La New Hollywood: il nuovo cinema americano - Le vostre analisi!
07/10/2022
Al termine del webinar dedicato all'analisi dell’evoluzione del cinema americano, abbiamo chiesto ai partecipanti di scrivere un'analisi relativa a un aspetto di questo fondamentale periodo della storia del cinema. Ecco le più interessanti:
Quando la “New Hollywood” parla europeo per comprendere meglio se stessa
di Lucia Cirillo
Schlesinger, regista inglese di nascita ma “hollywoodiano” per fama, è stato uno dei portavoce più rappresentativi ed incisivi della New Hollywood più politicamente schierata, che grazie a film come “Un uomo da marciapiede” (1969) e “Il maratoneta” (1976) ha raccontato con lucidità quasi feroce tutto il disincanto di un’epoca, le sue contraddizioni, l’impossibilità del riscatto per chi è tagliato fuori dalle “infinite possibilità” del sogno americano. I suoi temi più cari e che saranno il cuore della poetica della “New Hollywood”, legati a forme non meglio precisazioni del disagio individuale in una società cristallizzata su valori arcaici a cui obbedire per acritica adesione allo “status quo”, sono parte anche del racconto di “Darling”, film inglese del 1965, che già pare innestarsi pienamente, nello stile e nei contenuti, a questo grande movimento di rinnovamento del cinema americano, con il valore aggiunto di un esplicito omaggio a quel cinema europeo considerato fin dal principio come imprescindibile riferimento culturale a cui ispirarsi: il film è infatti girato non solo a Londra ma anche a Parigi (e come non pensare immediatamente alla Nouvelle Vague) e, in Italia, tra Roma e la Campania (a loro volta tipici scenari del cinema neorealista) e non è raro, soprattutto per un occhio particolarmente attento, cogliere citazioni alla “nuova” scuola europea persino nel modo di girare, in talune espressioni degli attori, nella loro gestualità, nella descrizione di una città osservandola durante un tragitto in automobile. Persino in certi silenzi. Tutto pare “respirare” cinema europeo, eppure, se si prescinde dalla location, tutto fa comunque pensare ad un tipico film della New Hollywood quasi come una sorta di sublime osmosi in cui gli stili non si confondono ma si combinano secondo un incastro perfetto che tiene per tutta la narrazione.
Diane (Julie Christie) appare nella prima scena su un manifesto, tipico stratagemma per sottolineare il potere distorsivo dell’immagine sullo sguardo e sarà lei stessa la voce narrante della storia, non a caso raccontata ad un giornalista (inteso come nuovo soggetto creatore di verità). Sulla gigantografia Diane è rappresentata come una donna che sorride, nella realtà è invece profondamente confusa e in crisi, annoiata dal suo mondo borghese in cui ha smesso di riconoscersi e da un matrimonio contratto senza alcuna consapevolezza. La costruzione narrativa è la stessa di “Un uomo da marciapiede”: una sorta di viaggio dell’eroe al contrario, durante il quale le belle speranze mosse dal coraggio di voler assolutamente cambiare la propria vita si scontreranno con una realtà che si rivela progressivamente una trappola sempre più difficile da schivare. Non servirà a niente lottare, insistere, provarci ancora. L’affrancamento dalla condizione di partenza resterà solo una chimera per chi parte svantaggiato rispetto alle sue ambizioni.
Diane passerà dalle foto come modella al fare cinema di serie b, sarà teneramente amata da un giornalista intellettuale che capirà prima di lei ciò a cui è predestinata, si lascerà tentare dalle promesse effimere di un pubblicitario, attraverserà il dolore dell’aborto, sarà corteggiata da un principe inglese che le lascerà, oltre alla ricchezza e al titolo, anche una famiglia da gestire assieme a molta solitudine e tristezza (strana coincidenza che la nuova principessa inglese si chiami proprio Diane!). Un film tutto europeo nella confezione e al contempo tutto “New Hollywood” nelle aspirazioni, nei contenuti e, naturalmente, in quel suo appassionato omaggio al miglior cinema europeo
Saper ridere
di Adele D'Ippolito
Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore (Calvino)
Non si può dire che un certo modo di ridere sia iniziato con la New Hollywood, ad inizio secolo infatti i fratelli Marx già usavano fare battute veloci e giochi di parole, freddure e sarcasmo. Schernivano il tutto grazie ad un umorismo anarchico e surreale.
