John le Carré: viaggio nei film tratti dalle pagine del maestro della spy story
14/12/2020
Lo scrittore britannico John le Carré è morto sabato sera a 89 anni. Le Carré – pseudonimo di David J. M. Cornwell – era noto principalmente per i suoi romanzi di spionaggio ambientati durante la Guerra Fredda.

Per omaggiarlo, ripercorriamo insieme 10 adattamenti significativi dalle sue opere, spy story di grande eleganza e tenitura formale dalle quali il cinemas si è lasciato sedurre in più di un'occasione.

LA SPIA CHE VENNE DAL FREDDO (The Spy Who Came In From the Cold, Martin Ritt, 1965)

Alec Leamas (Richard Burton), agente segreto britannico di stanza a Berlino, è richiamato in patria per un delicato incarico sotto copertura: deve fingersi fuori dal giro per entrare in contatto con un agente delle Germania Est (Oskar Werner) e convincerlo del tradimento del suo superiore, lo spietato capo del controspionaggio Mundt (Peter Van Eyck). Scoprirà di essere una pedina ignara delle regole del gioco. Siamo nel pieno degli anni Sessanta, la Guerra fredda è una realtà che influenza la vita di tutti e James Bond è il più grande successo cinematografico del momento. In questo contesto arriva La spia che venne dal freddo, romanzo di John Le Carré (da lì in poi consacrato maestro del genere) che ispira il film di Martin Ritt, ed è un piccolo shock culturale. La spia di Richard Burton è un personaggio disilluso e amareggiato, un pedone in una scacchiera i cui pezzi non rivelano mai la loro natura, che percorre una Londra proletaria e una Berlino deserta e raffreddata dall'ombra lunga del Muro. C'è un senso di noia desolata che aleggia su tutto il film, un thriller spionistico senza inseguimenti e senza donne fatali, dove si beve whisky (comprato mezza bottiglia per volta) e non Martini, si guidano Trabant e non Aston Martin, in cui lo spettatore non è spinto all'empatia se non per il fatto di trovarsi nella stessa situazione dell'eroe (ignorano entrambi i più ampi risvolti della vicenda in cui sono immersi). 



CHIAMATA PER IL MORTO (The Deadly Affair, Sidney Lumet, 1966)

Il poliziotto Charles Dobbs (James Mason) è disposto a licenziarsi pur di continuare le indagini sulla morte di un agente del controspionaggio, velocemente archiviata come suicidio. Non solo i suoi sospetti sembrano fondati, ma ben presto emergeranno verità sconvolgenti. La trasposizione del romanzo di John le Carré (di cui la versione italiana ricalca il titolo originale) è arricchita da Lumet da un ben più stretto intreccio tra indagini e vita privata del protagonista, secondo uno schema caro al regista da sempre interessato ad analizzare il tracollo anche personale degli uomini che decidono di mettersi contro l'ordine costituito. A segnare questo stacco, si segnala anche la scelta di cambiare il nome al protagonista (che nel libro è lo stesso del famoso La spia che venne dal freddo, ossia George Smiley al centro di molti romanzi di LeCarré) e la volontà di conferire alla storia una maggiore crudezza. 



LA TAMBURINA (The Little Drummer Girl, George Roy Hill, 1984) 

Un'attrice americana (Diane Keaton), che simpatizza con la causa palestinese, viene obbligata dal Mossad, i servizi israeliani, a collaborare alla cattura di un terrorista, responsabile di molti omicidi e attacchi dinamitardi in Europa. La donna si fingerà la compagna del fratello e, tra l'Austria, la Grecia e il Libano, riuscirà suo malgrado a compiere la missione. Spy story anni Ottanta adattata da un romanzo, fresco di stampa, del maestro indiscusso del genere thriller-spionistico, John le Carré. Una protagonista controversa, il gioco di ombre e di identità sovrapposte tipico del genere, il terrorismo internazionale che, in tempi ben precedenti all'era Al-Qaeda, almeno nella rappresentazione hollywoodiana dominava indiscusso il contesto palestinese con il tutt'altro che virginale Mossad a far la parte del leone: sono le tematiche di una pellicola che mette troppa carne al fuoco e fatica a rendere equilibrato il tutto. Per forza di cose semplificatorio, il film non riesce a coinvolgere né sul piano della resa spettacolare (ben poco carico di azione ad alta tensione), né su quello della costruzione dei caratteri, con la Keaton che passa senza soluzione di continuità dalle tirate da pasionaria alle lenzuola di spie e bombaroli, dai palchi ai campi d'addestramento libanesi.



