Il cinema di Nanni Moretti: le vostre analisi!
08/10/2021
Durante il workshop dedicato al cinema di Nanni Moretti, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi su un elemento emblematico del cinema dell'importante autore italiano: ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!

L'INCOMPRENSIONE NEL CINEMA DI NANNI MORETTI
di Deborah Gallo

L’incomprensione è l’aspetto emblematico che maggiormente mi ha colpito e che, a parer mio, ricorre in tutta la carriera cinematografica di Nanni Moretti. L’incomprensione che si rivela avere una triplice faccia: quella che si prova nei confronti degli altri, quella che gli altri provano nei nostri confronti e quella che si prova verso se stessi. L’ultima pare essere la più significativa, quella da cui poi dipendono le altre due. 

In “Ecce bombo”, ad esempio, l’incomprensione è un elemento fortemente presente e palpabile. Michele Apicella è un giovane che rappresenta a pieno il disagio giovanile, la disillusione, l’esigenza di esprimere i propri ideali politici. Apicella non si sente compreso dalla generazione precedente: quella dei suoi genitori; da essi stessi. I suoi ideali politici e sociali sono distanti dai modelli della classe politica dominante degli anni Settanta e Apicella, come Moretti stesso, ha un incessante bisogno di rivendicare esplicitamente la sua posizione. Il protagonista non comprende gli altri, e loro non comprendono lui. Questo divario generazionale causa in Michele -e probabilmente anche in Nanni Moretti- un profondo senso di disagio e di solitudine, sempre, peró, camuffato da una buona dose di ironia e di sarcasmo, in cui molti giovani, che hanno vissuto il boom economico degli anni Settanta, si riconoscono. 

Negli ultimi vent’anni della sua carriera, invece, Moretti svolge un lavoro ancora più profondo e articolato in cui riesce a concretizzare in maniera efficace l’incomprensione, ma questa volta quella che prova verso se stesso. In “Habemus Papam” e “Mia madre” egli sembra voler fare i conti con il proprio io. Moretti si spoglia della maschera goliardica di Apicella e, mettendosi a nudo, si domanda quanto siano importanti, giusti o sbagliati gli ideali che ha sostenuto con convizione durante la giovinezza. Nanni, attaverso il cinema, cerca di comprendere se stesso sempre più a fondo e con grande coraggio riesce a disgregare ogni sua convinzione. Moretti abita in prima persona la crisi esistenziale che porta sullo schermo, ma questa volta lo fa senza rivestire la figura di protagonista, lasciando il passo agli attori ed esprimendosi attraverso di loro. 

La produzione cinematografica di Nanni Moretti è un lungo viaggio all’interno del suo mondo personale, o meglio della sua visione personale del mondo, che cresce, si evolve e cambia insieme a lui. Moretti è un regista che dimostra grande umanità, in grado di sgretolare, film dopo film, il suo fermo atteggiamento morale, ogni sua convinzione politica e certezza spirituale. Egli impara a dubitare e ci dimostra quanto siano umani la fragilità e il fallimento. Ogni film è una comunione di emozioni che Moretti decide di condividere con noi che dall’altra parte dello schermo guardiamo esterrefatti perché, in fondo, ci riconosciamo in ogni personaggio, in ogni dubbio, in ogni disagio, in ogni solitudine, in ogni incertezza.