L'idea che il ridere sia 'poco serio', cioè che l'uomo che ride o che fa ridere sia meno da prendere sul serio è mondiale.
Mai Greta Garbo o le prime dive, o divi, sono diventati tali facendo film comici. Vale lo stesso per personaggi diventati famosi successivamente, penso a Lucille Ball che da attrice comica non avrebbe mai potuto avere il 'peso' (considerazione) di una Bergman sua coetanea. Un limite del pensiero umano insuperabile. Sceneggiature comiche difficilmente danno 'lustro' ad attori. Impensabili un Marlon Brando o un Dustin Hoffman che raccontano barzellette… c'è una sbagliata associazione fra il concetto di cultura e quello di serietà.
I fratelli Marx, geniali uomini ottocenteschi, sono stati maggiormente capiti nella loro genialità ed avanguardia grazie al loro essere ripresi da vari comici nel tempo. Groucho Marx ed i suoi fratelli venivano dal vaudeville, dagli spettacoli teatrali comici, come anche Stan Laurel e Chaplin o Keaton, avevano perciò presenza scenica. A differenza da questi primi altri non basava o il loro far ridere solo sulla fisicità ma anche sui suoni (suonavano strumenti musicali) e sul linguaggio. Erano artisti a 360°. Sapevano improvvisare senza copione. I testi dei fratelli Marx erano per lo più scritti da Groucho, che è stato capace di adattarsi anche al nuovo mezzo, la televisione, che aveva mandato in crisi il cinema. Dalle sue lettere si capisce che ammirava ed era in contatto con il poeta T. S. Eliot, che a sua volta lo ammirava. Questo a dimostrazione del fatto che la raffinatezza della sua capacità di far ridere, molto cerebrale, non è stato frutto esclusivo della sua genialità e della sua intelligenza. Ha collaborato anche col regista Otto Preminger.
Un seme dei cambiamenti successivi del cinema può derivare, perciò da molto prima degli anni 60/70.
Woody Allen è un regista che spazia fra i generi ed è considerato un umorista intellettuale.
Un altro umorista che è riuscito a trovare un suo spazio nel panorama cinematografico nel periodo di cambiamento della New Hollywood) è Mel Brooks che nel 1974 ha creato un film , Frankenstein junior, capace non solo di far ridere ancora oggi ma anche di lasciare una sua impronta, si cita il 'suonalo ancora Sam' di Casablanca e anche e il 'potrebbe andare peggio' con 'aigor' al cimitero e appena viene pronunciata la parola 'peggio' cominciano i tuoni del temporale . Mel Brooks dai Marx ha preso la velocità dei tempi comici, che i fratelli rendevano grazie al ritmo delle loro battute. Mel Brooks usa la parodia, la rivisitazione a volte irriverente di film, di personaggi e fatti storici.
Occorre ricordare che in America dal 1975 c’è stato un programma televisivo chiamato 'Saturday night live' che ha cambiato la comicità: sbeffeggiando tutto e tutti. A questo spettacolo televisivo ha collaborato come autore lo stesso figlio di Mel Brooks, Max.
Woody Allen, per sua stessa ammissione, ha attinto da Groucho Marx… oltre che nella comicità nella scrittura, leggendo un aforisma scritto da uno dei due non sempre si può capire chi lo abbia scritto. Woody Allen ride e fa ridere delle sue insicurezze.
Il paradosso, lo spingere un racconto all'eccesso o al non apparente senso è sempre stato usato per superare la censura. Ridere di qualcuno e saper ridere di sé stesso è spesso inteso come uno sminuire e non come manifestazione di intelligenza…
"La prima cosa a sparire quando un paese viene trasformato in uno stato totalitario è la commedia e i comici. Poiché le persone ridono di noi, non credo che capiscano davvero quanto siamo essenziali per la loro salute mentale."
(Groucho Marx)
" Quel ballerino aveva una calzamaglia così stretta, che non solo si distingueva il sesso, ma anche la religione."
