Mario Rossi – Di comune solo il nome, un film di Lucio Laugelli ed Errico D'Andrea
22/01/2025

Mario Rossi - Di comune solo il nome
Perché proprio questo film?

Ho conosciuto Mario Rossi nel 2018, all’interno del penitenziario di San Michele: insieme ad altri volontari tenevo un corso dedicato al cinema. La storia di Mario mi colpì da subito perché è un'infinita spirale di peripezie, privazioni, violenze, fughe, sequestri, tentativi di evasioni spettacolari che in un solo film non ci sarebbero stati. Ci sarebbe voluta una serie.

E poi c’è sempre stato quell’approccio distaccato, lucido con cui mi ha raccontato, negli anni, pezzi della sua vita. Mi scervellavo, ma non riuscivo a capire come facesse a proporsi, ogni volta, con quel fare propositivo, assertivo. Mario ha trascorso quasi tutta la sua vita in carcere e continuerà a vivere, anche l’inverno della sua esistenza, dietro le sbarre. È uno dei cosiddetti “fine pena mai”. Eppure, in questi anni non mi ha mai comunicato, neanche per un istante, una sensazione di frustrazione, scoramento, peso. Vi assicuro che abbiamo passato molto tempo insieme.

Già, perché finito il corso di cinema iniziammo a scriverci. Poi tornai a trovarlo, regolarmente, ogni mese, ai colloqui... e con il passare degli anni siamo diventati amici. Molte persone mi hanno chiesto per quale ragione si diventa amici di un detenuto con una storia del genere, ma non so rispondere con precisione e razionalità. All'inizio si trattava certamente di curiosità, forse anche un po’ morbosa, poi le parole scritte hanno fatto il resto. Quindi sono arrivate le ore passate nella sala colloqui (fredda d’inverno e calda d’estate) a parlare, a confrontarci su tantissimi temi.

Ancora oggi, sebbene non comprenda la maggior parte delle scelte di vita di Mario, sono in contatto con lui, nonostante le riprese di questo documentario siano finite molti mesi fa. Da qualche mese il mio numero di telefono è abilitato a ricevere le sue chiamate dal carcere. Quando la domenica, intorno all’ora di pranzo, vedo sul mio display “numero sconosciuto”, so che è lui. Ogni volta che rispondo si presenta come un famoso criminale. “Sono Scarface”, mi ha detto qualche giorno fa, per rimanere in tema di citazioni cinefile.

Come fa una persona che ha passato sei anni della sua vita in isolamento, nel silenzio più totale, a essere viva, lucida, cosciente? SEI ANNI. 2.192 giorni.
Come fa una persona che ha vissuto la quasi totalità del proprio tempo chiusa a chiave in una cella a non impazzire? Come si fa a svegliarsi la mattina sapendo che si morirà dietro le sbarre e che all’orizzonte non c’è più la possibilità di vivere liberi? Come fa una persona che ha commesso tutti quei reati a non distruggersi psicofisicamente, corrosa dai sensi di colpa? Perché dopo tanti anni in carcere esci e riprendi da dove hai cominciato, sapendo che al
prossimo giro, se ti cattureranno, non uscirai più?
Dov’è la redenzione?

In questo documentario ho provato a cercare delle risposte a tutte queste domande.
Lucio Laugelli


SINOSSI
Rapine a mano armata, inseguimenti, sequestri, scontri con gang rivali, tentativi di evasione rocamboleschi.
Il romanzo criminale di Mario Ubaldo Rossi inizia nella Genova degli anni '70, quando, nell’Italia degli anni di piombo, la sua banda diventa una delle più celebri del Nord Italia. Poi il primo omicidio, la latitanza e un viaggio all’inferno attraverso strutture carcerarie di ogni tipo.
Tra sei anni di isolamento totale nei famigerati "braccetti della morte" e, negli anni '80, il tentativo di fuga in elicottero da Porto Azzurro a seguito di una rivolta carceraria senza precedenti, con decine di ostaggi e i gruppi di intervento speciale pronti a fare fuoco, Mario Rossi, oggi settantenne, racconta la sua vita che, a dispetto del suo nome, non ha nulla di ordinario.
La storia di Rossi si intreccia con quella di Francis Turatello, Renato Vallanzasca, le Brigate Rosse, Albert Bergamelli del clan dei marsigliesi, il terrorista nero Mario Tuti, oltre a rapinatori meticolosi che sembrano usciti da un poliziesco, come Pancrazio Chiruzzi, soprannominato il "Solista del Kalashnikov".
Come fa una persona che ha trascorso quasi tutta la propria vita chiusa a chiave in una cella a non impazzire? Come ci si sveglia la mattina sapendo che si morirà dietro le sbarre e che all’orizzonte non c’è più la possibilità di vivere liberi? Dov’è la redenzione?
Con questo docufilm abbiamo cercato risposte a questi interrogativi, provando a raccontare un’infinita spirale di privazioni, fughe, vendette, incubi e silenzio.

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