Il cinema ai tempi della post-verità
12/03/2020

Ormai da anni ci sentiamo ripetere che stiamo vivendo l’era della post-verità. Affermazione così ridondante tanto da spingere, nel 2016, l’Oxford Dictionary a eleggere "post-truth" come parola dell’anno. Oggi più che mai appare infatti evidente il ruolo decisivo che stanno avendo media e new media in questo perpetuo mescolarsi di realtà e finzione, rendendo spesso difficile capire a chi e a cosa credere. La settima arte si interroga da sempre sulla vera essenza dell’apparente dicotomia fra verità e artificio, dimostrandosi spesso lungimirante se non addirittura profetica.

Nel film Tootsie (1982) di Sydney Pollack è al momento dell’agnizione di Dustin Hoffman che la sfumata riflessione metacinematografica raggiunte il suo apogeo, generando una sorta di cortocircuito interpretativo: il medium televisivo non intacca la sospensione dell’incredulità dello spettatore, anzi, agisce da filtro. La realtà, che lentamente inizia a fare breccia attraverso la finzione, non è in grado di andare oltre lo studio televisivo, restando inevitabilmente intrappolata dietro uno schermo. 


Nel finale di Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese è il ruolo della stampa a essere messo sotto la lente di ingrandimento: il misantropo Travis, personaggio estremamente complesso e pieno di contraddizioni, viene eletto a eroe. I giornali hanno quindi il potere di modellare una loro personale visione e versione del protagonista, diventando in un certo senso padroni del suo destino. 



Fra i titoli che scagliano una feroce critica ai media spicca Quinto potere (1976) di Sidney Lumet, opera dalla forte impronta profetica. TV e società vengono messi alla sbarra dal regista: la prima, rea di deformare la realtà a suo piacimento; la seconda ci viene presentata come incapace di scindere la finzione da tutto il resto (non è un caso che il personaggio della Dunaway continui a immaginare la propria vita vincolata a linee narrative che potrebbero appartenere a una soap opera). 


The Truman Show (1998) di Peter Weir è un ottimo esempio del modo in cui può essere avvertita come reale una vita totalmente calata nella finzione. Ancor più interessante della consapevolezza che Truman matura della propria esistenza è la percezione che il pubblico ha della vita del nostro protagonista. I fan dello show non credono realmente a quello che si presenta davanti ai loro occhi, lo schermo che hanno davanti li separa da Truman, ponendo quest’ultimo su un piano totalmente differente dal loro: quello della finzione.




Simone Manciulli

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