«La mia ambizione principale è essere io stesso spettatore del mio lavoro»: la nostra intervista ad Albert Serra
16/09/2016

Ieri sera il Milano Film Festival ha finalmente dato il benvenuto ad Albert Serra: abbiamo incontrato il vincitore del Pardo d’oro 2013 (con Historia de la meva mort), poco prima della proiezione di La mort de Louis XIV, il suo ultimo lungometraggio, allo spazio Oberdan. Così nel luogo simbolo della cinefilia milanese, il regista catalano si racconta in un’intervista speciale concessa a LongTake.

Per iniziare, partirei da una domanda generica. Com’è nata la tua passione per il cinema?

In realtà non so esattamente quando iniziò il mio interesse per il cinema. Mi ricordo che sono stato sempre molto fanatico della TV, fin da quando ero piccolo. Per me guardare i film era un modo per distrarmi dalla vita di tutti i giorni. Persi interesse quando avevo circa sedici anni, per dedicarmi alla letteratura e allo studio dell’arte. La conclusione dei miei studi combaciò con l’inizio dell’era del digitale. Così iniziai a chiedermi se potessi fare qualcosa di più interessante rispetto alla normalità. Decisi di intraprendere questa strada, perché secondo me era la via più facile e divertente per esprimermi. Quindi vorrei precisare che non c’è nessuna storia romantica dietro la mia decisione di fare cinema. In realtà è stata una scelta oggettiva e pragmatica.

Quindi secondo te oggi è più facile fare film rispetto a prima?

Sì, esatto. Con l’era digitale è tutto più facile e soprattutto più economico. Un tempo si doveva comprare più materiale e quindi servivano molti più soldi. Invece grazie all’alta tecnologia si aprono molte più porte perché, obiettivamente, è possibile fare praticamente tutto. Quindi credo che non sarei mai diventato un filmmaker se non ci fosse stato il digitale. Perché, per me, senza la tecnologia non avrebbe senso fare cinema, sarebbe proprio noioso e non mi divertirei.

Leggendo la tua biografia è saltato fuori che prima di dedicarti al cinema ti sei cimentato nello studio di materie umanistiche (storia dell’arte, letteratura ecc.). Quanto ha influenzato quindi la tua formazione classica per l’ideazione e realizzazione dei tuoi film?

Hanno influenzato in una maniera diversa rispetto a come possa pensare la gente. Non è solo perché i miei film sono tratti da personaggi o ambientazioni storiche allora significa che il mio lavoro trae spunto dalla letteratura. La vera ragione su come i miei studi hanno influenzato il mio cinema sono: la forma, rigore e soprattutto l’attitudine. Infatti non riesco ad immaginare i miei autori preferiti del XX secolo scrivere libri per fare soldi a differenza di come accade oggi. Non esiste nessuno che scriveva per scopo puramente commerciale. Loro scrivevano solo per scrivere. Anche io quindi non voglio fare film solo per soldi. Per quanto riguarda la storia dell’arte il contributo più grosso è la parte legata soprattutto alla critica dell’arte. Questo mi ha aiutato particolarmente nella fase del montaggio dei film, che infatti ora curo personalmente. Infatti nella fase di post-produzione ho un approccio molto formale. Tuttavia mentre giro i miei film non cerco e non seguo delle regole fisse. La mia ambizione principale è essere io stesso spettatore del mio lavoro.

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