Incontro ravvicinato con Tim Burton insignito del premio alla carriera alla Festa del Cinema di Roma
24/10/2021
La Festa del Cinema si chiude nel segno di Tim Burton. Sebbene all'appello manchi ancora la giornata conclusiva, il pubblico e la stampa sono accorsi in massa all'Auditorium Parco della Musica per rendere omaggio al regista di Edward mani di forbice. Il suo è stato l'ultimo degli incontri ravvicinati con attori e registi istituiti dal direttore artistico Antonio Monda. Per l'occasione, tre artisti italiani nonché suoi collaboratori hanno consegnato personalmente al cineasta il Lifetime Achievement Award: i premi Oscar Gabriella Pescucci, Francesca Lo Schiavo e Dante Ferretti.
Accompagnato dai figli Neill e Billy, avuti con Helena Bonham Carter, e dal cagnolino Levi, Burton si è lasciato abbracciare dal calore dei suoi fan.
Come da consuetudine, la "chiacchierata" si è svolta all'insegna di alcune clip tratte da film del regista ma anche di altri maestri del passato che ne hanno influenzato lo stile e la visione artistica.
Dovendo citare un punto di riferimento all'interno del cinema italiano del passato, Burton ha indicato il maestro dell'horror degli anni '60 e '70, Mario Bava. In particolare, ha confessato che il suo film del 1960, La maschera del demonio, ha esercitato una notevole influenza riguardo al suo modo di fare cinema, in particolare sulla messa in scena tipicamente gotica che ha accompagnato molti dei suoi lungometraggi. Non è un caso che, nelle clip mostrate e tratte da La maschera del demonio e da Diabolik (1968), si possano ritrovare elementi noti ai fan del regista statunitense: i pipistrelli del primo e l'ambientazione del secondo richiamano in maniera inconfondibile la batcaverna e l'atmosfera presenti nei Batman del regista statunitense.
"Negli anni '80 andai a un festival horror a Los Angeles. Ricordo chiaramente La maschera del demonio di Bava. Era come un sogno. Sapeva catturare l'elemento onirico ed elevarlo sopra ad ogni cosa, rappresentandolo alla pari di incubo. È il film che ricordo meglio".

Alla domanda di Monda riguardo al primo film in assoluto che Burton ricorda di aver visto, l'autore non ha avuto dubbi, citando Jason and the Argonauts (Gli Argonauti), pellicola mitologica del 1963 prodotta dalla Columbia Pictures: "Un film meraviglioso. Lo vidi in una sala in California che era semplicemente straordinaria, perché sembrava di stare dentro una conchiglia. Film e sala indimenticabili, oltre a quelle memorabili scene in cui gli Argonauti lottano contro gli scheletri. Era ovvio che già mi piacessero simili elementi".
Non è un segreto che la straordinaria carriera del regista sia iniziata nel segno dell'animazione, genere in cui si è cimentato numerose volte. In particolare, la sua entrata nel mondo del cinema avvenne grazie a una collaborazione da animatore con la Disney, negli anni '80. In quel periodo, Burton produsse alcuni dei suoi lavori più fantasiosi, tra i quali i cortometraggi Vincent (1982) e Frankenweenie (1984), dando il via alla costruzione del suo visionario universo gotico. Ma di quel particolare decennio e del modo di fare animazione allora il regista non serba ricordi positivi.
"Erano giorni bui. C'erano tantissime persone dotate di grande talento, ma si facevano film che richiedevano 10 anni di lavorazione. Eppure le figure geniali erano già presenti, come John Lasseter e gli altri che avrebbero contribuito al successo della Pixar. Però, non c'erano opportunità. Per quanto riguarda il mio caso, ho avuto un'enorme fortuna. Ero pessimo nell'animazione: molti sottolinearono che la volpe che avevo disegnato (per Red e Toby - Nemiciamici, ndr) aveva l'aspetto di essere appena stata travolta da un'auto. Fortunatamente sono passato ad altre cose".
Riguardo al suo rapporto con i collaboratori abituali, ha voluto omaggiare i grandi artisti con cui ha avuto la fortuna di girare: "Sono stato veramente fortunato a lavorare con artisti straordinari. Per me la scenografia, la musica, i costumi, fanno tutti parte del film, alla pari dei personaggi. Ho lavorato con i grandi, come Gabriella Pescucci, Francesca Lo Schiavo e Dante Ferretti (i tre, presenti fra il pubblico, si sono alzati per ricevere un lungo applauso, ndr). È un privilegio lavorare con persone così, che danno un tale contributo al film. Ovviamente dipende sempre dal tipo di progetto. I miei disegni, specialmente all'inizio, sono molto primitivi. Sono gli artisti ad essere fonte di ispirazione".
