Le paure della società illuminate dalla macchina da presa: alcuni film fondamentali
15/11/2020
L’uomo ha sempre riversato nell’arte sogni, idee, speranze ma anche timori, inquietudini e dubbi. Il cinema, in quanto veicolo e specchio dell’animo umano, non poteva essere da meno. Se andiamo ad analizzare le tematiche trattate dalla Settima Arte, e lo stile formale con cui esse venivano messe in scena, possiamo infatti notare una certa ricorrenza nella riproposizione sul grande schermo di quelle che sono state le paure più diffuse in un preciso contesto storico. Il grande schermo ha quindi illuminato i più oscuri e sordidi timori della società nel tentativo anche di combatterli.

Durante gli anni del dopoguerra la Germania venne travolta una vera e propria ondata antisemita. In Metropolis (1922) di Fritz Lang ritroviamo la paura (innesto pestilenziale piantato da chi voleva consolidare il proprio controllo sulle masse) dello straniero, la presenza nascosta di una figura capace di corrompere le persone prima e la società poi, ma anche la conseguente disumanizzazione dell’essere umano, superbamente esemplificata dal chiasmo tra la macchina che si fa carne e le masse operaie sempre più rigide e sincronizzate, simili a robot.



Durante gli anni ’50 una nuova paura globale diede il via a una serie di produzioni cinematografiche capaci di riportare, in chiave metaforica, quello che per decenni è stato il più grande timore della società: lo scoppio di una guerra atomica. In questo caso viene immediato l’accostamento con la celebre e fortunata saga di Godzilla (il primo film uscì nel 1954 e fu diretto da Ishiro Honda). Monster movie da sempre legato a doppio filo al tema del nucleare: l’uomo, in questo caso, è infatti andato troppo oltre e rischia seriamente di minacciare i delicati equilibri che regolano la natura.



Con il passare degli anni e con la progressiva perdita di fiducia del cittadino verso le istituzioni e il governo, quest’ultimo è passato dal ricoprire il ruolo di protettore a quello di figura assente. “Non c’è nessun governo. Nessuna polizia” queste sono le parole che vengono pronunciate in 28 giorni dopo (2002), diretto da Danny Boyle. L’uomo si sente abbandonato e solo, è il crollo dell’ordine sociale e il corpo militare passa dall’essere un alleato a una minaccia.



In À l'intérieur (2007), diretto da Alexandre Bustillo e Julien Maury, a essere rappresentato non è altro che il terrore xenofobo di una presenza sconosciuta che si fa largo a forza nelle nostre vite, sradicando le nostre abitudini e prendendo il posto dei nostri figli nel grembo materno. i turbamenti di un paese alle prese con una difficile crisi identitaria sono qui manifestati, ad esempio, dalle immagini degli scontri nelle banlieu francesi che scorrono in TV.



Simone Manciulli

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