Il cinema di Céline Sciamma: le vostre analisi!
21/02/2022
Durante il workshop dedicato al cinema di Céline Sciamma, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi collegata alla filmografia di questa straordinaria regista. Ecco il lavoro che ha meritato la pubblicazione!
Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma (2019)
di Giulia Pugliese
“La mia generazione, quella del dopoguerra, è cresciuta in un’epoca in cui la donna era trattata come una bambina e come una proprietà. Era tenuta come un giardino incolto…ma per fortuna qualche seme selvaggio arrivava sempre, portato dal vento. Sebbene quel che le donne scrivevano non fosse autorizzato, comunque continuarono a diffonderlo. Sebbene quel che dipingevano non ottenesse alcun riconoscimento, comunque nutriva l’anima. Le donne dovevano implorare per ottenere gli strumenti e gli spazi necessari alle loro arti e, se nella era concesso, trovavano il loro spazio negli alberi, nelle caverne, nei boschi, e nei gabinetti.” Clarissa Pikola Estes, “Donne che corrono coi lupi”
“Ritratto della giovane in fiamme” oltre a essere la narrazione di una storia d’amore cristallina, proibita e pura che segnerà la vita di due ragazze, è anche un manifesto visivo, programmatico e politico di una regista che è interessata a creare un suo stille personale e portare al cinema lo sguardo femminile. Céline Sciamma spesso etichettata come una regista queer, in realtà è molto più di questo: è in grado di interfacciarsi con tematiche diverse e di creare un linguaggio completo e molto personale.
Due donne: una straniera, la pittrice Marianne, straniera non solo sull’isola dove arriva, ma anche sulla terraferma, perché in quanto artista donna, non può disegnare nudi maschili, per iscriversi ai concorsi deve iscriversi a nome di suo padre. È libera perché è sola ed è un outsider (ma come le chiede Heloise “la vera libertà è stare soli?”). Il suo arrivo all’isola ricorda quello di un’altra straniera, Ada di “Lezioni di piano”.
Un’ altra donna, la sposa-bambina, una donna che sta costruendo la sua identità: prima uguale tra tante, poi si carica il fardello del destino di sua sorella. Due mondi diversi e forse incompatibili: una è come direbbe Clarissa Pinkola l’archetipo della Donna Selvaggia, una donna che ha fatto le sue esperienze e conosce se stessa, mentre Heloise che sta per intraprendere il rito di passaggio del matrimonio, non si conosce ed è in parte incompleta. “Donne che corrono coi lupi” analizza proprio l’aspetto dei riti di passaggio della crescita femminile attraverso le storie. Céline Sciamma fa dei film su dei riti di passaggio di giovani donne: in questo senso il libro e il film fanno un ragionamento comune.
Il film è un vero e proprio tableau vivant in quasi ogni sua scena, riprende moltissimo dell’immaginario dell’impressionismo francese e della pittura dell’800 tra i paesaggi di Monet, le donne di Degas e Berthe Morisot, l'unica pittrice impressionista, ed è interessante questo parallelo meta-cinematografico: in un film dove un dipinto è così importante, il film stesso è un dipinto vivente. Tanto più se si considera che la pittrice Helene Delmaire che ha fatto i quadri, li creati proprio durante le riprese quando si girava e basandosi sulle scene del film.
La regista ha sempre avuto un’attenzione particolare al corpo femminile, su come si vivono le donne il proprio corpo e sullo sguardo che gli altri hanno su questi. Heloise e Marianne si scrutano un po’ per necessità (Marianne deve dipingere Eloise), un po’ per curiosità e per attrazione. Se Heloise inizialmente rifiuta di mettersi in posa ed essere guardata, sarà poi lei ad offrirsi e accettare lo sguardo di Marianne. C’è una scena chiave del film in cui Marianne descrive le smorfie di Heloise, dicendole che lei non vorrebbe essere al suo posto, non accorgendosi che in realtà lo è, in quanto per dipingerla sta di fronte a Heloise come Heloise sta di fronte a lei. La conoscenza tra di loro passa dallo sguardo e il rapporto è paritario.
