Master MICA - Analisi di "Black Swan"
25/03/2024
Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!

Black Swan
di Elena Nulchis 

Io… non riesco più a capire chi sono” (Perfect Blue, Satoshi Kon)

In una incessante ricerca della perfezione, immersi nelle dinamiche dei social media, desideriamo sempre essere all’altezza delle aspettative. “Voglio solo essere perfetta”, dice Nina. 

In Black Swan, che trasforma il mondo delicato ed elegante del balletto in un horror psicologico, vediamo riflesse le problematiche della nostra contemporaneità.

Diretto da Darren Aronofsky, Black Swan è stato presentato nel 2010 alla 67esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia in anteprima mondiale. 

Oltre alla regia, alla sceneggiatura e alle interpretazioni del cast, anche la fotografia di Matthew Libatique, con cui il regista ha collaborato per quasi tutta la sua carriera, e il montaggio di Andrew Weisblum, contribuiscono a trasmettere l’inquietudine di questo lungometraggio, insieme alle musiche, che fondono le melodie classiche di Tchaikovsky alle composizioni contemporanee di Clint Mansell.

Dualità tra passione e ossessione e crisi dell’io
Osservando le trame di alcuni precedenti film del regista, come Pi-Il Teorema del Delirio (1998), Requiem for a Dream (2000) e The Wrestler (2008), notiamo che ricorre indubbiamente un tema: l’ossessione. 
Pur sviluppata in contesti diversi, la dualità tra passione e ossessione è fortemente presente nel cinema di Aronofsky, legata alla ricerca della perfezione e del successo che, in tutti i film citati, ha delle ripercussioni estreme sulla salute dei personaggi, i quali intraprendono strade rovinose pur di raggiungere i propri obbiettivi.

L’ossessione verso la perfezione porta inevitabilmente a una crisi dell’identità del personaggio, argomento esplorato in numerose opere artistiche, cinematografiche e letterarie, e in cui gli autori trovano molta ispirazione per le loro narrazioni.
Ma la crisi dell’io nel contesto sociale contemporaneo assume una nuova sfumatura. Il nostro io è frammentato, moltiplicato. Non esiste più una sola versione di noi, un’unica nostra rappresentazione fisica nella società, ma esistiamo in molteplici realtà digitali in cui abbiamo diverse versioni di noi stessi, perché abbiamo l’opportunità e gli strumenti per plasmare la nostra immagine a nostro piacimento. 
Questo “sdoppiamento” mette notevolmente in dubbio la percezione che abbiamo di noi stessi, alimentando la crisi dell’io.

I social media sono l’ambiente più fertile per far crescere le insicurezze, alimentate dai meccanismi delle piattaforme stesse, come l’utilizzo di filtri che possono alterare il nostro aspetto fisico per renderlo più apprezzabile. L’esposizione quotidiana alla visione di contenuti di altre persone ci porta a idealizzare le loro vite, apparentemente perfette, innestando un confronto in cui è impossibile vincere, perché loro sembreranno sempre migliori, più attraenti, più felici.
Ed è questo il ragionamento che fa la nostra protagonista, Nina Sayers, quando incontra per la prima volta Lily, che è tutto ciò che Nina vorrebbe diventare.

Il doppio e l’uso dei riflessi
Sono proprio i titoli di testa, grazie a un uso attento dei colori, con lo schermo nero e le scritte bianche, che anticipano le numerose dicotomie presenti nell’opera: il cigno bianco e il cigno nero, la luce e il buio, la passione e l’ossessione, il falso e il reale.
Incontriamo subito uno dei protagonisti: il riflesso. I riflessi persisteranno per tutta la durata del film, dai vetri neri dei mezzi di trasporto, agli specchi in casa, nei camerini, nei bagni e nella sala di danza.
La figura di Nina sarà continuamente duplicata, come si sdoppiano le nostre identità nel tentativo di proiettare diverse versioni di noi stessi al mondo. La ballerina è ossessionata dal guardarsi allo specchio, si fissa attentamente, si studia e, a causa di riflessi che non corrispondono alla realtà, immagini distorte e un lavoro di fotografia geniale, lo spettatore non riesce più a rendersi conto di quale sia la vera Nina. 

 La sua vita prende una svolta quando il direttore artistico Thomas Leroy annuncia che vorrà mettere in scena la sua versione de Il lago dei Cigni di Tchaikovsky, e sceglierà proprio Nina, mettendo subito in chiaro che è straordinariamente perfetta per interpretare il cigno bianco, ma che avrebbe dovuto lavorare tanto per riuscire a interpretare con altrettanta accuratezza il cigno nero.
Lily, la ballerina per cui Nina sin da subito proverà invidia, sembra essere molto più adatta al ruolo.
Ciò fa scattare nella nostra protagonista l’insicurezza e la pressione di riuscire a convincere Thomas di essere lei quella giusta.
Queste pressioni accentuano gravemente i suoi disturbi. Soffre di vivide allucinazioni e di autolesionismo, che si manifesta con il graffiarsi la schiena con le unghie, tenute sempre sotto controllo dalla madre che la costringe a tagliarle. Inoltre, soffre di bulimia, molto presente nelle giovani donne che sviluppano disturbi alimentari legati alle paranoie verso l’aspetto fisico. 
Anche in Requiem for a dream Aronofsky esplora questa tematica attraverso il personaggio di Sara, che soffre di gravissime allucinazioni causate dall’assunzione di pillole dimagranti, da cui lei diventa dipendente per riuscire a entrare in un vestito rosso che non le sta più.