LA CASA RUSSIA (The Russia House, Fred Schepisi, 1990) 

La russa Katya (Michelle Pfeiffer) cerca di fare arrivare a un editore inglese (Sean Connery) il manoscritto di un suo amico. Intercettato dai servizi segreti inglesi e americani, il testo è la prova dell'inoffensivo armamento nucleare sovietico e l'editore, che non conosce la donna, viene obbligato a tornare in Russia per contattare l'autore. Tratto dall'omonimo romanzo di John le Carré, La casa Russia è un film dalla curatissima confezione e dagli interpreti di alto livello, con una trama dotata di motivi d'interesse, ma che non riesce a coinvolgere fino in fondo. Gioco di spie costruito intorno a intellettuali umanisti e incruenti mentre il gigante sovietico è al tramonto, complice la glasnost' di Michail GorbaÄëv, la pellicola racconta una storia che propugna la rivincita dell'umano, del privato e del sentimento sulla ragion di stato e sul “grande gioco” delle potenze; ma, nonostante le notevoli premesse, il ritmo è altalenante e la retorica fa (troppo) spesso capolino. 



IL SARTO DI PANAMA (The Tailor of Panama, John Boorman, 2001)

Agente segreto inglese spedito per punizione a Panama, Andrew Osnard (Pierce Brosnan) stringe amicizia con Harry Pendel (Geoffrey Rush), sarto molto inserito nei salotti di potere locali ma con il vizio di raccontare bugie. Andrew cercherà di ottenere informazioni sul canale di Panama affidandosi a Harry, ma la naturale propensione a mentire di quest'ultimo trascinerà i due in diversi guai e avventure. Tratto dall'omonimo romanzo di John le Carré (per l'occasione anche produttore esecutivo) e girato da un John Boorman a fine carriera, è un godibile benché claudicante spy movie totalmente costruito intorno al carisma dei due protagonisti, ai loro dialoghi gigioni e brillanti e all'atmosfera elegante e paciosa di Panama, sede di cospirazioni di serie B e grandi seduzioni. La confezione è di qualità (fotografia di Philippe Rousselot, musiche di Shaun Davey) ma la sceneggiatura è stiracchiata e nella seconda parte il ritmo crolla verticalmente, con la storia che si annoda in modo confuso e (purtroppo) mai affascinante. Film lezioso, senza baricentro e, in fin dei conti, superfluo e senza anima.



THE CONSTANT GARDENER - LA COSPIRAZIONE (The Constant Gardener, Fernando Meirelles, 2005)

Tessa Quayle (Rachel Weisz), fervida attivista politica, viene brutalmente assassinata in un'area remota del Kenya del Nord. Il delitto è archiviato in fretta come passionale: suo marito Justin (Ralph Fiennes), mite diplomatico britannico a Nairobi, inizia un'indagine personale che lo porterà a scoprire i crimini delle multinazionali farmaceutiche. Dal romanzo Il giardiniere tenace di John le Carré, sceneggiato da Jeffrey Caine; i fatti raccontati sono liberamente tratti da un noto contenzioso legale che ha visto la multinazionale Pfizer coinvolta in una grave vicenda riferita alla sperimentazione illegale di un proprio farmaco. Il film è così ibrido nel tentativo di mescolare i generi da diventare indeciso: storia d'amore retrospettiva e intrigo internazionale; film di denuncia civile sul neocolonialismo sfruttatore del Terzo Mondo e spy moviesull'orlo della fantapolitica, a tratti caratterizzato da una dimensione documentaristica. Più che contaminazione, è accumulazione. L'aspetto thriller è sminuito dalla necessità intrinseca di rivelare una verità più grande di quella individuale, ma la visione d'insieme è pretenziosa e lo spaccato di vita nel continente africano risulta fin troppo desolante. 