Un aspetto del film che non viene tanto rimarcato è il cameratismo femminile e la solidarietà femminile. Le due ragazze rimaste da sole frequentano altre donne e sull’ isola si crea una società ideale di sole donne. Inoltre, le due ragazze creano un rapporto speciale con Sophie, la serva che però trattano come pari e che aiutano ad abortire (tra l’altro la stessa attrice Luana Bajrani recita anche ne “L’Evenement”): da un lato si vuole sottolineare l’importanza della solidarietà femminile e anche il fatto che le donne si possono divertire e fare gruppo. Clarisa Pikola Estes paragona le donne ai lupi, forse è vero che sono creature da branco, le donne nella storia, e tutt’ora continuano ad aiutarsi ed essere solidali tra di loro, perché di alcune malattie si ammalano solo le donne.
Il film prende una decisione chiara sull’amore e sulle scelte: Eloise e Marianne come Orfeo ed Euridice, sono separate da forze maggiori, e lottare sarebbe troppo gravoso ed anche impossibile per i tempi; è quindi necessario fare la scelta del poeta, darsi un ultimo sguardo per non dimenticarsi. È per sempre, solo che non è insieme.
Alla fine, il prematuro addio tra le due protagoniste le porterà a prendere strade diverse, ma le loro strade si intrecceremo sempre nel nome dell’arte due volte: prima attraverso un dipinto, dove si vede che Eloise ha completato i riti di passaggio, è diventata moglie e mamma, ma ha anche amato Marianne e non l’ha dimenticata come dimostra il fatto che tiene in mano il libro che lei le aveva regalato, mostrando la pagina dove Marianne ha disegnato se stessa. La seconda con un Heloise commossa per le “Quattro stagioni” di Vivaldi, probabilmente ricordandosi quando Marianne l’ha suonata per lei. Ancora una volta Marianne fa la scelta del poeta e non dell’innamorata, perché la guarda, senza avvicinarla: il loro amore rimarrà cristallino nella mente delle due, come quando vediamo un quadro che ci colpisce.
Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma (2019)
di Giulia Pugliese
“La mia generazione, quella del dopoguerra, è cresciuta in un’epoca in cui la donna era trattata come una bambina e come una proprietà. Era tenuta come un giardino incolto…ma per fortuna qualche seme selvaggio arrivava sempre, portato dal vento. Sebbene quel che le donne scrivevano non fosse autorizzato, comunque continuarono a diffonderlo. Sebbene quel che dipingevano non ottenesse alcun riconoscimento, comunque nutriva l’anima. Le donne dovevano implorare per ottenere gli strumenti e gli spazi necessari alle loro arti e, se nella era concesso, trovavano il loro spazio negli alberi, nelle caverne, nei boschi, e nei gabinetti.” Clarissa Pikola Estes, “Donne che corrono coi lupi”
“Ritratto della giovane in fiamme” oltre a essere la narrazione di una storia d’amore cristallina, proibita e pura che segnerà la vita di due ragazze, è anche un manifesto visivo, programmatico e politico di una regista che è interessata a creare un suo stille personale e portare al cinema lo sguardo femminile. Céline Sciamma spesso etichettata come una regista queer, in realtà è molto più di questo: è in grado di interfacciarsi con tematiche diverse e di creare un linguaggio completo e molto personale.
Due donne: una straniera, la pittrice Marianne, straniera non solo sull’isola dove arriva, ma anche sulla terraferma, perché in quanto artista donna, non può disegnare nudi maschili, per iscriversi ai concorsi deve iscriversi a nome di suo padre. È libera perché è sola ed è un outsider (ma come le chiede Heloise “la vera libertà è stare soli?”). Il suo arrivo all’isola ricorda quello di un’altra straniera, Ada di “Lezioni di piano”.
