Il disprezzo: analisi del film
15/12/2022
Riceviamo e con piacere pubblichiamo questo bellissimo contributo di Giulia Pugliese dedicato a Il disprezzo e realizzato al termine dell'analisi che abbiamo svolto sulla pellicola.


Nel 1963 Jean Luc Godard ha 33 anni, è un regista prolifico e controverso, in soli 3 anni di carriera ha girato 4 film. Nel suo quinto film si confronta con il romanzo di Moravia “Il disprezzo” definendolo un libro da ferroviere. A Godard, quel libro da ferroviere interessava per poter mettere in scena la sua idea di cinema con un passato glorioso e un futuro incerto, come già teorizzato dai fratelli Lumiere dicevano “che il cinema era un’invenzione senza futuro”. Il romanzo è profondamente pessimistico sui rapporti e la loro fragilità, tuttavia viene esaltata la potenza della natura e dell’arte, nel film questo aspetto viene enfatizzato.

Il caso unico de “Il disprezzo” che è un cortocircuito interno ed esterno: un film metacinematografico, dove l’unico che si salva è il regista; che esterno alle dinamiche intime dei protagonisti, rappresenta l’amore per il cinema e l’arte ellenica/classica, che non vuole mettere in scena un Ulisse moderno e nevrotico, ma che vuole rispettare i canoni classici di Omero. Il personaggio ha il volto del grande regista tedesco Fritz Lang “perché per girare l’Odissea ci vuole un regista tedesco”, un regista che ha passato tutta la storia del cinema e tutti i generi, l’incarnazione del cinema.

Camille, la moglie, in vasca da bagno legge al marito scrittore un libro scritto da Fritz Lang, un cortocircuito che vi sarà per tutto il film. In questa continua comunicazione tra artisti e arti, dove c’è un continuo rimbalzarsi di visioni. La volontà del film è mostrare diversi tipi di modi di vivere l’arte, come viene considerata e trattata. C’è chi la rispetta, chi non le da peso, chi si sente un’artista e non lo è, chi crede di sapere cos’è l’arte.

“Il disprezzo” è l’unico film, dove viene messo in scena quello che avviene davvero sul set, in maniera geniale Godard, riesce a riportare sullo schermo il rapporto che sta vivendo lì nell’immediato con Carlo Ponti,  il produttore del film, in chiave farsesca, tuttavia il personaggio del produttore appare realistico, come veritiera è l’idea che un certo tipo di industria cinematografica stia distruggendo il cinema, cosa che avviene proprio con il montaggio del film. Il film è un continuo rimbalzare da dentro a fuori, come se la realtà interagisse con la finzione. Il focus è il rispetto dell’arte e della bellezza, bellezza che può essere una scultura, la natura o un corpo di donna, come si vede nel film questa bellezza può essere lordata o rispettata. Per esempio i nudi di Brigitte Bardo nel film sono molto poetici, ma fini a se stessi, come se il regista ci volesse comunicare che è stato costretto dal produttore a farli. Per capire “il disprezzo” infatti bisogna andare oltre le immagini ed interpretarle più in profondità, non è solo un film meta-cinematografico, ma meta-linguistico e meta-visivo, dove un corpo, una statua, non rappresenta solo se stessa, ma un pensiero, un modo di vedere e una visione artistica.

Nel film, il rapporto tra i due amanti si guasta: iniziato con una richiesta di conferma e di attenzioni da parte di lei, finito coi due che si separano e lei che disprezza lui, tanto che alla fine sceglierà un altro, che però in teoria gli aveva scelto lui. Camille anche nella sua presa di posizione, sembra semplicemente fare quello che ci si aspettava da lei, cioè andare con il ricco produttore, la sua resistenza iniziale poi porta a una resa quasi immediata. Come se in fondo, ci fosse un naturale ordine delle cose
I personaggi non sembrano avere una volontà reale, ma sembrano seguire un destino già deciso da loro.
Il protagonista Paul è un uomo che non ha capito chi vuole essere: prima decide di scrivere per il cinema per soldi per accontentare i desideri materiali della moglie, affascinato dalla possibilità di entrare in quel mondo e avere facili agi, “venderà” sua moglie al produttore del film, in maniera meschina. In seguito, incolpando la moglie dell’avvicinamento al produttore, liberandosi di lei decide di scrivere per il teatro, in quanto incapace di portare a compimento l’opera, alla fine ritrovandosi solo. Paul rappresenta l’uomo moderno pieno di possibilità, ma incapace di prendere una decisione, sempre in bilico tra le varie scelte della vita, pronto a tradire tutto per guadagnare successo e fama, incapace di prendersi una responsabilità o di ammettere la sua incapacità. Come Ulisse vaga da un’isola all’altra nel tentativo di arrivare ad una casa di cui non riesce ad immaginare aspetto ed abitanti, solo nell’immenso mare blu e proprio alla fine rimarrà da solo, neanche in questo caso troverà la soddisfazione. Paul è un eterno insoddisfatto perché non sa quello che vuole e usa l’arte per il proprio compiacimento.

Godard passa al bianco e nero all’uso dei colori sgargianti, colori primari e della bandiera francese, con la volontà di rendere l’opera ultra pop infatti sembra riecheggiare le stampe di Andy Wahrol e una certa estetica tipica degli anni ‘60. Un finta volontà di far apparire il film sbarazzino, una discrepanza tra forma e contenuti.  

Alla fine tutti i corpi estranei vengono allontanati e rimane solo il regista, sulla diva e sul produttore si scaglierà una vendetta divina. Il regista può finalmente completare la sua opera di bellezza, senza che nessuno lo distragga dal suo compito. In qualche modo, è quello che dopo diversi anni è successo alla pellicola, l'aberrante pellicola italiana tagliata viene messa da parte lasciando spazio alla pellicola originale creata dal regista, in maniera che l’opera si riscatti e possa essere vista in tutta la sua folgorante bellezza.

Giulia Pugliese

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