Il cinema di Sergio Leone: i vostri elaborati!
09/10/2020
Durante il workshop live dedicato al cinema di Sergio Leone, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere un elaborato su un elemento emblematico del cinema del grande regista italiano.
Ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!

Lucia Cirillo
QUAL È IL VERO MOTORE DELLA RIVOLUZIONE?

 "Pensa al futuro che hai davanti"

"Io penso a quel treno che abbiamo dietro"

Se si potesse raccontare la rivoluzione, una qualunque, depurandola dai suoi fattori profondamente umani - come il senso di oppressione, l’esigenza collettiva di un più giusto, l’anelito ad un riscatto individuale che passi per il sovvertimento di una realtà che si fatica ad accettare…- in Giù la testa è il treno il vero motore per avviare il processo di cambiamento. Fin dai primissimi minuti se ne intuisce il ruolo determinante, offrendo un sipario rimasto nella storia del cinema per il confronto tra i membri di una classe media adagiata sulla propria condizione privilegiata e giudicante e il bandito che di lì a poco li punirà in modo esemplare. 

Sarà ancora un treno il luogo in cui si partirà per fare la rivoluzione vera e propria. Stavolta in viaggio c’è un’umanità che non si contrappone. Ci sono uomini mossi da interessi e ideali comuni, che condividono uno spazio e un percorso, guidati da un leader che li ha convinti che quella fosse la vera strada da praticare. 
Su quello stesso treno ci sono anche i due banditi uniti da una assurda alleanza, che pensano di combattere una battaglia diversa, quella che prevede soltanto il proprio riscatto. Il loro percorso individuale parte da storie profondamente diverse, eppure il sodalizio che si stabilisce tra i due pare dettato da una necessità ineluttabile che travalica il loro stesso volere. Due uomini così diversi destinati a comprendersi bene come nessuno.
Come si fa la rivoluzione? Partendo da se stessi? Avendo un nemico comune, come per esempio una borghesia rapace arroccata su privilegi atavici? Affidandosi ad un leader carismatico che crea un sentimento collettivo nuovo per il quale valga la pena lottare? Oppure la rivoluzione è un processo spontaneo, avulso dalla volontà sia individuale e collettiva, dettato dalla necessità della Storia e dal suo naturale decorso? 
In Giù la testa ci viene detto dall’inizio che “La rivoluzione è un atto di violenza”. Ciascuno la eserciterà sulla base della propria epica individuale o collettiva. Tutti spinti da un treno con una destinazione conosciuta solo dalla Storia

Sara Colombini 
LA DRAMMATURGIA DELLA SOGGETTIVA E DEL SONORO NEL FINALE DI C’ERA UNA VOLTA IL WEST 

Dopo un insieme di inquadrature e movimenti di macchina che riprendono Armonica e Frank nell’iconografia del duello, alla colonna sonora di Morricone succede il rumore raschiante del vento. 
L’epica musicale è sostituita da un ritorno al reale, scandito dai passi del primo verso il secondo. 
I due si guardano e, sull’avvicinamento al primissimo piano di Armonica, si incastona il suono dello strumento con cui il personaggio ha dato forma al mistero della propria identità durante l’intero film. 
È su queste note che il ricordo si presentifica in soggettiva: un giovane Frank, arrivando dal tempo lontano di un totale, appare nel presente di un primo piano; poi, estrae un’armonica dal taschino, la osserva e, con un sorriso beffardo, la gira verso il proprio interlocutore. 
Gli occhi di Armonica nel presente riempiono l’intero schermo: tutto quello che segue – che risolverà l’enigmaticità del personaggio e del leitmotiv che lo accompagna – abita nel suo sguardo.
“Suona qualcosa a tuo fratello”, gli dice Frank: uno zoom incornicia il suo volto e, nel controcampo, la sua mano infila con forza lo strumento nella bocca di un ragazzo che, mentre la cinepresa sale allontanandosi con un dolly, si scopre sorreggere sulle spalle il fratello che ha un cappio attorno al collo. In questa scenografia della morte, tra i piani che si susseguono emerge il particolare degli occhi, rigati da una lacrima, del giovane obbligato a suonare: il suono gli fa perdere l’equilibrio, le gambe cedono e il suo corpo cade a terra. Una polvere di sabbia inonda lo schermo e il rintocco funereo di due campane presagisce, insieme alla morte del fratello impiccato, la fine del flashback. 
In un improvviso ritorno al presente, i due impugnano la pistola e Frank, colpito, cade a terra lentamente. Poi, chiede: “Chi sei?”. Armonica, inquadrato dal basso del suo punto di vista, si strappa lo strumento dal collo e lo gira verso il proprio interlocutore. La musica dell’armonica – che solo ora si eleva pienamente a colonna sonora soggettiva e si rivela memento di vendetta – ritorna e, in una riproposizione di inquadrature in cui le parti sono invertite, è la mano di Armonica a infilare lo strumento tra i denti di Frank. Anche la sua soggettiva, ora, ricorda la caduta del ragazzo nel passato; poi, mentre il suo corpo cede e si immobilizza nella morte del presente, le note dell’armonica si interrompono: lo strumento, che ha assolto a tutte le proprie funzioni strumentali, narrative e simboliche, può cadere e giacere nel silenzio.

“Io ho finito qui”, dice Armonica agli altri personaggi prima di andarsene. 

L’ultimo primo piano umano inquadrato da Leone, su cui si imprime il rumore del fischio del treno, è il suo. Poi, rimane solo il futuro, rappresentato dal cammino di Jill McBain, dalla locomotiva e dal fumo del vapore. In un mondo proiettato in avanti, Armonica, che rappresenta lo sguardo nostalgico verso un passato da (ri)vendicare, scompare nel nulla.

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