Alice Rohrwacher è emersa negli ultimi anni come una delle voci più significative del cinema italiano contemporaneo. A partire dall’esordio nel 2011, la regista ha riscosso ampio successo in Italia e non solo, ottenendo vari riconoscimenti a Cannes per i suoi lungometraggi e una nomination agli Oscar 2023 per il corto Le pupille. Durante la sua carriera, ha collaborato con altri registi in documentari e film collettivi, confrontandosi con modi alternativi di fare cinema. Nel 2024 ha annunciato di essere al lavoro su un nuovo progetto, un film muto, i cui dettagli però rimangono ancora un mistero. La regista ha dichiarato che la sua intenzione è di esplorare il cinema muto come linguaggio alternativo a quello sonoro: un ritorno alla potenza dell’immagine prima che il logos prendesse il sopravvento.
La filmografia di Alice Rohrwacher, che comprende lungometraggi, cortometraggi e documentari, è caratterizzata da una profonda attenzione a temi sociali e culturali, visti attraverso la lente di un realismo magico in cui convivono la rappresentazione veritiera della realtà e la dimensione fiabesca dell’esistenza.
Corpo celeste (2011)
Il primo film a soggetto narra la storia di Marta, una ragazzina tredicenne che, avvicinandosi alla Cresima, compie un percorso di ricerca della propria spiritualità in contrasto con l’ambiente religioso corrotto in cui vive. Di fronte a una religione vuota e politicizzata, Marta rappresenta l’innocenza che non si piega alla mercificazione e che rivendica una fede autentica.
La regista sceglie di rappresentare il mondo provinciale nella sua degradazione, sia urbana che morale, attraverso lo stesso sguardo realista che ritroviamo nei suoi documentari (del 2006 è il documentario collettivo Checosamanca, che contiene l’episodio la Fiumara di Rohrwacher). Qui però la descrizione realistica della provincia assume tratti grotteschi, in particolare nella rappresentazione assurda del mondo religioso, privato della sua essenza sacra dalla cultura televisiva di massa.
Le meraviglie (2014)
Così come il film precedente, Le meraviglie è un racconto di formazione di una giovane ragazza che inizia a mettere in dubbio il mondo in cui vive. La famiglia di Gelsomina vive in un mondo rurale fuori dal tempo, un’utopia che rifiuta il consumismo e i ritmi del mondo moderno. Quando quest’ultimo irrompe nella vita della famiglia, promettendo le meraviglie della televisione, la giovane protagonista si trova davanti alla possibilità di una vita diversa. Qui, a differenza di Corpo celeste, il potere che i media esercitano sulla realtà è visto in modo più sfumato: il mezzo televisivo non è visto solo come elemento negativo e corruttore, ma anche come veicolo di emancipazione per la protagonista, la quale rivendica felicità individuale e indipendenza dalla famiglia. In questo secondo lungometraggio, lo stile e l’estetica della regista iniziano a delinearsi con più chiarezza: alla rappresentazione realistica del paesaggio rurale si contrappongono l’artificiosità quasi magica del mondo televisivo e la presenza fatata del personaggio interpretato da Monica Bellucci
Lazzaro felice (2018)
Lazzaro felice, presentato in concorso a Cannes, dove si è aggiudicato il premio alla miglior sceneggiatura, ripropone i temi fondamentali della filmografia di Rohrwacher: la comunità legata alla terra e a un passato fuori dal tempo, l’innocenza che incontra la corruzione del mondo moderno e urbanizzato, la condizione degli emarginati della Storia. Il contrasto tra vita rurale fuori dal tempo e mondo moderno industrializzato si riflette nella divisione in due parti della storia, a cui corrisponde un forte contrasto estetico: da una parte l’idillio rurale e dall’altra il paesaggio urbano. L’utilizzo del realismo magico assume un ruolo sempre più importante, dando vita a una sorta di “fiaba sociale” dei nostri tempi. La regista descrive il film come una parabola pagana, espressione della religione dell’essere umano semplice e innocente, fuori dalla Storia, vulnerabile allo sfruttamento della società. E anche quando il “santo” Lazzaro resuscita e viene riconsegnato alla Storia, la sua situazione di emarginato non cambia.
Le pupille (2022)
Le pupille è stato presentato a Cannes nel 2022 e l’anno successivo ha ricevuto una candidatura all’Oscar al miglior cortometraggio. Si tratta di una storia liberamente ispirata a una lettera che Elsa Morante scrisse all’amico Goffredo Fofi nel dicembre del 1971, dove la scrittrice racconta una storia di Natale ambientata durante la seconda guerra mondiale in un collegio religioso per bambine. L’adattamento di Rohrwacher ruota attorno alla natività che Suor Fioralba organizza per attirare l’attenzione dei benefattori e a una zuppa inglese che diventa oggetto del desiderio delle pupille. La storia di queste bambine diventa una favola moderna di condivisione e di spirito di comunità contro l’egoismo della politica. Il personaggio di Serafina in particolare rappresenta la purezza che va contro alle contraddizioni del potere, il senso di comunità che riesce a vincere contro i secondi fini dell’autorità. Secondo le parole della regista, si tratta di una storia sulla magia, in cui la meraviglia non arriva dall’alto ma riesce a sbocciare dal basso. Anche qui Rohrwacher accosta elementi di realismo a un’atmosfera fiabesca e a suo modo magica, portando in scena un passato nostalgico e una sottile critica sociale.
La chimera (2023)
La chimera è il primo film della regista ad avere un cast internazionale, che comprende l’attore Josh O’Connor nel ruolo del protagonista, oltre a Isabella Rossellini e Alba Rohrwacher. Il film è stato ideato come terzo capitolo di una trilogia ideale, iniziata con Le meraviglie e proseguita con Lazzaro felice, che vuole esplorare il rapporto tra presente e passato e il tema della memoria collettiva. In questo caso alla memoria della comunità si affianca la memoria personale di Arthur, il quale è guidato dal desiderio di connessione con il passato simboleggiato dalla sua capacità soprannaturale di localizzare reperti antichi. Quello che sta al centro di La chimera è il conflitto tra passato incontaminato e presente materialistico schiavo del progresso. La figura dei tombaroli in questo senso offre lo spunto per riflettere sul rapporto della società moderna con il passato: la regista guarda alla nascita del fenomeno tra gli anni Settanta e Ottanta come un momento storico in cui gli oggetti archeologici non sono più reperti intoccabili in quanto portatori di una storia invisibile, ma considerati solo come merce. E, così come i tombaroli, Rohrwacher vuole creare una contro-archeologia del cinema, un recupero del passato e dei grandi maestri (primo fra tutti Pasolini) per offrire un nuovo sguardo sul passato senza la rigidità dell’”archeologia” ufficiale.
A cura di Luca Bortone