I VOSTRI ELABORATI: WORKSHOP LIVE “Il cinema di François Truffautâ€!
07/05/2020
Durante il workshop live dedicato al cinema di François Truffaut, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere un elaborato su un elemento emblematico del cinema di uno dei fondatori della Nouvelle Vague. Ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!

Lucia Cirillo
La verità di un esperimento non riuscito

“È una versione comica e femminile del Ragazzo Selvaggio: una storia di sopravvivenza” (Truffaut). Tutto qui il senso di un film giudicato forse troppo severamente dalla critica del tempo, probabilmente non riuscendo a cogliere l’interessante sforzo di sperimentazione contenuto in un film in fondo anche piuttosto godibile. La prima sensazione che si prova, fin dalle prime inquadrature, è quella di assistere ad una rappresentazione teatrale: siparietti farseschi delimitati da finestre o da scale da cui si cade in modo rocambolesco, riprese statiche e personaggi molto “caricati” anche sul piano recitativo. Non si assiste a qualcosa di neppure vagamente paragonabile alle magnifiche architetture di Almodovar ma l’aria che si respira è in parte già quella. Sin dai primi minuti si ravvisa quasi l’intenzione esplicita di costruire una storia volutamente scombiccherata, uno scherzo voluto e non, come certa critica ha sbrigativamente insinuato, meramente il frutto di scelte ponderate male. 
La trama, tratta da un romanzo intitolato “un fiore di figliola come me”, è il racconto a ritroso e per bocca della protagonista Camille delle vicissitudini che - a suo dire - l’hanno resa vittima di una società che la vede colpevole di crimini dettati dalla necessità. E mai dal proprio volere. Il giovane sociologo Stanislao che tenterà di studiare il suo caso finirà vittima a sua volta della donna e dell’unico potere che lei stessa è sempre stata consapevole di avere: una irresistibile e travolgente capacità seduttiva.
Il tema è uno di quelli più cari a Truffaut, la donna, il suo mistero e il suo ascendente sull’uomo. Nonostante il tono si mantenga sempre piuttosto scanzonato e fin troppo caricaturale, si avverte con una certa evidenza il tentativo di dimostrare anche una questione relativa al metodo deduttivo di un certo peso: vale a dire che ogni ipotesi di stabilire delle verità non confutabili sulla condotta umana (e men che meno su quella femminile) è destinata all’inevitabile fallimento. Per diversi ordini di motivi: il sociologo non può che attenersi al racconto per bocca della ragazza stessa. Il racconto è la riproposizione di una realtà inevitabilmente inficiata dal personale punto di vista sia di chi racconta che di chi ascolta. E questo anche quando i fatti sono riportati del tutto fedelmente. Il sociologo infatti, dal canto suo, non riesce a mantenere la posizione neutrale di uno scienziato in grado di discernere la realtà oggettiva dalla sua naturale propensione verso la donna.
Nella storia si assiste ad un solo ed unico momento in cui si riesce a stabilire la verità. È grazie al cinema. La ragazza viene scagionata perché un bambino ha ripreso il momento in cui lei non stava commettendo alcun reato. Il cinema, anzi le immagini che custodisce, è un detentore di verità.
Tutto il resto non è oggettivamente dimostrabile, è approssimazione, adattamento necessario a sopravvivere, un continuo modularsi alle personalità, nel caso della ragazza è riuscire, per il tempo che le è utile, ad adeguarsi agli uomini che incontra e che vogliono usarla nella sola maniera che lei conosca. Vedrà nel sociologo lo stesso tipo di uomo. E in lui troverà, ancora una volta, la soluzione per il proprio riscatto.

