Master MICA - Analisi di "Fratello, dove sei?"
21/03/2024
Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!

"Fratello, dove sei?"
di Elisa Cognizzoli

Astruc definisce il concetto di camèra-stylo come un cinema in cui la penna e la macchina da presa si muovono all’unisono, unendosi liberamente fra loro con l’obiettivo di rappresentare la realtà circostante.
Questo termine è correlato all’idea di cinema d’autore declamata dai cahiers du cinèma e dalla nouvelle vague: autori intesi come critici della società, che uniscono la loro poetica alla propria visione del mondo ponendo grande attenzione alla realtà circostante.

I fratelli Coen sono l’esatta e concreta trasposizione di questi due pensieri.

In Fratello, dove sei? è evidente una cura per i dettagli che si ibrida all’utilizzo di riferimenti artistici e letterari che, quando colti svelano una grande attenzione alla storia della società americana. I riferimenti sono molteplici e vanno oltre l’omaggio puramente letterario dell’Odissea di Omero. I due autori mettono in scena un road movie nel sud degli Stati Uniti degli anni Trenta che viene descritto come un passaggio epocale dall’arretramento economico, ma soprattutto mentale della società americana della Grande Depressione ad un nuovo mondo ancora in divenire e migliore (forse).

Si può notare come i tre protagonisti siano la perfetta incarnazione dell’ostinazione a realizzare il sogno americano dei bianchi a discapito dei cittadini afroamericani.

Fin dai titoli di testa si assiste ad un rumore di catene e picconi accompagnati da un canto ripetitivo e ridondante che risulta essere una vera registrazione di canti di carcerati. Successivamente la macchina da presa con un lungo movimento mostra la provenienza di quei suoni e presenta una fila di detenuti afroamericani intenti a spaccare delle pietre sotto al sole. Si assiste poi alla fuga dei tre protagonisti che corrono in un immenso campo coltivato con ancora le catene indosso, questo a dimostrare come per loro sia possibile andare verso la libertà diversamente da chi è dietro di loro.

Durante il viaggio alla ricerca della libertà e di un tesoro economico mai esistito, Everett (George Clooney), Pete (John Turturro) e Delmar (Tim Blake Nelson) incontrano un gangster anomalo di nome George Nelson (Michael Badalucco), chiamato da tutti Babyface per via del suo aspetto infantile. Dopo aver rapinato insieme una banca i quattro personaggi si radunano intorno ad un falò e appoggiati ognuno a dei sassi, sognano ad occhi aperti il loro futuro ora che hanno molto denaro. L’unico ad essere tormentato è George che si allontana e svanisce nel bosco lasciando il suo bottino ai tre protagonisti ipotizzando che sia così triste perché “per quelli sempre in cerca di brividi la vita è un’altalena; un attimo sei sul tetto del mondo, quello dopo negli abissi”. Simboleggiando il cittadino americano dell’epoca che in poco tempo può guadagnare tanto e poco dopo perderlo per via della grande crisi finanziaria.

In una scena del film si vedono i tre galeotti mentre rubano una torta appena sfornata da una donna afroamericana che abita in una casa di campagna, lasciando sul davanzale della finestra una banconota appena rubata dalla rapina precedente. L’aspetto eccezionale è che per tenerla ferma e non farla volare via dal vento, Delmar poggia una piccola pietra sul denaro. 

Si ritrova quindi la pietra come leitmotiv di gran parte del film. Si tratta di scene in cui l’americano bianco ha la possibilità di compiere un passaggio: passare da un’epoca in cui si è vittime del secessionismo e del Ku Klux Klan ad un futuro più giusto, dalla povertà alla ricchezza. Passaggi possibili perché sono state sfruttate e discriminate delle persone. Sono gli afroamericani ad aver spaccato le pietre, ad aver cucinato il loro cibo e ad aver salvato loro la vita come Tommy Johnson.

In questo passaggio c’è un continuo “guardarsi indietro”; sia dai poliziotti sia dai pensieri che si muovono in un passato remoto, ad un tesoro che non esiste in termini di denaro ma che in realtà simboleggia la propria casa e i propri affetti. Un pensare a ciò che è stato, poiché il tempo non è infinito e per poter guardare al futuro bisogna fare i conti con il proprio passato.

I personaggi messi in scena dai fratelli Coen sono personaggi con pochissima integrità morale, che pensano esclusivamente ai propri interessi cercando in più situazioni una redenzione religiosa o spirituale per alleviare i loro sensi di colpa e per avere salva la vita. In una delle scene più significative del film, Pete e Delmar catturati dal suono di canti solenni decidono di farsi battezzare in un fiume insieme ad altri fedeli con l’obiettivo di essere purificati da ogni loro peccato. È interessante notare come colui che si appresta a toccare con l’acqua il capo dei fedeli sia un uomo con un abbigliamento inusuale per un ministro del culto, poiché indossa un papillon con una camicia bianca e delle bretelle. Si tratta di una rappresentazione ambigua della Chiesa, da sempre tema caro ai fratelli Coen, vista come un insieme di religione e lavoro o ancora di religione e Stato. La legge religiosa è una realtà, quella dello stato, un’altra.

