Durante il workshop dedicato al cinema di Denis Villeneuve, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi su un elemento emblematico del cinema del regista canadese: ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!
Suspense, maternità, paternità, rapporto genitori-figli nel cinema di Denis Villeneuve
di Alessandro B.
Senza avere la presunzione di voler riassumere temi, forme e contenuti del cinema di Denis Villeneuve in poche righe, vorrei concentrarmi su un punto specifico. La violenza è spesso presente, quasi sempre associata all’uso delle armi. In alcuni casi è diretta, immediata, irrefrenabile, altre volte invece c’è come una sospensione dell’azione: lo spettatore è messo in condizioni di prevedere quello che sta per succedere, ma trascorrono lunghi istanti, a volte minuti di attesa, nel caso di Arrival un intero film, ed il risultato finale non sempre è quello più scontato. La suspense è connaturata alla storia del cinema, ma nel caso di Villeneuve viene declinata in modo originale e personale.
Emblematico in questo senso Polytechnique (2009), nato come un piccolo progetto per commemorare un atroce episodio di cronaca avvenuto a Montreal nel 1989.
Si inizia in medias res, vedendo studenti, o meglio studentesse, crivellati di colpi all’interno di una università, in brevi flash-back conosciamo meglio alcuni di loro ed anche l’aggressore che illustra in prima persona la sua patologica misoginia. La scena centrale avviene in una classe, durante una lezione: il ragazzo armato di un fucile automatico fa uscire gli uomini e tiene in ostaggio solo le poche ragazze presenti. La porta si chiude lasciando intuire la conclusione. La scena si sposta in altri ambienti dell’edificio, con altri omicidi, che nella realtà furono 14 in totale, fino al suicidio del killer. Lo spettatore dà per scontato che le ragazze nell’aula siano tutte morte. Verso il finale vediamo una giovane donna bionda che non ci sembra di avere mai conosciuto, ma da un suo flashback capiamo che si tratta di Valerie, la ragazza bruna che avevamo incontrato nei primi minuti del film. L’interno dell’aula è mostrato con una sua soggettiva e vediamo come si sia miracolosamente salvata.
Arrival è il film dell’attesa per eccellenza: il pianeta terra si risveglia con 12 grandi entità extraterrestri atterrate in varie parti del globo. La reazione delle autorità dei vari paesi è di schierare i propri eserciti e di prepararsi allo scontro. In questo Deserto dei Tartari planetario i tentativi di comprensione reciproca hanno poca considerazione, ma il risultato non è quello scontato ((à La guerra dei mondi) e gli invasori misteriosamente si ritirano.
Analisi analoghe possono essere ripetute per Prisoners e per gli ultimi due film, dove l'autore canadese non ha avuto paura di confrontarsi con due degli universi tematici più profondi ed amati della cultura popolare contemporanea, quello di Blade Runner e quello di Dune, rispettandone in pieno lo spirito, ma aggiungendo comunque un forte elemento personale.
Vorrei concludere analizzando brevemente due specifiche porzioni di film.
In Incendies (2010) il regista racconta un'odissea personale e familiare all’interno di uno dei conflitti più atroci ed ignorati della storia mondiale recente, la guerra civile libanese iniziata negli anni Settanta e proseguita per oltre quindici anni.
La protagonista, Nawal si trova su un autobus nel sud del paese in territorio musulmano. Il veicolo è fermato da un gruppo di miliziani cristiani che senza troppe spiegazioni cominciano a tempestarlo di colpi e si apprestano a bruciare tutto. Nawal è ancora viva, assieme ad un’altra donna con la figlia. Si salva mostrando un crocifisso e gridando la propria fede religiosa, tenta goffamente di strappare alla morte anche la bambina e sembra inizialmente riuscirci. Passano alcuni lunghissimi istanti e mentre la madre viene giustiziata fuori campo, la figlia disperata si divincola da Nawal per raggiungerla e fare la stessa fine. A mio giudizio si tratta di una delle sequenze più agghiaccianti della storia del cinema.
