Il velo dipinto: Tra il c’è e il non c’è
30/03/2020
Infermiera, ospedale di Cremona, 9 marzo 2020

Infermiera, Ospedale di Cremona, 9 marzo 2020

 

Edward Norton nel ruolo del Dott. Walter Fane

Il velo dipinto del regista John Curran (disponibile su Amazon Prime Video) è uno di quei film che andrebbero rivisti in questi giorni. L’immagine toccante dell’infermiera stremata da ore e ore di ininterrotto lavoro in ospedale rievoca la scena del film in cui il dottor Fane (Edward Norton) è sfinito dopo lunghe ore passate tra gli ammalati dopo lo scoppio di un’epidemia.

Ma partiamo dalla trama.

A cosa fa riferimento il velo dipinto del titolo? È un verso tratto da una poesia di Percy Bysshe Shelley: “Non sollevare quel velo dipinto…” che è la Vita nella poesia di Shelley. O meglio: chi ha provato a sollevarlo cercava cose da amare. Kitty (Naomi Watts) e Walter (Edward Norton) non si amano reciprocamente. Walter ama l’immagine di Kitty, e quest’ultima cerca di sfuggire all’immagine che la madre ha di lei sposando  un uomo che non ama, pur di scappare dalla sua famiglia. I due si trasferiscono dunque a Shanghai dove lui lavora come batteriologo.
Che ne sarà di questo “non – amore”? Kitty tradisce Walter affascinata da Charlie Townsend (Liev Schreiber), che la illude di essere innamorato di lei.
Walter, tradito, squarcia letteralmente il velo (la Vita?), portando con sé Kitty in un villaggio flagellato da un’epidemia di colera, dove si è proposto come medico volontario. 
«Kitty tuo marito non ti guarda mai direttamente, guarda sempre altrove…» osserva Waddington (Toby Jones), un funzionario inglese, a un certo punto del film. È dunque evidente la dinamica che intercorre tra i due coniugi: non si vedono. 
Ma piano piano l’uno scopre l’altra, non direttamente ma attraverso gli altri. Sempre più l’indifferenza si trasforma in una presenza non opacizzata ma che si lascia traboccare dall’altro, ad esempio nello sforzo condiviso di aiutare il villaggio dilaniato dal colera. Ma lui si ammala e non c’è più nulla da fare. Kitty aveva appena fatto in tempo a dirgli di essere incinta, ma di non avere la certezza che il figlio fosse suo. Walter non esita a dirle che ciò non ha nessuna importanza. Il film si chiude così: con la Vita, con una nuova vita. Ormai lei lo ha perso per sempre, eppure nulla è andato perduto. I fiori  - la vita? - anche se durano poco sono bellissimi comunque.  E quel figlio porterà il suo nome, Walter.

Perderemmo il conto se ci mettessimo a elencare le volte in cui nel film appaiono una tenda di perle, un velo, un separé, una porta, la nebbia, qualunque cosa separi i due protagonisti; oppure le volte in cui l’uno guarda l’altro senza che l’altro se ne accorga.

Il velo che si interpone serve a diluire i contorni, a dissipare le forme, a sfumare quanto di netto e definito possa avere la presenza, lasciando che essa si sprigioni. Come in quella bellissima massima che suggerisce il letterato Qian Wenshi: 有無之間 (yÇ’u wú zhÄ« jiÄn): tra l’esserci e il non esserci, il pittore cinese “dipinge le forme che entrano nella penombra, di sera o a causa della nebbia, e disfa le limitazioni per mezzo delle quali le forme si impongono, facendo perdere loro consistenza”.

Ce lo ricorda François Jullien in quel piccolo saggio, Accanto a lei, che vorrei brevemente accostare al film.
La tesi di fondo del libro è che nella presenza si rischia di far naufragare i rapporti, renderli opachi. Lo sforzo è di conservare una distanza, tenere in tensione le soggettività in modo che non si disfino. Questa distanza è il velo che permette, paradossalmente, di poter guardarsi. Faccia a faccia. Avere riguardo per l’Altro. Mantenere l’Altro nel suo essere capace d’altro, invece di alienarlo da se stesso. Preservare quell’intimo, in cui si continua a guardare l’Altro, mantenendolo Altro. Il riguardo sta in un rapporto etimologico di prossimità con sguardo e con l’aver cura di, aver riguardo di qualcuno. Il riguardo mantiene lo scarto che consente l’attivazione di un tra fra di noi. 

Così nella foto scattata dal medico all’infermiera, colta, a sua insaputa, in questo momento di sfinimento: tra il c’è e il non c’è. Questa foto, nella distanza che ci separa, rende l’infermiera presente a noi, ci rende presente lo sforzo, anche al costo della propria vita, di mantenere in vita la vita – di un Altro.


Massimo Guastella

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