Il cinema italiano contemporaneo: le vostre analisi!
09/06/2021
Durante il workshop dedicato al cinema italiano contemporaneo, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi su un elemento emblematico della ricca filmografia di casa nostra: ecco il lavoro che ha meritato la pubblicazione!
Valentina Angius
Nessuno si salva da solo
La ricerca della verità e del punto di vista migliore da acquisire per raccontarla, di cui il cinema italiano contemporaneo tanto si è occupato, non può prescindere da un’osservazione attenta dell’uomo e delle sue molteplici sfaccettature. Ed è così che buona parte del cinema italiano contemporaneo diventa un cinema sull’umano, sull’individualità e, spesso, sulla solitudine.
Negli ultimi anni gli autori italiani hanno trattato realtà molto diverse e disegnato personaggi da estrazioni sociali opposte, dalle periferie de La terra dell’abbastanza agli attici romani de La Grande Bellezza.
Gli esempi di cinema delle periferie sono molteplici, forse perché è da queste realtà che emergono più facilmente le personalità di chi le abita: non ci sono sovrastrutture, non ci sono sogni, c’è semplicemente un uomo che fa del suo meglio con i propri mezzi, senza cercare di evadere dal suo mondo, a meno che non sia la vita a porgli davanti nuove opportunità. Emblematici sono gli esempi di Manolo e Mirko ne La Terra dell’abbastanza, due ragazzi che stravolgono la loro vita grazie a un incidente stradale, Luciano in Reality che partecipa su insistenza della figlia al provino per il Grande Fratello, Martin Eden e l’incontro fortuito con il fratello di Elena Orsini… Il cinema delle periferie ha raccontato storie tragiche, storie di uomini che se non avessero cominciato a sognare forse si sarebbero salvati, forse non sarebbero rimasti soli. E’ interessante osservare come questi personaggi che iniziano il loro viaggio in compagnia (di amici, fratelli o semplicemente dei vicini del quartiere) al termine della pellicola siano rimasti soli: Luciano travolto dalla pazzia, Martin Eden dalla superbia, Mirko stava andando da solo dalla polizia perché Manolo si era già ucciso, ma come loro ci sono anche Marcello in Dogman e Antonio Barracano ne Il sindaco del rione Sanità (quest’ultimo non muore da solo, ma è da solo che deve portare il fardello, un sacrificio messo in scena da Martone come se fosse un’ultima cena biblica).
È più difficile invece trovare film che raccontino storie dell’alta società, perché è più difficile grattare la superficie e trovare l’umanità, e a volte si rischia di dare per scontato che non ce ne sia. Nonostante l’apparenza, La Grande Bellezza è il film che più di tutti è arrivato in fondo: è vero, si tratta di un film sul rapporto tra sacro e profano, ma è soprattutto un film sull’uomo. C’è Stefania, donna che anche agli amici cerca di nascondere le sue fragilità, mentendo a se stessa; ci sono Polina e il suo compagno, che disarmano con la loro semplicità; ma soprattutto c’è Jep Gambardella. La vita di Jep è una messa in scena, è un “trucco”, e noi spettatori potremmo esserne ingannati se non fosse per una scena: Jep piange al funerale di Andrea. Sa che non si deve fare, sa che è contro le regole che ha scritto lui stesso, ma in quel momento, in quel solo momento, Jep è un uomo ed è solo, solo come era il ragazzo morto, e forse gli voleva così bene proprio perché ne condivideva lo stato d’animo.
Sorrentino è maestro nel raccontare l’umanità al di là delle apparenze: oltre a Jep c’è stato il recente Lenny Belardo di The Young Pope, ma soprattutto Andreotti ne Il Divo, una delle figure storiche italiane più inafferrabili che oltre ad essere un politico è stato anche un uomo, un uomo che ascolta I migliori anni della nostra vita tenendo la mano della moglie.
Tra storie di uomini che non hanno mai sognato e uomini che invece vivono il sogno c’è un’umanità che abita nel limbo, ci sono persone che sanno cosa c’è dall’altra parte e vorrebbero raggiungerlo, e proprio per questo sono infelici. Ci sono almeno due film molto recenti che hanno raccontato questa terra di mezzo: Favolacce e I Predatori. In Favolacce ci viene presentato Bruno, un uomo insoddisfatto e terrorizzato dall’idea di essere umiliato e di sentirsi inferiore che ha finito col trattenere tutte le sue emozioni, e anche dopo aver scoperto la morte dei figli cerca di reprimere e fingere che non sia accaduto. C’è Vilma, che sogna una vita diversa cantando “Oh Sara, che cammini sotto il sole hai deciso di partire per cercare un’altra vita”; un’atmosfera molto simile la ritroviamo ne I Predatori mentre ascoltiamo anche noi “Aeroplano che te ne vai lontano da qui chissà cosa vedrai”. Sono personaggi che, anche attraverso la musica, urlano la loro necessità di trovare una via di fuga. I Predatori è un film corale ma tra tutti i personaggi emerge Claudio, che forse non è un vero fascista, forse è solo un altro modo di mascherarsi per sentirsi parte di qualcosa di più grande, forse sotto sotto è solo un uomo capace di disarmante tenerezza, come nell’abbraccio con la madre in ospedale e nel saluto con la moglie in prigione.
È vero, il cinema italiano contemporaneo ci ha regalato molte storie drammatiche, molte solitudini a prescindere dalla provenienza sociale, ma ci ha anche dato speranza: Geremia vive. Pur con mille difetti, Amelio è un padre che ha saputo stare accanto al figlio. Ed è così che i fratelli d’Innocenzo ci hanno trasmesso (forse inconsapevolmente) la lezione più importante: nessuno si salva da solo.
