luna ha sempre suscitato sull'essere umano una certa fascinazione: che sia un espediente romantico o uno dei traguardi scientifici più importanti dell'umanità, ha incarnato per secoli il ruolo di compagna silenziosa delle notte più limpide. Ora, in Fly Me to the Moon, ci viene detto che raggiungerla è stato possibile solo grazie al capitalismo. La storia. La storia la scriviamo ogni giorno. Poi la prendiamo e la raccontiamo nei libri di scuola, nei romanzi, nelle canzoni, nei film. Ed è nei film, in particolare, che ci prendiamo la libertà di raccontarla ma anche di reinventarla. La descriviamo, non per come è andata davvero, ma per come ci può aiutare a capire qualcosa di più sul presente. Pochi anni fa, ne Il diritto di contare, la storia della conquista della Luna è stata “usata” per parlare della dimostrazione di supremazia e di orgoglio statunitense, sorretto da un gruppo di scienziate afroamericane che, nonostante le discriminazioni subite, hanno svolto tutte le operazioni e i calcoli che hanno reso tecnicamente possibile l’impresa. Ora, in Fly Me to the Moon, lo stesso evento ci viene raccontato come possibile solo grazie al capitalismo. Ma facciamo un po’ di contesto. Nel 1969 l’America si sta sforzando di rimuovere dalle menti delle persone il bagno di sangue del Vietnam. Si butta quindi nella corsa alla Luna. Parte da qui la commedia distribuita da Eagle Picture, firmata da Greg Berlanti. La sfida è mandare il primo uomo sul satellite entro la fine degli anni ’60, un tempo che sta ormai per scadere. Ma non solo: il paese è sempre più depresso e sconvolto dalle rivolte pacifiste, da quelle per i diritti, dagli omicidi eccellenti. Ha perso ormai interesse al programma spaziale che, per risultare vincente, necessita di attrarre l’attenzione delle masse e quella degli sponsor. Basato sul romanzo Lasciami volare (scritto da Alyson Noël, Keenan Flynn e Bill Kirstein), il film racconta di Kelly Jones. La donna viene assunta dalla NASA per risollevare l’immagine dell’agenzia spaziale in piena “corsa allo spazio”, agli occhi del pubblico americano. Ci riuscirà, ovviamente, ma in Florida si imbatterà, si scontrerà e infine si innamorerà del direttore del lancio, ancora tormentato dalla tragedia del primo lancio fallito. Quello dell’Apollo 1. Nel 1967, infatti, sulla rampa di lancio di Cape Canaveral, i tre astronauti Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee morirono durante un'esercitazione a causa di un incendio divampato all'interno del modulo di comando di quella che avrebbe dovuto essere la missione Apollo 1, la prima missione con equipaggio del programma americano di esplorazione della Luna. Insomma, il più grande sogno della storia recente sta per realizzarsi, ma qualcosa potrebbe andare storto. E allora come evitarlo? Affidandosi alla segreta realizzazione di un finto allunaggio nel caso in cui quello vero non fosse andato in porto. Una messinscena perfetta e senza sbavature, da mandare in onda sulle tv di tutto il mondo, per proteggersi da ogni eventuale imprevisto o fallimento e far fare, comunque vada, una bella figura all’America. Il motivo? Beh, semplice: “Non si sa mai come potrebbe andare”. A differenza de Il diritto di contare, però, questo film non possiede alcuna pretesa di realismo, anzi. Si diverte implausibilità, per arrivare a costruire una commedia romantica.