In Sicario (2015) una task force americana deve superare il confine col Messico tra El Paso e Ciudad Juárez, prelevare un testimone chiave e rientrare in territorio USA. Una aggressione è attesa, scontata, quasi certa ed in effetti avviene, proprio al secondo passaggio della frontiera come era stato previsto dagli stessi protagonisti. Ma lo scontro è breve e senza storia: i “buoni” prevalgono velocemente e senza perdite; sono meglio armati ed addestrati, mentre i “cattivi” sembrano impreparati e poco attrezzati. Il conflitto finale è prevedibile, ma i dieci minuti che lo precedono rappresentano probabilmente il migliore esempio del cinema di Villeneuve: montaggio, musica, sonoro, riprese aeree, tutto contribuisce ad un crescendo di tensione, attesa, aspettative.
Un tema centrale nel cinema di Denis Villeneuve è rappresentato da maternità, paternità e rapporti genitori-figli, ne do una trattazione schematica e didascalica con qualche breve considerazione film per film.
Un 32 août sur terre (1998): Simone, dopo essere sopravvissuta ad un terribile incidente stradale decide di cambiare completamente la propria vita a partire dal desiderio di avere un figlio e chiama il suo amico Philippe per concepirlo assieme.
Maelström (2000): inizia con una cruda scena di interruzione di gravidanza ed i sensi di colpa di questo gesto proseguiranno per tutto il film. La madre della protagonista è stata una donna famosa e ingombrante.
Polytechnique (2009): Verso la fine del breve film vediamo una giovane donna bionda che non ci sembra di avere ancora incontrato, fa un test di gravidanza e scopre di essere incinta; questo momento che dovrebbe essere felice invece la terrorizza e le fa ricordare in flashback la terribile esperienza che ha vissuto: si tratta di Valerie, la brunetta coi capelli corti che avevamo incontrato nei primi minuti del film e che avevamo lasciato nella classe dove è iniziato il massacro, assieme alle altre studentesse e scopriamo come si sia miracolosamente salvata.
Incendies (2010): Nawal Marwal, libanese che vive in Canada è appena morta; i suoi figli gemelli Jeanne e Simon scoprono dal notaio Lebel che il loro padre è ancora vivo e che hanno un fratello di cui ignoravano l’esistenza e devono rintracciare entrambi. In flashback vediamo la storia di Nawal durante la guerra civile libanese, alternata alle ricerche dei due figli. Nawal vede il padre del figlio che ha in grembo ucciso sbrigativamente, la gravidanza è portata a compimento ed il bambino mandato in un orfanotrofio. Dopo alcuni anni, Nawal decide di andare a cercarlo, tradisce il proprio gruppo religioso e per questo viene imprigionata per 15 anni; durante questo periodo viene torturata e violentata dallo spietato Abou Tareq. La donna rimane incinta e mette al mondo i due gemelli che sopravvivono grazie ad un’infermiera e le vengono restituiti al momento della liberazione. Dalle ricerche effettuate emerge una verità da tragedia greca: Abou Tareq è il figlio della donna e quindi per i due gemelli è sia padre che fratello. Per una crudele coincidenza anche lui si è ricostruito una vita a Montreal dove Nawal lo aveva riconosciuto. In un passaggio assolutamente marginale il notaio, che svolge un ruolo di padre supplente, racconta a Simon la storia di un uomo che aveva contemporaneamente 3 mogli e otto figli.
Prisoners (2013): le famiglie Dover e Birch pranzano assieme il giorno del Ringraziamento, le due figlie piccole Anna e Joy spariscono nel pomeriggio; inizia una angosciante e disperata ricerca: gran parte del film è incentrato sulle reazioni dei quattro genitori a questo drammatico evento, in particolare Keller Dover è un cowboy moderno abituato ad agire ed a farsi giustizia da solo, ma i suoi comportamenti saranno tutti sbagliati e finirà per pagarne le conseguenze. Nel film ci sono intricate storie di pedofili e di bambini strappati alle loro famiglie che si intersecano con la narrazione principale.
Enemy (2013): il protagonista Adam ha un rapporto molto freddo con la madre, il suo doppio aspetta un figlio dalla moglie, incinta al sesto mese, ma i ruoli potrebbero invertirsi anche se la perturbante inquadratura finale lascia aperta ogni tipo di interpretazione.
Sicario (2015): Il personaggio di Benicio del Toro ha avuto moglie e figlia uccise dal cartello di Medellin; si vendicherà uccidendo il boss Alarcon solo dopo averlo fatto assistere alla morte della moglie e dei due figlioletti. Il poliziotto messicano corrotto ha un figlio che vorrebbe giocare a calcio con lui; il film si chiude con il bambino accompagnato a giocare dalla sola madre, dopo la morte del padre.
