Il 27 giugno del 1941 nasceva a Varsavia uno degli autori cinematografici più stimati e influenti del ventesimo secolo: Krzysztof Kieślowski. Regista che, nell’arco della sua carriera, si è fatto portavoce di pellicole intellettuali e dalla grande complessità tematica, capaci riproporre sul grande schermo sentimenti inesprimibili. Vogliamo quindi andare a omaggiare un grande artista del ‘900 con un approfondimento su una delle sue opere più importanti: Tre colori – Film blu, film che gli valse la vittoria del Leone d’oro alla mostra del Cinema di Venezia nel 1993.
Con questa pellicola Kieślowski dà il via alla cosiddetta trilogia dei colori, trittico di film dedicato ai colori della bandiera francese e al famoso motto rivoluzionario: Liberté, Égualité, Fraternité.
La musica rappresenta un aspetto centrale del film, non solo come elemento narrativo (il defunto compagno di Julie è, infatti, un compositore) ma anche come scelta formale declinata a plasmare l’estetica dell’opera. Il maestro di Varsavia si colloca esattamente a metà, in un sottile confine e terra di mezzo tra musica diegetica ed extradiegetica. Gli echi della sinfonia incompiuta del marito di Julie, progetto al quale stava lavorando prima della sua scomparsa, perseguitano come uno spettro la donna. In questo senso è chiarificatrice il momento in cui Julie viene destata nella scena della poltrona: la donna viene prima investita da una spettrale luce blu, per poi essere scossa prepotentemente dalla musica del marito; la macchina da presa si allontana in un primo momento, per poi riavvicinarsi subito dopo al volto della protagonista, il cui sguardo (ora in camera, ora a filo macchina) ci trasmette la presa di coscienza di Julie.

La musica si colloca così tra il diegetico e l’extradiegetico: all’interno del film non vi è alcun elemento individuabile come mezzo di propagazione della musica, né tantomeno questa viene utilizzata inserendosi su un piano esterno a quello dei personaggi. La sinfonia del marito è frutto della mente di Julie che la immagina e la percepisce. Siamo in presenza di un elemento utilizzato per accompagnare la nostra protagonista nel processo di elaborazione del lutto.
Ritroviamo una conferma di questo accavallarsi tra diegetico ed extradiegetico nel momento in cui Julie decide di distruggere gli spartiti: la musica che sentiamo (e che sente la stessa Julie) va incontro a una distorsione, riproducendo sul piano sonoro ciò che è messo in scena sul piano visivo.
Julie realizzerà che non può fuggire dal suo passato tentando di squartare ogni legame con esso. L’unico modo per andare avanti con la propria esistenza è quello di accettare il dolore, accoglierlo ed elaborarlo (nel suo caso) tramite un processo di creazione (e non, quindi, di distruzione). Sarà infatti il lavoro di Julie per portare a termine la sinfonia incompiuta del marito ad accompagnarla in questo percorso di elaborazione del lutto. La musica si fa portavoce dello stato d’animo di una donna inizialmente a pezzi (come i cristalli blu) per la perdita subita ma che, grazie al processo creativo, riesce, nota dopo nota, a ritrovare sé stessa.
Simone Manciulli