Master MICA - Analisi di "Nightcrawler"
21/03/2024
Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!
"Nightcrawler"
di Valeria Epifani
Il regista e sceneggiatore statunitense Dan Gilroy apre e chiude il suo debutto registico, Nightcrawler (2014), con due inquadrature della luna piena in una Los Angeles deserta e illuminata da neon, permettendo lo spettatore di immergersi immediatamente in un ambiente cupo, perfetto per un vampiro. Strade vuote, negozi chiusi, parcheggi deserti e lampioni accesi in ogni angolo, sembra di trovarsi in set cinematografico in attesa delle riprese del giorno dopo, set che il protagonista percorre e ammira e di cui diventerà membro della crew.
I linguaggi neo-noir e del thriller sono vivi per tutta la durata del film, scene notturne, ombre, oscurità, così come la presenza tipica dell’antieroe che il pubblico conosce sin dal periodo post guerra e riconosce in lui una morale positiva intrinseca ma un carattere imperfetto. Con l’evoluzione del genere, il protagonista del film, tuttavia, mette alla luce quella linea sottile tra delle ambizioni forti e delle tendenze sociopatiche che lo portano a compiere determinate azioni. Gilroy presenta il personaggio di Louis Bloom (Lou), interpretato da Jake Gyllenhaal, come un vampiro: è una figura deperita e pallida, ha uno sguardo inquietante, indossa molto spesso occhiali da sole, non dorme e vaga per Los Angeles maggiormente di notte. Negli ultimi venti anni lo spettatore ha nuovamente assistito al ritorno di tropi classici di alcune mitologie come gli zombie e soprattutto dei vampiri, letteralmente presentati con tutte le loro caratteristiche soprannaturali. In Nightcrawler, però, non c’è niente di soprannaturale, non ci sono né crocifissi né paletti di legno o aglio. La spensierata sociopatia del protagonista e la critica della crudeltà del capitalismo rende la pellicola un horror economico e umano. La figura vampiresca viene rimaneggiata in Lou che all’apparenza sembra curato e composto ma che ha un aspetto così scarno e scheletrico, dato gli zigomi pronunciati e gli occhi sporgenti quasi a ricordare l’immagine iconica di Nosferatu (diretto da Friedrich Wilhelm Murnau).
Lou è un vampiro moderno patetico e viscido, letteralmente e figurativamente affamato, che sembra stia cercando di imparare ad essere un umano dopo aver letto un manuale di una corporation. Non è un caso sentirlo pronunciare dei veri e proprio monologhi che sembra aver appreso da simboli iconici del “self made men” come Steve Jobs (“Le ho detto che ho lavorato in un garage?”). Inoltre, assistiamo a una serie di rituali che cerca di apprendere per inserirsi nel mondo e simulare i comportamenti umani, come innaffiare abitudinariamente la piantina nella sua casa buia e triste o ridere a comando guardando la TV. L’uomo è l’emblema delle dinamiche del capitalismo e dell’American Dream in cui l’unità di misura è l’individuo poiché tutto ciò di cui ha bisogno è dentro sé stesso. In particolare egli è segno dei valori propri del libero mercato in cui ognuno ha la possibilità di successo se lavora duro e lo desidera fortemente. Il film, infatti, presenta sin da subito tutte le ansie economiche del presente: all’inizio del film sentiamo in radio una storia legata al mercato immobiliare che si sta riprendendo in seguito alla recessione e del tasso di disoccupazione: i vari protagonisti del
film sono sull’orlo della rovina finanziaria o hanno paura di cadere in essa. Il personaggio di Nina, interpretato da Rene Russo, sapremo che ogni due anni cambia posizione lavorativa ed è attualmente alla fine del suo lavoro, Rick, interpretato da Riz Ahemed, che sarà l’assistente di Lou, è senza casa e lavoro e il protagonista stesso è disperatamente in cerca di lavoro e ruba per racimolare del denaro. Lou conosce profondamente la società in cui vive e sa che la meritocrazia ha un ruolo fondamentale, si auto descrive, infatti, come una persona sveglia che impara in fretta e gran lavoratore.
Quando vagando di notte delle sirene attirano la sua attenzione inizia la caccia e la scalata sociale del nostro protagonista: si trova nel bel mezzo di un incidente e notando una crew televisiva ha finalmente la sua vocazione. “Il sangue fa audience” gli dice lo sciacallo incontrato, e proprio lui appartenente a una generazione in crescita in cui la competizione è ragione di vita, rendendolo immune all’empatia e alla compassione, la cronaca nera e le dinamiche dei media sono perfette per lui. I media, infatti, prosperano in tempi di sofferenza perché il loro obiettivo è creare paura e panico attraverso la sensazionalizzatine del dolore e della violenza. La videocamera diventa per Lou lo strumento di alimentazione primario: come un vero e proprio vampiro va a caccia di prede da filmare per poter capitalizzare.
È a questo punto che le capacità affabulatorie di Lou vengono messe maggiormente in atto quando per assumere della manodopera da sfruttare, il giovane Rick, si presenta professionalmente come “Louis” e gli promette che unirsi alla sua azienda, che in realtà sappiamo non esiste, significa avere una grande opportunità ed un salario che sarà in realtà misero.