Dopo aver mostrato una clip tratta da Edward mani di forbice (1990), Monda ha cercato di indagare sulla provenienza di un simile personaggio e di un'idea così "strana".
"Molto semplice. Questa storia e questo personaggio rappresentano la mia infanzia. Ho sempre amato le favole e le fiabe, perché permettono di esplorare veri sentimenti, aumentandone però l'intensità. Io mi sentivo così da ragazzo".
Riguardo però al rapporto con la scrittura dei suoi personaggi e delle sue storie, Burton ha ridimensionato il suo ruolo: "Non mi considero uno sceneggiatore. Però parto dalle idee e cerco di stabilire dei rapporti di collaborazione con chi è abile a scrivere. Il personaggio di Edward nasce dalla mia esperienza d'infanzia. Il caso di Nightmare Before Christmas (1993) è emblematico: non era roba mia, ma mi ci ritrovavo in pieno. È un po' come quando lavoravo alla Disney, si lanciavano spunti per poi lavorarci insieme".

La clip successiva proveniva da Mars Attacks! (1996), di cui ha svelato un curioso aneddoto: "Mettiamo da parte i grandi romanzi e le grandi opere letterarie. L'ispirazione per questo film proveniva dalla carta che avvolgeva le gomme da masticare. Probabilmente ho avuto un'infanzia contorta (ride, ndr)".
Monda ha fatto notare che, nonostante il suo stile unico e riconoscibile, Burton ha lavorato spesso con i grandi studios, trovandosi quindi spesso a contatto con limiti imposti.
"Ho sempre lavorato con gli studios, in realtà. Si tratta di una posizione insolita perché, nonostante tutto, sono sempre riuscito a fare ciò che volevo. Ancora non capisco come, visto che lì si tratta soprattutto di soldi. Giuro che ancora oggi mi interrogo su come sia stato possibile, è molto strano. Per fortuna non capivano mai veramente cosa stessi facendo. Per quanto riguardo la lavorazione di Batman insieme alla Warner Bros., ad esempio, c'è stata molta confusione. Alcuni dicevano che il mio Batman fosse molto più dark dei precedenti, mentre altri sostenevano l'esatto opposto. Perfino McDonald's era scontento, perché nell'Happy meal si trovava questo pupazzo del joker dalla cui bocca fuoriusciva una sostanza nera".
Il budget, però, è un pensiero fisso nella mente di un cineasta all'opera con un film.
"Il cinema è un'opera collettiva, riguarda la partecipazione di moltissime figure diverse. Questo sforzo collettivo è fonte di gioia e non è ovviamente una scienza esatta. Quando però si parla di budget, insorgono i problemi: se è limitato dici che non è mai abbastanza e, ugualmente, se è elevato dici comunque che non è mai abbastanza! È come prevedere il meteo. Lavorando a lungo con gli studios, non mi sono però mai sentito limitato. Ho sempre lavorato come volevo".
Una scena di Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007) ha fornito a Burton l'occasione di parlare della collaborazione con uno dei più significativi drammaturghi statunitensi di fine Novecento, Stephen Sondheim.
"Anche per questo film si tratta di un personaggio parzialmente autobiografico. Cerco sempre di trovare qualcosa con cui riuscire a rapportarmi e Stephen me la offrì. Fu molto difficile mostrargli il film, che vide solo a lavorazione finita. Fortunatamente, gli piacque. Si tratta di una combinazione tra horror e musical. Lui era preoccupato proprio perché nessuno degli attori aveva una formazione musicale, ma rimase comunque soddisfatto. Dal canto mio, sapevo di essere in buone mani, visti gli attori con cui ho girato. Abbiamo cambiato alcune cose, ma è andata bene. È stato estremamente divertente, di più rispetto a tanti altri film".
La penultima clip riguardava Big Eyes (2014), film che più di ogni altro è servito all'autore per riflettere sul senso di arte.
"Mi ricordo che i quadri di Margaret Keane (interpretata nel film da Amy Adams) si trovavano in ogni casa. Io li ho sempre considerati un po' sconcertanti e mi chiedevo come potessero piacere tanto. Questo ci porta ad indagare sul senso dell'arte. Veniamo tutti toccati in modo diverso da quello che vediamo. Per me, i suoi quadri erano inquietanti, mentre altre persone li trovavano così carini da appenderli nelle camere da letto dei propri bambini".
L'incontro si è concluso con la proiezione di una delle scene più iconiche e spassose di Ed Wood (1994), vera e propria lettera d'amore del regista nei confronti della settima arte.