Un’ altra donna, la sposa-bambina, una donna che sta costruendo la sua identità: prima uguale tra tante, poi si carica il fardello del destino di sua sorella. Due mondi diversi e forse incompatibili: una è come direbbe Clarissa Pinkola l’archetipo della Donna Selvaggia, una donna che ha fatto le sue esperienze e conosce se stessa, mentre Heloise che sta per intraprendere il rito di passaggio del matrimonio, non si conosce ed è in parte incompleta. “Donne che corrono coi lupi” analizza proprio l’aspetto dei riti di passaggio della crescita femminile attraverso le storie. Céline Sciamma fa dei film su dei riti di passaggio di giovani donne: in questo senso il libro e il film fanno un ragionamento comune.
Il film è un vero e proprio tableau vivant in quasi ogni sua scena, riprende moltissimo dell’immaginario dell’impressionismo francese e della pittura dell’800 tra i paesaggi di Monet, le donne di Degas e Berthe Morisot, l'unica pittrice impressionista, ed è interessante questo parallelo meta-cinematografico: in un film dove un dipinto è così importante, il film stesso è un dipinto vivente. Tanto più se si considera che la pittrice Helene Delmaire che ha fatto i quadri, li creati proprio durante le riprese quando si girava e basandosi sulle scene del film.
La regista ha sempre avuto un’attenzione particolare al corpo femminile, su come si vivono le donne il proprio corpo e sullo sguardo che gli altri hanno su questi. Heloise e Marianne si scrutano un po’ per necessità (Marianne deve dipingere Eloise), un po’ per curiosità e per attrazione. Se Heloise inizialmente rifiuta di mettersi in posa ed essere guardata, sarà poi lei ad offrirsi e accettare lo sguardo di Marianne. C’è una scena chiave del film in cui Marianne descrive le smorfie di Heloise, dicendole che lei non vorrebbe essere al suo posto, non accorgendosi che in realtà lo è, in quanto per dipingerla sta di fronte a Heloise come Heloise sta di fronte a lei. La conoscenza tra di loro passa dallo sguardo e il rapporto è paritario.
Un aspetto del film che non viene tanto rimarcato è il cameratismo femminile e la solidarietà femminile. Le due ragazze rimaste da sole frequentano altre donne e sull’ isola si crea una società ideale di sole donne. Inoltre, le due ragazze creano un rapporto speciale con Sophie, la serva che però trattano come pari e che aiutano ad abortire (tra l’altro la stessa attrice Luana Bajrani recita anche ne “L’Evenement”): da un lato si vuole sottolineare l’importanza della solidarietà femminile e anche il fatto che le donne si possono divertire e fare gruppo. Clarisa Pikola Estes paragona le donne ai lupi, forse è vero che sono creature da branco, le donne nella storia, e tutt’ora continuano ad aiutarsi ed essere solidali tra di loro, perché di alcune malattie si ammalano solo le donne.
Il film prende una decisione chiara sull’amore e sulle scelte: Eloise e Marianne come Orfeo ed Euridice, sono separate da forze maggiori, e lottare sarebbe troppo gravoso ed anche impossibile per i tempi; è quindi necessario fare la scelta del poeta, darsi un ultimo sguardo per non dimenticarsi. È per sempre, solo che non è insieme.
Alla fine, il prematuro addio tra le due protagoniste le porterà a prendere strade diverse, ma le loro strade si intrecceremo sempre nel nome dell’arte due volte: prima attraverso un dipinto, dove si vede che Eloise ha completato i riti di passaggio, è diventata moglie e mamma, ma ha anche amato Marianne e non l’ha dimenticata come dimostra il fatto che tiene in mano il libro che lei le aveva regalato, mostrando la pagina dove Marianne ha disegnato se stessa. La seconda con un Heloise commossa per le “Quattro stagioni” di Vivaldi, probabilmente ricordandosi quando Marianne l’ha suonata per lei. Ancora una volta Marianne fa la scelta del poeta e non dell’innamorata, perché la guarda, senza avvicinarla: il loro amore rimarrà cristallino nella mente delle due, come quando vediamo un quadro che ci colpisce.