Valentina Angius
Nessuno si salva da solo
La ricerca della verità e del punto di vista migliore da acquisire per raccontarla, di cui il cinema italiano contemporaneo tanto si è occupato, non può prescindere da un’osservazione attenta dell’uomo e delle sue molteplici sfaccettature. Ed è così che buona parte del cinema italiano contemporaneo diventa un cinema sull’umano, sull’individualità e, spesso, sulla solitudine.
Negli ultimi anni gli autori italiani hanno trattato realtà molto diverse e disegnato personaggi da estrazioni sociali opposte, dalle periferie de La terra dell’abbastanza agli attici romani de La Grande Bellezza.
Gli esempi di cinema delle periferie sono molteplici, forse perché è da queste realtà che emergono più facilmente le personalità di chi le abita: non ci sono sovrastrutture, non ci sono sogni, c’è semplicemente un uomo che fa del suo meglio con i propri mezzi, senza cercare di evadere dal suo mondo, a meno che non sia la vita a porgli davanti nuove opportunità. Emblematici sono gli esempi di Manolo e Mirko ne La Terra dell’abbastanza, due ragazzi che stravolgono la loro vita grazie a un incidente stradale, Luciano in Reality che partecipa su insistenza della figlia al provino per il Grande Fratello, Martin Eden e l’incontro fortuito con il fratello di Elena Orsini… Il cinema delle periferie ha raccontato storie tragiche, storie di uomini che se non avessero cominciato a sognare forse si sarebbero salvati, forse non sarebbero rimasti soli. E’ interessante osservare come questi personaggi che iniziano il loro viaggio in compagnia (di amici, fratelli o semplicemente dei vicini del quartiere) al termine della pellicola siano rimasti soli: Luciano travolto dalla pazzia, Martin Eden dalla superbia, Mirko stava andando da solo dalla polizia perché Manolo si era già ucciso, ma come loro ci sono anche Marcello in Dogman e Antonio Barracano ne Il sindaco del rione Sanità (quest’ultimo non muore da solo, ma è da solo che deve portare il fardello, un sacrificio messo in scena da Martone come se fosse un’ultima cena biblica).
È più difficile invece trovare film che raccontino storie dell’alta società, perché è più difficile grattare la superficie e trovare l’umanità, e a volte si rischia di dare per scontato che non ce ne sia. Nonostante l’apparenza, La Grande Bellezza è il film che più di tutti è arrivato in fondo: è vero, si tratta di un film sul rapporto tra sacro e profano, ma è soprattutto un film sull’uomo. C’è Stefania, donna che anche agli amici cerca di nascondere le sue fragilità, mentendo a se stessa; ci sono Polina e il suo compagno, che disarmano con la loro semplicità; ma soprattutto c’è Jep Gambardella. La vita di Jep è una messa in scena, è un “trucco”, e noi spettatori potremmo esserne ingannati se non fosse per una scena: Jep piange al funerale di Andrea. Sa che non si deve fare, sa che è contro le regole che ha scritto lui stesso, ma in quel momento, in quel solo momento, Jep è un uomo ed è solo, solo come era il ragazzo morto, e forse gli voleva così bene proprio perché ne condivideva lo stato d’animo.
Sorrentino è maestro nel raccontare l’umanità al di là delle apparenze: oltre a Jep c’è stato il recente Lenny Belardo di The Young Pope, ma soprattutto Andreotti ne Il Divo, una delle figure storiche italiane più inafferrabili che oltre ad essere un politico è stato anche un uomo, un uomo che ascolta I migliori anni della nostra vita tenendo la mano della moglie.
Tra storie di uomini che non hanno mai sognato e uomini che invece vivono il sogno c’è un’umanità che abita nel limbo, ci sono persone che sanno cosa c’è dall’altra parte e vorrebbero raggiungerlo, e proprio per questo sono infelici. Ci sono almeno due film molto recenti che hanno raccontato questa terra di mezzo: Favolacce e I Predatori. In Favolacce ci viene presentato Bruno, un uomo insoddisfatto e terrorizzato dall’idea di essere umiliato e di sentirsi inferiore che ha finito col trattenere tutte le sue emozioni, e anche dopo aver scoperto la morte dei figli cerca di reprimere e fingere che non sia accaduto. C’è Vilma, che sogna una vita diversa cantando “Oh Sara, che cammini sotto il sole hai deciso di partire per cercare un’altra vita”; un’atmosfera molto simile la ritroviamo ne I Predatori mentre ascoltiamo anche noi “Aeroplano che te ne vai lontano da qui chissà cosa vedrai”. Sono personaggi che, anche attraverso la musica, urlano la loro necessità di trovare una via di fuga. I Predatori è un film corale ma tra tutti i personaggi emerge Claudio, che forse non è un vero fascista, forse è solo un altro modo di mascherarsi per sentirsi parte di qualcosa di più grande, forse sotto sotto è solo un uomo capace di disarmante tenerezza, come nell’abbraccio con la madre in ospedale e nel saluto con la moglie in prigione.
È vero, il cinema italiano contemporaneo ci ha regalato molte storie drammatiche, molte solitudini a prescindere dalla provenienza sociale, ma ci ha anche dato speranza: Geremia vive. Pur con mille difetti, Amelio è un padre che ha saputo stare accanto al figlio. Ed è così che i fratelli d’Innocenzo ci hanno trasmesso (forse inconsapevolmente) la lezione più importante: nessuno si salva da solo.