Le parole di Wenders su "Perfect Days"
12/01/2024
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo di Letizia Piredda.
Al cinema Mignon di Roma, Wim Wenders è intervenuto in collegamento in streaming, prima della proiezione di Perfect Days.
“Per l’idea del film mi ha guidato una certa utopia, l’aspirazione a una vita semplice, il riuscire a fare a meno delle cose: il protagonista del film è un eroe della vita ordinaria che ha un segreto: ha raggiunto una soddisfazione interna che lo fa vivere in pace con sé stesso e con il mondo.” Il film è dedicato a Ozu, il suo regista giapponese preferito, che però ha potuto conoscere solo tardivamente: non a caso il cognome del protagonista Hirayama è lo stesso della famiglia di Viaggio a Tokyo, il capolavoro di Ozu. “Con Ozu” dice Wenders “ho scoperto il paradiso della regia e quello che mi interessa in questo film è conservare lo spirito del suo cinema”. Poi prosegue: “La musica nel film ha una valenza fondamentale, è il compagno più stretto di Hirayama oltre alla lettura; per questo mentre giravamo abbiamo inserito la musica sul set”.
Alla domanda su quali siano i suoi tre film preferiti, Wenders risponde: “Fino alla fine del mondo, per le difficoltà del progetto e le imposizioni da parte della produzione, Paris Texas per l’alchimia particolare che si era creata con Sam Shepard, Nastassja Kinski, e Ry Cooder, infine Alice nelle città, perché è quello che sento più vicino”.
Il film, aggiungiamo noi, è intriso di riferimenti culturali della vita giapponese, ma uno in particolare ha un ruolo centrale nel film: il komorebi.
Komorebi è la luce che filtra tra le foglie degli alberi, un momento breve, ma intenso, che esprime uno stato d'animo, una sensazione che è sfuggente, come i raggi di sole che filtrano tra le foglie degli alberi di un bosco. Nel film vediamo spesso il komorebi, quando Hirayama va a mangiare il suo panino sotto un grande albero, e nei suoi sogni che riproducono lo stesso fenomeno ma in bianco e nero.
E nella bellissima scena finale è lo stesso viso del protagonista che diventa un Komorebi, con quell’alternanza tra il luccichio del suo sorriso e la malinconia degli occhi al limite del pianto: ecco questa è l’essenza della vita.
Letizia Piredda
Al cinema Mignon di Roma, Wim Wenders è intervenuto in collegamento in streaming, prima della proiezione di Perfect Days.
“Per l’idea del film mi ha guidato una certa utopia, l’aspirazione a una vita semplice, il riuscire a fare a meno delle cose: il protagonista del film è un eroe della vita ordinaria che ha un segreto: ha raggiunto una soddisfazione interna che lo fa vivere in pace con sé stesso e con il mondo.” Il film è dedicato a Ozu, il suo regista giapponese preferito, che però ha potuto conoscere solo tardivamente: non a caso il cognome del protagonista Hirayama è lo stesso della famiglia di Viaggio a Tokyo, il capolavoro di Ozu. “Con Ozu” dice Wenders “ho scoperto il paradiso della regia e quello che mi interessa in questo film è conservare lo spirito del suo cinema”. Poi prosegue: “La musica nel film ha una valenza fondamentale, è il compagno più stretto di Hirayama oltre alla lettura; per questo mentre giravamo abbiamo inserito la musica sul set”.
Alla domanda su quali siano i suoi tre film preferiti, Wenders risponde: “Fino alla fine del mondo, per le difficoltà del progetto e le imposizioni da parte della produzione, Paris Texas per l’alchimia particolare che si era creata con Sam Shepard, Nastassja Kinski, e Ry Cooder, infine Alice nelle città, perché è quello che sento più vicino”.
Il film, aggiungiamo noi, è intriso di riferimenti culturali della vita giapponese, ma uno in particolare ha un ruolo centrale nel film: il komorebi.
Komorebi è la luce che filtra tra le foglie degli alberi, un momento breve, ma intenso, che esprime uno stato d'animo, una sensazione che è sfuggente, come i raggi di sole che filtrano tra le foglie degli alberi di un bosco. Nel film vediamo spesso il komorebi, quando Hirayama va a mangiare il suo panino sotto un grande albero, e nei suoi sogni che riproducono lo stesso fenomeno ma in bianco e nero.
E nella bellissima scena finale è lo stesso viso del protagonista che diventa un Komorebi, con quell’alternanza tra il luccichio del suo sorriso e la malinconia degli occhi al limite del pianto: ecco questa è l’essenza della vita.
Letizia Piredda