Arrival (2016): accanto alla narrazione principale costituita dallo sbarco dei gusci extraterrestri è presente nel film una criptica trama secondaria che interessa i due protagonisti, Amy Adams e Jeremy Renner: dopo essersi conosciuti in quella circostanza, la coppia avrà una figlia, Hannah, che morirà a soli 12 anni per una grave malattia.
BladeRunner 2049 (2017): all'inizio il tema centrale è quello della "nascita" di un replicante e di quanto ciò sia inaccettabile per l'equilibrio politico e sociale. Per gran parte del film lo spettatore è indotto a pensare che l’agente K - Ryan Gosling sia il figlio di Deckard e Rachael ed anche l’incontro tra “padre” e “figlio” lascia supporre questa soluzione, ma la storia è molto più complicata.
Dune (2021): all’interno di una narrazione articolata e stratificata troviamo i rapporti tra il giovane Paul Atredis ed i propri genitori, più formale ed istituzionale quello col padre Leto Atredis e più dolce ed affettuoso quello con la madre Lady Jessica.
Dune
di Marco D'Ambrosio
<<Non devo avere paura. La paura uccide la mente>>
Sono queste le parole che le Bene Gesserit ripetono per calmarsi, per rimanere lucide e utilizzare i loro poteri. Queste stesse parole sono quelle che potrebbe aver pensato Denis Villeneuve prima di iniziare a girare Dune.
Dopo aver superato brillantemente la prova di Blade Runner 2049, il regista canadese si è cimentato in un’impresa, se possibile, ancora più ardua: riuscire a trasporre cinematograficamente l’opera di Frank Hebert dopo il fallimento di Lynch.
Con Dune – Parte I, il regista di Arrival getta le basi per dar vita ad un universo cinematografico per il grande pubblico, abituato a questo genere di operazioni - si pensi al Marvel Cinematographic Universe, o al più simile Star Wars - ma con un taglio più autoriale e adulto, tipico di Villeneuve.
Tuttavia, questo progetto è riuscito a metà: a una prima parte del film pressoché perfetta corrisponde una seconda frenetica, con troppi avvenimenti e pochi dettagli.
Lodevole la spiegazione dell’intreccio politico che porta la famiglia Atreides alla successione degli Harkonnen al governo del pianeta Arrakis e di tutte le possibili conseguenze che questa scelta dell’imperatore può comportare nell’equilibrio di potere su cui si regge l’ordine dell’Impero.
Geniali l’utilizzo dei colori per spiegare visivamente il funzionamento degli scudi, così come il cambiamento di intensità delle parole per rappresentare la Voce o l’impiego di un vocabolario gestuale tra Jessica e Paul, al posto di un semplice sguardo come nel libro.
La seconda parte della pellicola non funziona come la prima e, soprattutto, non sembra opera di Villeneuve. Il regista canadese ci ha abituati a film lenti, non per tutti, con riflessioni filosofiche (Arrival), etiche/morali (La donna che canta, Prisoners, Sicario). Al contrario, negli ultimi 90’ dell’opera gli eventi scorrono senza pause e approfondimenti.
In particolare, sorprende la decisione di anticipare e spiegare la scelta dell’Imperatore e il conseguente attacco degli Harkonnen, e di non costruire questa sezione sul tradimento (preceduto dai sospetti) che porta alla morte del Duca Leto e alla caduta degli Atreides. In questo modo si sacrificano la suspense e i colpi di scena tipici del regista: si pensi alla verità svelata alla fine de La donna che canta, o alla rivelazione di Louise in Arrival, fino ad arrivare alla scoperta dell’agente K in Blade Runner 2049. Pur di non tagliare alcuno snodo della trama originale, Villeneuve rinuncia a tutto questo, al punto che alcuni personaggi risultano appena abbozzati e le tensioni tra Lady Jessica e lo stratega Thufir Hawat, a cui nel libro è dato ampio spazio, sono inesistenti.
In conclusione, Dune – Parte I risulta un film incompleto, non solo perché non è risolutivo, ma soprattutto perché troppo imperfetto per gli standard a cui ci ha abituato il regista del decennio.