È un film volutamente d’altri tempi, in cui la spregiudicatezza sessuale di quegli anni è solo allusa, e in cui conta molto di più l’interazione e la rapidità dei dialoghi rispetto all’effettivo intreccio della storia. Fly Me to the Moon è un film brioso e divertente. Molto è sulle spalle di Scarlett Johansson e della sua inarrestabile Kelly Jones, che ne sa sempre una (se non due) più del diavolo, in barba all’accoglienza non esattamente calorosa del capo del programma Apollo 11, Cole Davis. D’altronde Kelly incarna l’anima del commercio: il marketing, la comunicazione, la pubblicità che cos’è se non un dolce inganno? E chi meglio di una scaltra truffatrice può farsi strada in una simile carriera? Ci vorrà l’amore ovviamente (stiamo pur sempre guardando una commedia romantica, le cose si risolvono baciando, mica sparando) di questo ragazzone americano tutto d’un pezzo per temperare questa donna e farle trovare la giusta via di mezzo. Ma con Fly Me to the Moon lo spettatore ricorderà più di una storia d’amore. C’è il contesto, gli anni’60, il racconto del “dietro le quinte” degli astronauti, degli ingegneri e di tutte le altre migliaia di persone a lavoro per l’impresa. Oltre che l’incredibile messinscena architettata dai “poteri forti”, per essere sicuri che l’America uscisse vincente dal conflitto ideologico, come nei film della vecchia Hollywood, in cui i cattivi sono sempre gli indiani d’America. Una messinscena che è ancora oggi uno dei cavalli di battaglia dei complottasti di tutto il mondo. Nel 1974, ad esempio, arrivò sul mercato un libro autopubblicato dal titolo Non siamo mai stati sulla Luna. Una truffa da 30 miliardi di dollari. L’autore, Bill Kaysing, era uno scrittore piuttosto prolifico. Tra i vari lavori, si era occupato anche di curare le pubblicazioni tecniche di un’azienda che lavorò per la NASA durante gli anni della missione Apollo, e sfruttò questo aggancio per ostentare autorevolezza riguardo la sua nuova pubblicazione. Le tesi portate da Kaysing sono le stesse che troviamo ancora oggi sul web, nonostante siano state tutte già smentite decenni fa da prove ufficiali. Anche i russi hanno confermato ufficialmente che la polvere e le rocce riportate dalla missione sono veramente lunari. La bandiera che si muove, le ombre che non quadrano, sono tutte cose che si possono spiegare con la fisica, sopratutto se teniamo conto delle condizioni nello spazio. Se i russi avessero avuto anche un solo dubbio, avrebbero trovato il modo di farlo sapere al grande pubblico e sarebbe stata una vittoria politica incredibile, ma non l'hanno fatto perché era vero. Il primo livello del film, quello della musica swing, degli sguardi allusivi, e delle schermaglie che portano al bacio, è perfetto. Ma quello che conquista davvero lo spettatore è il secondo. Non è semplice fare una commedia romantica fatta bene, certo. Ma ancora più difficile lo è creare i presupposti per una celebrazione del capitalismo che forse non è tale. Perché Fly Me to the Moon alla fine diventa proprio apologia della menzogna e delle fake news fatte circolare per un obiettivo superiore, e fa insidiare nello spettatore il dubbio che questa convinzione dei personaggi (che tutto si può fare per battere i russi) sia davvero giusta. È vero, il film è diseguale anche perché mette molta carne al fuoco, che non sempre si cuoce perfettamente. Non sarà perfetto, ma come si fa a non emozionarsi ancora oggi, al momento in cui vediamo l’Apollo 11 partire e Neil Armstrong toccare il suolo lunare? Non si può. Il problema? La commedia di Apple TV+ potrebbe diventare suo malgrado uno dei flop cinematografici più importanti degli ultimi anni. Infatti, i soli 875.000 dollari di incasso, a paragone di un budget di 100 milioni, sono un vero disastro. E se questo sarà l'andamento del film, il futuro non sarà per niente roseo. La commedia d'epoca è in programmazione in 3.300 località questo fine settimana, ma non si è mai vista in nessuna pubblicità. Forse, il licenziamento del capo del marketing di Apple TV+ non è del tutto casuale: lo streamer quest'anno ha già messo a segno il clamoroso flop di Argylle. Un gran peccato, perché l'alchimia tra Scarlett Johansson e Chunning Tatun sullo schermo è perfetta. Se non altro, tanti sono stati i critici che hanno amato il film. Cahiers du Cinema lo ha addirittura descritto come "un film che difende l'autenticità e l'idealismo in un'epoca di contenuti generati dall'intelligenza artificiale". D’altronde, la Luna ha sempre suscitato una certa fascinazione sull'essere umano. Che sia un espediente romantico o uno dei traguardi scientifici più importanti dell'umanità, ha incarnato per secoli il ruolo di compagna delle notte più limpide. E da tutto questo, il cinema ha sempre attinto a piene mani. Ma fino a che punto i film e la narrazione fantascientifica possono concedersi licenze che si discostano dalla realtà? In Interstellar, ad esempio, il protagonista sopravvive ad un viaggio in un buco nero. Accettabile, considerando che al giorno d’oggi non sappiamo cosa c'è in un buco nero. Gravity, invece, è un film fatto molto bene, ma la storia però non sta in piedi perché si violano le leggi più elementari. Di certo, con il film di Berlanti, non raggiungiamo il livello del film più accurato dal punto di vista scientifico: 2001 - Odissea nello spazio, la cui parte sulla missione verso Giove era basata su studi diretti della NASA. Fly Me to the Moon diventa invece la celebrazione della vittoria definitiva sull’Unione Sovietica. Perché non solo gli americani sono arrivati sulla Luna per primi, ma ci sono arrivati (secondo il film) in quanto Paese capitalista. La protagonista è infatti l’incarnazione vera e propria del capitalismo: è desiderabile, vende un mondo di sogni, è pronta a mentire, non accetta un "no" come risposta e (se ben pagata) è disposta a fare qualsiasi cosa. Scarlett Johansson ci vende la donna che sa vendere, mentre per la controparte maschile, Channing Tatum, conta solo la missione. Per lui che è un ingegnere tutto d’un pezzo, tutti questi lustrini e questo marketing sono inutili. Ma anche lui sarà lentamente conquistato da questa donna irresistibile dall’idea di vendere la missione al Paese.
Carmen Apadula