Barbara Anna Clara Ferraro
Riflessioni su François Truffaut

Il cinema statunitense degli anni '50 si basava su modelli stereotipati che prevedevano la contrapposizione netta tra buoni e cattivi, colpi di scena e scontato lieto fine con il trionfo del bene sul male. Un'adesione totale a schemi convenzionali che poco spazio lascia all'interpretazione realistica della vita.
La Nouvelle Vague è alla ricerca di uno sguardo nuovo capace di suscitare riflessioni nello spettatore. Il risultato è un cinema che scruta con attenzione e senza moralismi l'inafferrabile e scostante animo umano.
Un film quindi può anche chiudersi con una scena priva di elementi in grado di poter prevedere gli eventi che seguiranno, lasciando un finale aperto all'interpretazione personale. Non è fondamentale che si seguano schemi prefissati, l'essenziale è focalizzare l'attenzione verso quei dettagli che rappresentano lo smarrimento dell'uomo contemporaneo.
Dietro l'esplosione della Nouvelle Vague è sotteso un lungo lavoro critico che vuole sconvolgere il panorama irrigidito del cinema tradizionale.
Lo scopo è riuscire a promuovere i film d'autore e con essi un racconto personale con uno sguardo più obiettivo possibile. Sul piano tecnico con l'utilizzo della profondità di campo e del piano sequenza si può quindi mantenere una corrispondenza anche stilistica con lo scorrere della vita.
Una caratteristica interessante di questa soggettivazione è quindi l'interrogazione diretta da parte dell'autore e, per suo tramite, dello spettatore, di ciò che si svolge sullo schermo.
Talvolta è così tanta l'urgenza di comunicare che i personaggi quasi vogliono "uscire" dallo schermo, confrontarsi proprio con lo spettatore.
Lo schermo non funziona come cornice che separa, come uno specchio che riflette ingannando, ma come una finestra che si apre su un mondo che si prova a conoscere.
François Truffaut è uno dei maggiori rappresentanti della Nouvelle Vague e riesce a dipingere in maniera indelebile attraverso la sua filmografia la sua realtà, il suo sistema di valori personali che si basa sull'Amore, sulla sua ricerca e sull'ossessione per averlo.
È in grado, col suo approccio nuovo e vitale, sin dal suo primo film, di farci rivivere la sua infanzia attraverso il suo alter ego Antoine Duanel, rivelando un'esistenza da subito complicata ne “I 400 colpi”.
Antoine impersonifica la stessa irrequietezza, spaesamento, mancanza di affetti e riferimenti concreti di François.
Antoine cresce covando una forte ribellione e insofferenza alla disciplina scolastica come François e lo anima una innegabile volontà di trasgressione.
Truffaut sceglie, per farsi conoscere, un ragazzino che non riesce a seguire le regole e cerca di trovare il suo posto nel mondo.  Il suo protagonista è la personificazione di se stesso, di un eterno e malinconico sognatore che riesce a realizzare il suo desiderio di vedere il mare. 
Il primo piano di Duanel, nella scena finale, si volge allo spettatore quasi forse a cercare un'approvazione mai avuta, una consapevolezza raggiunta, la possibilità di perdersi in un futuro privo di rigide regole e banalità convenzionali.
Il mare diventa metafora di libertà, la stessa libertà fondante il cinema di Truffaut e il nuovo cinema francese.
E così da un luogo come un istituto di correzione può giungere l'opportunità di effettuare quel tuffo liberatorio nel mare della vita. 
Così come sarà possibile fare per il piccolo Francoise, che troverà grazie al suo mentore Bazin la possibilità di avvicinarsi al cinema. Esso diventerà la sua ragione di vita e di resurrezione.
Lo salverà dalla sua vita complicata, anche la vicinanza della nonna materna che gli trasferisce la passione per la lettura. La letteratura è presente infatti nei suoi film che sono tratti da libri o ricchi di citazioni letterarie (“Fahrenheit 451” o “Adele H-Una storia d'amore”).
Truffaut fa una scelta di continuità scegliendo lo stesso attore per impersonificare se stesso nel ciclo che racchiuderà tutte le tappe fondamentali della vita: il passaggio dall'adolescenza al timido corteggiamento di una ragazza, la maturità, la noia del matrimonio, che dalle sottili gioie dell'adulterio porterà il protagonista al divorzio <Antoine e Colette - Baci rubati (1968) non drammatizziamo ...è solo una questione di corna (1970) - L'amore fugge (1979)>.
L'aspetto che emerge dall'intera filmografia di Truffaut è che sia inevitabilmente affascinato dalle donne.
Le donne passionali che riescono ad aprirsi completamente all'amore senza mediazioni e finzioni. 
Rappresenta figure femminili che si lasciano perfino annientare dall'amore: Adele H che dopo una terribile delusione d'amore sprofonda in depressione, in “Jules e Jim” l'attrice Jeanne Moreau interpreta lo struggente ruolo di una donna profondamente innamorata dell'amore e ne “La signora della porta accanto” emerge un'altra figura femminile ossessionata dall'amore, sentimento indefinibile e assolutamente inafferrabile.
Indubbiamente nel regista è presente qualcosa di queste donne, donne irrimediabilmente romantiche che non riescono ad accontentarsi di una storia d'amore piatta, ma tranquilla. 
Truffaut si invaghisce spesso delle sue protagoniste e ne “L' uomo che amava le donne” è perfettamente incarnato questo suo aspetto.
In questa visione del cinema e della vita non esiste un sistema di valori morali, non c'è spazio per Dio eppure (La camera verde) l'autore ci presenta una sua visione per così dire religiosa. Attraverso il ricordo e la commemorazione dei morti è possibile prolungare la vita. Nulla si esaurisce, tutto resta immemore. Lo scopo di tutto questo è sempre mantenere vivo l'amore che ci ha legato alle persone mancate. Il protagonista decide di creare uno spazio dove tenere vivi i morti, spinto dall'impossibilità a lasciarli andare.
In questa atmosfera funerea di un mondo para esistenziale anche la letteratura e il ricordo dei propri autori rimane. La funzione del cinema sarà tenere in vita la letteratura e la memoria.
La solitudine e l'incapacità di vivere nel mondo reale portano a creare uno spazio fisico, ma anche mentale, in cui paradossalmente l'apice di vitalità si trova proprio nella morte.