L’abuso di potere di Thomas Leroy
Thomas Leroy rappresenta le pressioni e i giudizi esterni della società, tanto che per spingere Nina a interpretare il personaggio le dice “lose yourself”, letteralmente “perdi te stessa”.
Paragonabile alla figura di Thomas è il personaggio di Terence Fletcher in Whiplash (2014) di Damien Chazelle. In entrambi i film, i protagonisti cercano disperatamente l’approvazione dei loro maestri, i quali li abusano fisicamente e psicologicamente, sfruttando la loro figura autoritaria. Giungeranno entrambi alla realizzazione della performance perfetta, a discapito della loro salute, della loro morale e della loro vita. 

Un’analisi più approfondita della figura di Thomas ci porta a un’ulteriore riflessione. Durante il corso del film spinge Nina ad aprirsi maggiormente a livello sessuale, la definisce “frigida”, vuole che esplori la sua sessualità, arrivando persino a baciarla e toccarla senza consenso. 
Il suo personaggio richiama tutto ciò che riguarda la sessualizzazione delle donne online, più apprezzate quando la loro immagine è conforme agli standard di sensualità. Le loro interazioni sono allarmanti anche a causa della loro differenza di età, essendo Thomas un uomo molto più grande della giovane ballerina ventenne, che chiamerà “la mia principessina”.
A riguardo il nostro pensiero non può non andare all’opera che si ritiene aver ispirato Black Swan, Perfect Blue (1997). Nel film giapponese, con cui il film di Aronofsky condivide numerosi elementi narrativi e stilistici, emerge chiaramente la denuncia del regista Satoshi Kon sul tema dell’oggettificazione delle donne e lo sfruttamento della loro immagine per il profitto. 

Thomas non ha questo tipo di rapporto esclusivamente con Nina. Nel film incontriamo Beth, una ex ballerina, la migliore della sua generazione, la cui carriera giunge al termine, soprattutto a causa della sua età. Dimostra quanto il successo può essere effimero, persino nei social media saturi di contenuti, e quanto può essere facile essere sostituiti dall’offerta successiva disponibile.
Il caso di questo personaggio suscita due riflessioni. 
La prima riguarda il fatto che Beth funge da avvertimento su cosa può accadere quando si cerca l’eccellenza in modo maniacale e al contempo una premonizione su quello che succederà a Nina. A causa della pressione entrambe subiranno conseguenze psicologiche e fisiche gravi: mentre Beth subirà un grave incidente, Nina si accoltellerà alla fine del film. 
La seconda riflessione si addentra in un tema estremamente interessante quanto allarmante: agli occhi della società le donne sono desiderabili solamente quando sono giovani. Questo genera un contesto in cui le donne si trovano costantemente esposte a pressioni e insicurezze, le quali vengono al tempo stesso alimentate e sfruttate per il guadagno. Un esempio lampante è il marketing dei prodotti anti-età, con i quali si cerca di ritardare il più possibile i segni dell’invecchiamento, per paura di perdere il proprio fascino a causa di qualche ruga.  

La morte del cigno bianco 
Dopo tutte le pressioni e le lotte psicologiche, Nina riesce a eseguire la perfetta interpretazione e diventa ciò che tanto desiderava, ma entra in un’altra prigione, perché la versione di noi che creiamo online non è mai autentica. È filtrata, creata per piacere agli altri, frutto di canoni e standard idealistici e irrealistici. È un’interpretazione, proprio come quella di Nina: assumiamo un ruolo di un personaggio che non corrisponde realmente a chi siamo. 
Non a caso, la rappresentazione di Nina nella sua trasformazione in cigno nero, dallo spuntare delle prime piume nere fino a delle vere e proprie ali, metafora della nostra falsa rappresentazione nei social media, è stata creata con la CGI e la motion-capture, strumenti caratteristici del mondo cinematografico digitale. 

Come ultima scena, Nina interpreta la morte del cigno bianco, dopo la quale si sentono gli applausi del pubblico, le compagne la accerchiano e le fanno i complimenti. Anche Thomas è soddisfatto della sua allieva mentre le dice “ti adorano!”.
Ma Nina sta sanguinando e nel frattempo risponde “l’ho sentito. Perfetto. Era perfetto”. Morirà, accoltellata dalle sue stesse mani, portando via anche la versione di sé che ha sacrificato per raggiungere la perfezione. 
Il film si chiude con la telecamera che inquadra il suo viso, lo schermo diventa bianco e iniziano i titoli di coda, opposti a quelli di testa: questa volta lo sfondo è bianco e le scritte nere. 

Black Swan ci parla come se fosse uno specchio, il riflesso oscuro della complessità della contemporaneità, di internet e l’impatto che ha sulla salute dei suoi utenti. Ci invita a guardare oltre le maschere che indossiamo e ci fa chiedere: in un mondo dominato dalla tendenza di voler sempre apparire impeccabili, qual è il prezzo che siamo disposti a pagare per la perfezione e quanto siamo disposti a sacrificare della nostra essenza?

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