"Lui (Edward D. Wood, ndr) aveva una passione incredibile, come si evince dai suoi diari e dalle sue lettere. Quello che ha fatto era unicamente figlio del suo amore per il cinema. Questo ci riporta al discorso su che cos'è arte e cosa invece è me**a".
Nicolò Palmieri
Accompagnato dai figli Neill e Billy, avuti con Helena Bonham Carter, e dal cagnolino Levi, Burton si è lasciato abbracciare dal calore dei suoi fan.
Come da consuetudine, la "chiacchierata" si è svolta all'insegna di alcune clip tratte da film del regista ma anche di altri maestri del passato che ne hanno influenzato lo stile e la visione artistica.
Dovendo citare un punto di riferimento all'interno del cinema italiano del passato, Burton ha indicato il maestro dell'horror degli anni '60 e '70, Mario Bava. In particolare, ha confessato che il suo film del 1960, La maschera del demonio, ha esercitato una notevole influenza riguardo al suo modo di fare cinema, in particolare sulla messa in scena tipicamente gotica che ha accompagnato molti dei suoi lungometraggi. Non è un caso che, nelle clip mostrate e tratte da La maschera del demonio e da Diabolik (1968), si possano ritrovare elementi noti ai fan del regista statunitense: i pipistrelli del primo e l'ambientazione del secondo richiamano in maniera inconfondibile la batcaverna e l'atmosfera presenti nei Batman del regista statunitense.
"Negli anni '80 andai a un festival horror a Los Angeles. Ricordo chiaramente La maschera del demonio di Bava. Era come un sogno. Sapeva catturare l'elemento onirico ed elevarlo sopra ad ogni cosa, rappresentandolo alla pari di incubo. È il film che ricordo meglio".

Alla domanda di Monda riguardo al primo film in assoluto che Burton ricorda di aver visto, l'autore non ha avuto dubbi, citando Jason and the Argonauts (Gli Argonauti), pellicola mitologica del 1963 prodotta dalla Columbia Pictures: "Un film meraviglioso. Lo vidi in una sala in California che era semplicemente straordinaria, perché sembrava di stare dentro una conchiglia. Film e sala indimenticabili, oltre a quelle memorabili scene in cui gli Argonauti lottano contro gli scheletri. Era ovvio che già mi piacessero simili elementi".
Non è un segreto che la straordinaria carriera del regista sia iniziata nel segno dell'animazione, genere in cui si è cimentato numerose volte. In particolare, la sua entrata nel mondo del cinema avvenne grazie a una collaborazione da animatore con la Disney, negli anni '80. In quel periodo, Burton produsse alcuni dei suoi lavori più fantasiosi, tra i quali i cortometraggi Vincent (1982) e Frankenweenie (1984), dando il via alla costruzione del suo visionario universo gotico. Ma di quel particolare decennio e del modo di fare animazione allora il regista non serba ricordi positivi.
"Erano giorni bui. C'erano tantissime persone dotate di grande talento, ma si facevano film che richiedevano 10 anni di lavorazione. Eppure le figure geniali erano già presenti, come John Lasseter e gli altri che avrebbero contribuito al successo della Pixar. Però, non c'erano opportunità. Per quanto riguarda il mio caso, ho avuto un'enorme fortuna. Ero pessimo nell'animazione: molti sottolinearono che la volpe che avevo disegnato (per Red e Toby - Nemiciamici, ndr) aveva l'aspetto di essere appena stata travolta da un'auto. Fortunatamente sono passato ad altre cose".
Riguardo al suo rapporto con i collaboratori abituali, ha voluto omaggiare i grandi artisti con cui ha avuto la fortuna di girare: "Sono stato veramente fortunato a lavorare con artisti straordinari. Per me la scenografia, la musica, i costumi, fanno tutti parte del film, alla pari dei personaggi. Ho lavorato con i grandi, come Gabriella Pescucci, Francesca Lo Schiavo e Dante Ferretti (i tre, presenti fra il pubblico, si sono alzati per ricevere un lungo applauso, ndr). È un privilegio lavorare con persone così, che danno un tale contributo al film. Ovviamente dipende sempre dal tipo di progetto. I miei disegni, specialmente all'inizio, sono molto primitivi. Sono gli artisti ad essere fonte di ispirazione".
Dopo aver mostrato una clip tratta da Edward mani di forbice (1990), Monda ha cercato di indagare sulla provenienza di un simile personaggio e di un'idea così "strana".