La classe dirigente viene illustrata come malleabile e facilmente influenzabile dal popolo pur di vincere le elezioni, a tal punto da sradicare i propri valori e farne di nuovi. Poco coerente alle proprie ideologie e alquanto ipocrita. Il concetto di religione con i suoi valori viene messo in dubbio dalla classe dirigente stessa. Avviene un crollo dei pilastri religiosi del perdono e dell’accoglienza al prossimo che mai vengono messi in atto. Pappy O’Daniel (Charles Durning) viene illustrato dai Coen come un industriale e politico conservatore, legato ai valori tradizionali americani e circondato da personalità alquanto insulse e non adatte alla politica intesa come vita pubblica. Homer Stokes (Wayne Duvall) è probabilmente il vero antagonista di questa narrazione. È un personaggio apparentemente buono, disponibile a riformare lo stato del Mississippi che tuttavia si scopre essere a capo del Ku Klux Klan. L’intolleranza razziale unita ad un assoluto fanatismo e ad un concetto discutibile di religione è la perfetta immagine rappresentativa di Big Dan Teague (John Goodman): venditore di Bibbie in tutto il sud del paese e grande sostenitore del suprematismo bianco del KKK che infatti verrà ucciso dalla croce infuocata destinata a Tommy.

L’umorismo e l’ironia che identificano il cinema dei Coen sono evidenti nella scena della cerimonia del Ku Klux Klan intenti a compiere un linciaggio. I tre fuggitivi, con il volto dipinto di nero, assistono ad un canto insolito intonato dal capo del KKK. Nella realtà, sul set sono state chiamate 350 comparse composte da militari tra cui molti afroamericani.

Il personaggio interpretato da George Clooney è il perfetto esempio dell’uomo individualista e consumista. Everett alterna momenti di grande lucidità tipiche del leader del gruppo a momenti molti ironici seppur in contesti tragici, in cui il suo interesse è avere i capelli profumati e in ordine. Questa sua ossessione per i capelli si svelerà essere autodistruttiva, poiché a causa di un uso eccessivo di brillantina, i poliziotti trovano delle latte di cosmetico e resti di cuffie per capelli lungo il percorso di fuga dei tre compagni arrivando a catturarli. Si assiste ad un vero e proprio autosabotaggio causato dall’egoismo e da una voglia smisurata di consumo e di apparire da parte di Everett Ulysses.

Everett sembra essere affascinato dal progresso e dal consumismo, nonostante esso dichiari la sua fine. Penelope, l’ex moglie di Everett, ha infatti spiegato alle proprie figlie che l’assenza forzata del padre era dovuta ad un incidente che egli aveva subito, investito da un treno. Lo stesso treno che si vede all’inizio del film, da cui egli cade trascinato dalle catene. Ancora una volta la metafora del progresso è ciò che uccide Everett Ulysses. Una dimostrazione di come il passaggio dall’arretratezza sia necessaria, ma sapendo sfruttare ciò che offre nel giusto modo.

L’unica possibilità che ha l’uomo di progredire effettivamente è avere fiducia nelle nuove generazioni che potrebbero usare il progresso come occasione irripetibile di cambiamento positivo. Il figlio di Hogwallop è infatti il personaggio più maturo di tutta la narrazione, poiché è colui che salva i tre fuggitivi risultando più intraprendente e scaltro degli adulti che lo circondano. Le future generazioni hanno insite in loro la capacità di trasformare l’arretratezza economica e produttiva in progresso e sono coloro in grado di sfruttare il passaggio di epoche dalla Grande Depressione all’età della Ragione e dell’energia idroelettrica.

L’attimo prima del disastro rappresenta l’ultima scelta possibile che l’uomo può fare nel momento della fine di un’epoca, ed Everett decide di confermare la natura ipocrita e bugiarda dell’uomo: inizia a pregare affinché lui possa vivere e tornare al suo tesoro, ricredendosi poco dopo poiché “Tutti gli esseri in difficoltà si aggrappano a qualsiasi cosa”. Si assiste ad un rovesciamento di ruoli tra gli afroamericani sfruttati e in catene e i tre protagonisti, poiché sono i primi che nonostante continuino ad avere dei picconi in mano, non sono più obbligati a spaccare pietre, bensì hanno il compito di scavare le tombe di coloro che li hanno sfruttati e discriminati come metafora del Sud degli Stati Uniti.

Forse la rappresentazione del Sud degli stati Uniti illustrata dai Coen non è ancora abbastanza distante dalla realtà. La coppia di autori ancora una volta rende attuale una storia nata cinquecento anni prima della nascita di Cristo e lo fa con grande ironia e giudizio. In questo film c’è una denuncia sociale contro la società individualista e la disillusione dell’american dream che si basa sullo sfruttamento degli afroamericani e degli emarginati. È una grande accusa alla classe politica passata e presente, che non coglie le volontà di un popolo unito, perché troppo attenta alla conservazione di valori tradizionali ormai passati.

Come dice lo stesso Pappy: “Si vede che alla gente non dispiace l’integrazione”.

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