LA TALPA (Tinker Tailor Soldier Spy, Tomas Alfredson, 2011)

In piena Guerra fredda, l'agente segreto prepensionato George Smiley (Gary Oldman) viene richiamato per scovare una spia sovietica presente nei servizi segreti britannici. L'uomo sarà dolorosamente costretto a scavare nel passato (e nel presente) dei suoi ex colleghi. Tratto dall'omonimo romanzo di John le Carré, il film di Tomas Alfredson è uno spy-movie non convenzionale con protagonista un anti-eroe silenzioso e un po' attempato, che usa solo l'intelletto e l'astuzia. Poche sparatorie e nessun inseguimento, semplicemente un'ottima storia in cui le pedine (disposte alla perfezione sulla scacchiera) devono passare inosservate. Le lunghe attese e i dialoghi frammentati non sono una semplice trovata autoriale, ma rappresentano realisticamente un mondo sconosciuto ai più. Una lieve prolissità e alcuni passaggi troppo macchinosi intaccano (solo) in minima parte un prodotto dal sapore vintage, volutamente antispettacolare, confezionato con cura e dotato di una grande eleganza estetica e di uno spessore narrativo sorprendente. Gary Oldman è straordinario nei panni di un agente segreto osservatore, tradito dalla moglie ed espulso dall'intelligence (gli occhiali da vista spessi gli donano ancor più fascino).



LA SPIA - A MOST WANTED MAN (A Most Wanted Man, Anton Corbijn, 2014)

Günther Bachmann (Philip Seymour Hoffman) è un agente segreto che opera ad Amburgo e si dedica alla lotta al terrorismo. Si ritrova a indagare su un accademico di origini musulmane che pare sostenere delle attività terroristiche attraverso donazioni di denaro. Dopo La talpa (2011) di Tomas Alfredson, un altro romanzo di John Le Carré (Yssa il buono, in questo caso) diventa materia per un adattamento cinematografico che si inserisce nel panorama sempre più asfittico delle spy story contemporanee. Se il regista svedese aveva rispettato millimetricamente l'atmosfera del testo di partenza immergendolo in un'ambientazione impeccabile e rarefatta, il fotografo e regista di videoclip Anton Corbijn, celebre per le sue collaborazioni con band quali U2 e Depeche Mode, fa leva invece su uno stile molto più pigro e telefonato, che sulla carta dovrebbe esaltare l'intreccio narrativo a svantaggio dell'estetica, ma che di fatto non riesce a regalare neanche un singolo slancio di interesse, né sotto il profilo drammatico, né figurativo. Esattamente come Gary Oldman, il compianto Philip Seymour Hoffman, alla sua ultima interpretazione da protagonista (arrivata postuma sugli schermi), si prodiga in quella sottorecitazione magistrale e tesissima di cui era assoluto maestro, portando sugli occhi gravati di tristezza i tormenti del suo personaggio. Il film che gli sta intorno, però, non funziona, accumulando snodi paludati, passaggi narrativi meccanici, soluzioni registiche d'ordinanza e un cast di contorno ai minimi storici.



IL TRADITORE TIPO (Our Kind of Traitor, Susanna White, 2016)

Durante una vacanza a Marrakech, gli inglesi Perry (Ewan McGregor) e Gail (Naomie Harris) fanno amicizia con un appariscente e carismatico uomo d'affari russo di nome Dima (Stellan Skarsgård), che si rivela essere un boss del riciclaggio di denaro appartenente alla mafia russa. La coppia accetta di aiutare Dima a fornire informazioni confidenziali ai servizi segreti inglesi, ritrovandosi così coinvolta nel mondo dello spionaggio politico internazionale. Tratto da un noto romanzo di John Le Carré, Il traditore tipo è un classico spy-movie, con protagonista un uomo comune – in questo caso un professore universitario – che si ritrova invischiato in un complotto più grande di lui. Sarà la sua umanità (oppure “l’onore”, come ripete Dima) a portarlo ad aiutare un uomo e una famiglia che non conosce. Brioso e dotato di una serie di spunti interessanti nelle prime battute, il film segue traiettorie eccessivamente consolidate nella seconda parte, vittima di qualche passaggio scontato e di alcuni cali di ritmo di troppo. Susanna White, al suo secondo lungometraggio dopo Tata Matilda e il grande botto (2010), dimostra però di avere mano discreta, sa come gestire i tempi di montaggio e dirige senza sbavature un gruppo di attori affiatato: avrebbe potuto rischiare un po’ di più, ma della sua messinscena ci si può accontentare. 

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