Andrea Parigi
“Fahrenheit 451”

La mia intenzione non è quella di analizzare (anche perché non ne ho le competenze) “Fahrenheit 451”, ma cercare di spiegare cosa ha significato per me, non me ne voglia il grande François.  
È il primo film che ho visto di Truffaut. In quasi due ore mi ha fatto innamorare di un’arte, di un concetto, di un’idea. Veniamo al dunque. In “Fahrenheit 451” ho trovato quell’esigenza di fuggire dai dogmi classici, imposti da qualcun altro, ma non la solita ribellione che non porta a niente, una rivolta silenziosa, intelligente, ragionata. Quella degli “uomini libro”. Il loro gesto di imparare libri a memoria non è solo un atto disubbidiente, ma un atto d’amore verso se stessi e soprattutto verso gli altri. Un amore che nel protagonista nasce a poco a poco, un amore che libro dopo libro si alimenta come una fiamma che arde sempre di più, proprio a volersi ricollegare al fuoco che li distruggeva. Gli “uomini libro” hanno tanto da insegnarci: fare propria la cultura e poi diffonderla è il compito che ci hanno lasciato. Forse un giorno tutto questo diventerà reale, ma Truffaut non dovrà temere, la sua filmografia avrà un umile custode. 

Maria Serena Pasinetti
Truffaut, il treno e il piano sequenza 

“I film sono più armoniosi della vita. Non ci sono intoppi nei film, non ci sono rallentamenti. I film avanzano come treni nella notte.” Questo dice Truffaut in EFFETTO NOTTE.
Sono stata profondamente colpita dalla puntualizzazione sempre molto stimolante di Andrea nei riguardi del critico Jacques Arnaud, secondo cui il vero antenato del cinema è il treno.
E se è vero che il piano sequenza riflette la vita reale allora mi sono messa a guardare più volte il famosissimo piano sequenza di “Effetto Notte” come se fossi in treno.
Bisogna avanzare e retrocedere con questo treno per non perdere particolari. Magia del cinema che ti fa rivedere e immaginare quante volte vuoi la vita "reale" che scorre. Realtà finta ma tanto simile alla realtà vera.
“Il cinema è la vita a cui sono state tagliate le parti noiose “dice Hitchcock, amatissimo da Truffaut.
Li avrei visti bene i due maestri su un treno a guardar la vita scorrere mentre procedeva la loro conversazione.
Che meraviglia la finzione cinematografica ma che meraviglia anche la realtà che ti passa davanti in treno, vera ma su cui crei il tuo film.
E adesso mi spiego il grande amore che ho sempre avuto per il treno. da quando piccola prendevo con i miei un treno di notte per il mare a quando mi svegliavo: eccola la distesa azzurra davanti a me.
Ho sempre e senza esitazioni amato andare in treno e quindi il cinema.

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