(Woody Allen)
Di solito, quando parecchia gente si raduna negli stessi posti, si tratta di guerra.
(Mel Brooks)
Quando la “New Hollywood” parla europeo per comprendere meglio se stessa
di Lucia Cirillo
Schlesinger, regista inglese di nascita ma “hollywoodiano” per fama, è stato uno dei portavoce più rappresentativi ed incisivi della New Hollywood più politicamente schierata, che grazie a film come “Un uomo da marciapiede” (1969) e “Il maratoneta” (1976) ha raccontato con lucidità quasi feroce tutto il disincanto di un’epoca, le sue contraddizioni, l’impossibilità del riscatto per chi è tagliato fuori dalle “infinite possibilità” del sogno americano. I suoi temi più cari e che saranno il cuore della poetica della “New Hollywood”, legati a forme non meglio precisazioni del disagio individuale in una società cristallizzata su valori arcaici a cui obbedire per acritica adesione allo “status quo”, sono parte anche del racconto di “Darling”, film inglese del 1965, che già pare innestarsi pienamente, nello stile e nei contenuti, a questo grande movimento di rinnovamento del cinema americano, con il valore aggiunto di un esplicito omaggio a quel cinema europeo considerato fin dal principio come imprescindibile riferimento culturale a cui ispirarsi: il film è infatti girato non solo a Londra ma anche a Parigi (e come non pensare immediatamente alla Nouvelle Vague) e, in Italia, tra Roma e la Campania (a loro volta tipici scenari del cinema neorealista) e non è raro, soprattutto per un occhio particolarmente attento, cogliere citazioni alla “nuova” scuola europea persino nel modo di girare, in talune espressioni degli attori, nella loro gestualità, nella descrizione di una città osservandola durante un tragitto in automobile. Persino in certi silenzi. Tutto pare “respirare” cinema europeo, eppure, se si prescinde dalla location, tutto fa comunque pensare ad un tipico film della New Hollywood quasi come una sorta di sublime osmosi in cui gli stili non si confondono ma si combinano secondo un incastro perfetto che tiene per tutta la narrazione.
Diane (Julie Christie) appare nella prima scena su un manifesto, tipico stratagemma per sottolineare il potere distorsivo dell’immagine sullo sguardo e sarà lei stessa la voce narrante della storia, non a caso raccontata ad un giornalista (inteso come nuovo soggetto creatore di verità). Sulla gigantografia Diane è rappresentata come una donna che sorride, nella realtà è invece profondamente confusa e in crisi, annoiata dal suo mondo borghese in cui ha smesso di riconoscersi e da un matrimonio contratto senza alcuna consapevolezza. La costruzione narrativa è la stessa di “Un uomo da marciapiede”: una sorta di viaggio dell’eroe al contrario, durante il quale le belle speranze mosse dal coraggio di voler assolutamente cambiare la propria vita si scontreranno con una realtà che si rivela progressivamente una trappola sempre più difficile da schivare. Non servirà a niente lottare, insistere, provarci ancora. L’affrancamento dalla condizione di partenza resterà solo una chimera per chi parte svantaggiato rispetto alle sue ambizioni.
Diane passerà dalle foto come modella al fare cinema di serie b, sarà teneramente amata da un giornalista intellettuale che capirà prima di lei ciò a cui è predestinata, si lascerà tentare dalle promesse effimere di un pubblicitario, attraverserà il dolore dell’aborto, sarà corteggiata da un principe inglese che le lascerà, oltre alla ricchezza e al titolo, anche una famiglia da gestire assieme a molta solitudine e tristezza (strana coincidenza che la nuova principessa inglese si chiami proprio Diane!). Un film tutto europeo nella confezione e al contempo tutto “New Hollywood” nelle aspirazioni, nei contenuti e, naturalmente, in quel suo appassionato omaggio al miglior cinema europeo
Saper ridere
di Adele D'Ippolito
Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore (Calvino)
Non si può dire che un certo modo di ridere sia iniziato con la New Hollywood, ad inizio secolo infatti i fratelli Marx già usavano fare battute veloci e giochi di parole, freddure e sarcasmo. Schernivano il tutto grazie ad un umorismo anarchico e surreale.