"Molto semplice. Questa storia e questo personaggio rappresentano la mia infanzia. Ho sempre amato le favole e le fiabe, perché permettono di esplorare veri sentimenti, aumentandone però l'intensità. Io mi sentivo così da ragazzo".
Riguardo però al rapporto con la scrittura dei suoi personaggi e delle sue storie, Burton ha ridimensionato il suo ruolo: "Non mi considero uno sceneggiatore. Però parto dalle idee e cerco di stabilire dei rapporti di collaborazione con chi è abile a scrivere. Il personaggio di Edward nasce dalla mia esperienza d'infanzia. Il caso di Nightmare Before Christmas (1993) è emblematico: non era roba mia, ma mi ci ritrovavo in pieno. È un po' come quando lavoravo alla Disney, si lanciavano spunti per poi lavorarci insieme".

La clip successiva proveniva da Mars Attacks! (1996), di cui ha svelato un curioso aneddoto: "Mettiamo da parte i grandi romanzi e le grandi opere letterarie. L'ispirazione per questo film proveniva dalla carta che avvolgeva le gomme da masticare. Probabilmente ho avuto un'infanzia contorta (ride, ndr)".
Monda ha fatto notare che, nonostante il suo stile unico e riconoscibile, Burton ha lavorato spesso con i grandi studios, trovandosi quindi spesso a contatto con limiti imposti.
"Ho sempre lavorato con gli studios, in realtà. Si tratta di una posizione insolita perché, nonostante tutto, sono sempre riuscito a fare ciò che volevo. Ancora non capisco come, visto che lì si tratta soprattutto di soldi. Giuro che ancora oggi mi interrogo su come sia stato possibile, è molto strano. Per fortuna non capivano mai veramente cosa stessi facendo. Per quanto riguardo la lavorazione di Batman insieme alla Warner Bros., ad esempio, c'è stata molta confusione. Alcuni dicevano che il mio Batman fosse molto più dark dei precedenti, mentre altri sostenevano l'esatto opposto. Perfino McDonald's era scontento, perché nell'Happy meal si trovava questo pupazzo del joker dalla cui bocca fuoriusciva una sostanza nera".
Il budget, però, è un pensiero fisso nella mente di un cineasta all'opera con un film.
"Il cinema è un'opera collettiva, riguarda la partecipazione di moltissime figure diverse. Questo sforzo collettivo è fonte di gioia e non è ovviamente una scienza esatta. Quando però si parla di budget, insorgono i problemi: se è limitato dici che non è mai abbastanza e, ugualmente, se è elevato dici comunque che non è mai abbastanza! È come prevedere il meteo. Lavorando a lungo con gli studios, non mi sono però mai sentito limitato. Ho sempre lavorato come volevo".
Una scena di Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007) ha fornito a Burton l'occasione di parlare della collaborazione con uno dei più significativi drammaturghi statunitensi di fine Novecento, Stephen Sondheim.
"Anche per questo film si tratta di un personaggio parzialmente autobiografico. Cerco sempre di trovare qualcosa con cui riuscire a rapportarmi e Stephen me la offrì. Fu molto difficile mostrargli il film, che vide solo a lavorazione finita. Fortunatamente, gli piacque. Si tratta di una combinazione tra horror e musical. Lui era preoccupato proprio perché nessuno degli attori aveva una formazione musicale, ma rimase comunque soddisfatto. Dal canto mio, sapevo di essere in buone mani, visti gli attori con cui ho girato. Abbiamo cambiato alcune cose, ma è andata bene. È stato estremamente divertente, di più rispetto a tanti altri film".
La penultima clip riguardava Big Eyes (2014), film che più di ogni altro è servito all'autore per riflettere sul senso di arte.
"Mi ricordo che i quadri di Margaret Keane (interpretata nel film da Amy Adams) si trovavano in ogni casa. Io li ho sempre considerati un po' sconcertanti e mi chiedevo come potessero piacere tanto. Questo ci porta ad indagare sul senso dell'arte. Veniamo tutti toccati in modo diverso da quello che vediamo. Per me, i suoi quadri erano inquietanti, mentre altre persone li trovavano così carini da appenderli nelle camere da letto dei propri bambini".
L'incontro si è concluso con la proiezione di una delle scene più iconiche e spassose di Ed Wood (1994), vera e propria lettera d'amore del regista nei confronti della settima arte.
"Lui (Edward D. Wood, ndr) aveva una passione incredibile, come si evince dai suoi diari e dalle sue lettere. Quello che ha fatto era unicamente figlio del suo amore per il cinema. Questo ci riporta al discorso su che cos'è arte e cosa invece è me**a".
Nicolò Palmieri