I CONTROCAMPI DI MORETTI
di Emma Diana D'Attanasio

Sin dal suo primo film Moretti fa subito parlare di sé: il suo alter-ego, Michele Apicella è diventato simbolo della generazione del boom economico, che per antonomasia ha subito un’esplosione di possibilità lavorative, che si faceva carico di lotte sociali, poi sfumate. Nei primi film racconta di una nicchia di persone che da questo boom avevano ricavato crisi esistenziali, e apatia, ne sono indicatrici tutte le scene tratte da Io sono un autarchico ed Ecce bombo in cui i personaggi non riescono mai a prendere una decisione sensata. Le scene sono immerse in questo lago di apatia in cui i personaggi stanno a galla mentre Michele Apicella sguazza, per citare la recensione del Corriere della Sera in cui etichetta tre piani come “un grido contro il torpore”, magari il cinema di Nanni Moretti non lo è sempre stato, ma Michele Apicella urlava e picchiava questo torpore, è sempre stato un cinema molto fisico, il suo: strattoni, urla, sport, schiaffi, è passato dal darli a riceverli a suon di: “te lo meriti”. Queste grida e nevrosi si consolidano in Bianca dove assumono un atteggiamento ancora più grottesco: l’intransigenza. Non ci si può lasciare, bisogna volersi bene, non si può litigare, non ci si può mentire. Non più indecisione e torpore ma giudizi taglienti. Troncati bruscamente da La messa è finita e Palombella rossa che rappresentano la crisi, una religiosa e l’altra politica. La crisi religiosa è una pausa dalla maschera di Michele Apicella, per isolarsi ed interrogarsi, “vengono da me ma non mi confessano i loro veri peccati” forse è anche Moretti che si fa carico delle turbe della sua generazione ma si interroga sulla serietà di affrontarle di quest’ultima. In Palombella rossa la crisi non è religiosa ma politica, ed è Moretti che torna con la sua maschera al centro di una piscina dove tutti lo guardano. È un comunista senza memoria, che tira schiaffi ma viene affogato, circondato da una squadra che non incute timore, anzi, provoca risate. Questo personaggio perde. Perde la memoria, e la partita ma entra in gioco la canzone, non italiana, e non usata per ridicolizzare o ironizzare sulla scena come nei precedenti film, ma per aprire un varco di speranza. Se nei precedenti film Moretti cantava da solo, adesso tutta la platea canta con lui, il suo allenatore sorride con lui, non è più Michele Apicella che cantava, da solo, una canzone al jukebox nel bar di Bianca, pallido, che tutti guardavano male. È il Michele Apicella incitato dalla folla, che tira il suo rigore in una sequenza pregna di tensione: durante un dibattito in tv inizia a cantare, da solo, guarda la macchina da presa della televisione, questa inizia a registrare, stacco, guarda nella macchina da presa nella piscina, risuona la stessa canzone, ma cantata da tutti. È come se i due Michele si guardassero, quello di nicchia e quello acclamato, e nel momento clou della sua carriera, della sua partita, è chiamato a tirare un rigore, e lo sbaglia. Da qui inizia il cinema dell’apologia del fallimento e delle fragilità, che punta a normalizzare la paura dell’uomo, che per una società allora così pudica nell’affrontare certi argomenti, era rivoluzionario eppure lo fa con una grande delicatezza. Questa delicatezza viene prolungata ed esplicata nei tre film successivi: Caro diario, che racconta, tra le altre cose, la frustrazione nel riuscire ad avere diagnosticata una malattia, con tutto ciò che comporta, Aprile che racconta la difficoltà nell’affrontare il tempo che passa, e La stanza del figlio, nato dalla paura di perdere quanto di più prezioso si ha, e del ricominciare a vivere dopo essere morti. Questa delicatezza continua anche nel caimano ma ne Il caimano c’è un grande ritorno: la maschera di Nanni Moretti, che non è più Michele Apicella, ma Silvio Berlusconi. In questo film Moretti è diviso in tre: il regista impegnato nel sociale (Jasmine Trinca), il padre e marito (Silvio Orlando), e il regista che, disilluso, vuole fare solo commedie e mette i bastoni tra le ruote alla nuova generazione di registi (se stesso). E Silvio Berlusconi è interpretato da vari interpreti, tra cui Nanni Moretti. In questo film la rivoluzione sta nel fatto che noi riconosciamo Nanni Moretti più nei panni di Silvio Berlusconi che nei panni di se stesso. Nanni Moretti che, con la stessa maglietta che indossava in aprile, dice di no al cinema che ha sempre fatto e si dedica alle commedie all’Italiana che nei primi anni della sua carriera quasi disprezzava tanto da discutere con il paladino di essa, Mario Monicelli, è molto meno Nanni Moretti del Nanni Moretti attore, che tutti conosciamo. È un segnale di quello che succederà negli anni a venire, farà sempre meno la parte di se stesso e si metterà molto di più a servizio della storia. Ciò non toglie che avere la sua faccia, con tutto ciò che si porta dietro, che fa un’invettiva alla sinistra italiana non può solo essere una scena in cui un attore interpreta una parte, significa qualcosa di molto potente, forse che la sinistra ha fallito, forse che è meglio interpretare una parte e non preoccuparsi di quello che si sta dicendo in macchina piuttosto che perseverare nel portare avanti le proprie idee, perché è più facile. Quella scena fa paura. Nanni Moretti non è più Michele Apicella che in mezzo alla platea sognante sbaglia un rigore dando una lezione di vita a tutti, è Silvio Berlusconi che si sottrae ai processi, che fa intrighi, ma alla fine di tutto se ne va nella sua macchina blindata e scortata, e vince, vince in modo spietato. La fine di Michele Apicella non è in Palombella rossa, sarebbe stato bello, ma troppo gentile; è ne Il Caimano, funerale delle buone intenzioni. Questo dimostra che, se da una parte questo regista si lecca le ferite esistenziali che la vita gli ha inflitto, e di conseguenza le lecca ad un’intera generazione, dall’altra la schiaffeggia in tutti i modi possibili, ma non con gli schiaffi e gli strattoni spudoratamente fisici dei primi film, ma in un modo più potente: mettendosi davanti agli spettatori e diventando tutto l’opposto di quello che ha sempre rappresentato, parlando ad un pubblico a cui non ha mai parlato. Ed ecco che forse Nanni Moretti si era fatto giudice molto prima di Tre piani, in cui spodesta i suoi personaggi dalle loro case e li costringe a scendere in strada, ma lui non c’è. Perché non è la sua, ora Nanni Moretti è morto nel momento stesso in cui si fa giudice, chiudendo un cerchio, ne apre un altro, perché ora lascia parlare gli altri.

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