L'idea che il ridere sia 'poco serio', cioè che l'uomo che ride o che fa ridere sia meno da prendere sul serio è mondiale.
Mai Greta Garbo o le prime dive, o divi, sono diventati tali facendo film comici. Vale lo stesso per personaggi diventati famosi successivamente, penso a Lucille Ball che da attrice comica non avrebbe mai potuto avere il 'peso' (considerazione) di una Bergman sua coetanea. Un limite del pensiero umano insuperabile. Sceneggiature comiche difficilmente danno 'lustro' ad attori. Impensabili un Marlon Brando o un Dustin Hoffman che raccontano barzellette… c'è una sbagliata associazione fra il concetto di cultura e quello di serietà.
I fratelli Marx, geniali uomini ottocenteschi, sono stati maggiormente capiti nella loro genialità ed avanguardia grazie al loro essere ripresi da vari comici nel tempo. Groucho Marx ed i suoi fratelli venivano dal vaudeville, dagli spettacoli teatrali comici, come anche Stan Laurel e Chaplin o Keaton, avevano perciò presenza scenica. A differenza da questi primi altri non basava o il loro far ridere solo sulla fisicità ma anche sui suoni (suonavano strumenti musicali) e sul linguaggio. Erano artisti a 360°. Sapevano improvvisare senza copione. I testi dei fratelli Marx erano per lo più scritti da Groucho, che è stato capace di adattarsi anche al nuovo mezzo, la televisione, che aveva mandato in crisi il cinema. Dalle sue lettere si capisce che ammirava ed era in contatto con il poeta T. S. Eliot, che a sua volta lo ammirava. Questo a dimostrazione del fatto che la raffinatezza della sua capacità di far ridere, molto cerebrale, non è stato frutto esclusivo della sua genialità e della sua intelligenza. Ha collaborato anche col regista Otto Preminger.
Un seme dei cambiamenti successivi del cinema può derivare, perciò da molto prima degli anni 60/70.
Woody Allen è un regista che spazia fra i generi ed è considerato un umorista intellettuale.
Un altro umorista che è riuscito a trovare un suo spazio nel panorama cinematografico nel periodo di cambiamento della New Hollywood) è Mel Brooks che nel 1974 ha creato un film , Frankenstein junior, capace non solo di far ridere ancora oggi ma anche di lasciare una sua impronta, si cita il 'suonalo ancora Sam' di Casablanca e anche e il 'potrebbe andare peggio' con 'aigor' al cimitero e appena viene pronunciata la parola 'peggio' cominciano i tuoni del temporale . Mel Brooks dai Marx ha preso la velocità dei tempi comici, che i fratelli rendevano grazie al ritmo delle loro battute. Mel Brooks usa la parodia, la rivisitazione a volte irriverente di film, di personaggi e fatti storici.
Occorre ricordare che in America dal 1975 c’è stato un programma televisivo chiamato 'Saturday night live' che ha cambiato la comicità: sbeffeggiando tutto e tutti. A questo spettacolo televisivo ha collaborato come autore lo stesso figlio di Mel Brooks, Max.
Woody Allen, per sua stessa ammissione, ha attinto da Groucho Marx… oltre che nella comicità nella scrittura, leggendo un aforisma scritto da uno dei due non sempre si può capire chi lo abbia scritto. Woody Allen ride e fa ridere delle sue insicurezze.
Il paradosso, lo spingere un racconto all'eccesso o al non apparente senso è sempre stato usato per superare la censura. Ridere di qualcuno e saper ridere di sé stesso è spesso inteso come uno sminuire e non come manifestazione di intelligenza…
"La prima cosa a sparire quando un paese viene trasformato in uno stato totalitario è la commedia e i comici. Poiché le persone ridono di noi, non credo che capiscano davvero quanto siamo essenziali per la loro salute mentale."
(Groucho Marx)
" Quel ballerino aveva una calzamaglia così stretta, che non solo si distingueva il sesso, ma anche la religione."
(Woody Allen)
Di solito, quando parecchia gente si raduna negli stessi posti, si tratta di guerra.
(Mel Brooks)