Nina Romina, il cui nome ricorda il personaggio di Mina in Dracula di Bram Stocker, diventa non solo l’oggetto del desiderio sessuale del nostro personaggio ma anche il punto di incontro con il lato oscuro del giornalismo sensazionalistico e dei media. È la donna a sottolineare che per avere un’idea dello “spirito di quello che mandiamo in onda: pensa al nostro TG come una donna che urla correndo per strada con la gola squarciata”. Diventa singolare, alla luce del vampirismo, che egli entri nelle case degli altri senza permesso proprio per manipolare le scene del crimine e spostare cadaveri e oggetti per rendere tutto a prova di una ripresa spettacolare. I servizi del TG vengono intitolati e descritti riprendendo un certo linguaggio come “Casa degli Horror”, “Horror in Echo Park”, proprio perché la messa in scena dei filmati di Lou ha un certo voyerismo del dolore che richiama lo stile tipico del cinema dell’orrore. Lo scopo è spaventare lo spettatore a casa che è così portato a riaccendere la tv e seguire tali storie sanguinose. Nella scalata verso il successo non resta che eliminare la concorrenza e per farlo danneggia il van di Joe Loader (Bill Paxton) per poi presentarsi sulla scena dell’incidente come un predatore che è pronto a cibarsi della sua vittima. Girloy, dunque, decide di inquadrare Lou dal basso per sovrastare la sua preda impaurita e di usare la camera e le inquadrature al meglio attraverso numerosi close-up ravvicinati e lunghi. Lo spettatore è costretto ad osservare la violenza quasi diventandone complice e a percepire la fame del protagonista.
L’unica relazione su cui Lou cerca di investire è una relazione sessuale con Nina la quale diventa un ulteriore oggetto del desiderio da raggiungere. Il nostro vampiro è impacciato ma mette in moto diversi meccanismi perversi per raggiungere la donna. Lou è in attesa di un premio per aver “aumentato il valore assoluto” del giornale ma lei lo rifiuta. Nina a sua volta è una donna spietata, sa che tipo di notizia potrebbe fare ascolti, sa come rendere un servizio TG sensazionalistico e soprattutto nota le pratiche scorrette di Lou, approfittandone.
Con il suo sguardo ammagliatore e inquietante Lou negozia la sua relazione con Nina ricattandola: “Sei il direttore del TG dell’ora dei Vampiri del canale con i peggiori ascolti di Los Angeles” e le offre il suo prezioso contributo filmico. Infatti non appena Lou le offre uno filmato di un triplo omicidio, la donna inizia davvero a provare attrazione per lui e verso la fine del film quando assiste al video più sanguinoso nella sala montaggio i due hanno un momento di forte complicità e attrazione. A differenza dell’immagine che le trasposizioni vampiresche recenti hanno offerto della sessualità e del desiderio più romanticizzata, Lou offre una prospettiva differente alla luce del capitalismo. Essendo un predatore sfrutta infatti le relazioni umane per i suoi scopi: non prova amore ma richiede, non fa domande ma prende. Lui manipola Rick per ottenere quello che vuole, minaccia Nina per raggiungere una posizione di lavoro sicura. Lou Bloom scala la vetta del successo: è partito dal basso manipolando le scene del crimine spostando delle fotografie su un frigo accanto a un foro del proiettile, a dislocare cadaveri nella posizione più ottimale per il frame sino ad arrivare sui luoghi del crimine ancora prima della polizia.
Lou dirige il suo “film d’azione” trovandosi di nuovo nel bel mezzo di una sparatoria e un inseguimento in cui Rick perderà la vita e che spudoratamente filma con “una buona inquadratura che attira l’occhio sull’immagine”. Ed è qui che risiede l’orrore più mostruoso di questo personaggio, egli è tutto ciò di mostruoso della cultura americana e non solo. Raggiunge il suo obiettivo perché gli è permesso farlo, nessuno è in grado di fermarlo nemmeno la polizia che ha sospetti fondati su di lui e sa che c’è qualcosa che non va nel suo modus operandi a cui lui replica “se mi vedi, è il giorno peggiore della tua vita”. La parabola finale del nostro eroe lo vede a capo della sua stessa azienda in espansione con tre nuovi assistenti tirocinanti e due veicoli che vagheranno per la città e lucrare sulle sofferenze degli altri, descrivendo perfettamente i rapporti di lavoro sotto il sistema capitalistico e mostrandone la ciclicità. Ci sono coloro che perpetrano il male, c’è chi sfrutta il male e lo vende confezionandola e c’è chi a colazione ne fa uso comodamente da casa davanti la TV. Lou si è autorealizzato, è diventato anch’egli un self made man. Ma a che costo? Nella vita dopo la morte, l’esistenza di Lou è basata sulla menzogna, sul concetto del “fake it till you make it” che continua a perpetrare sui giovani tirocinanti che rischieranno la loro vita per arricchirlo ancora maggiormente. Gilroy è riuscito a delineare all’interno della pellicola l’immaginario vampiresco, nonostante effettivamente non lo fosse davvero: Lou continua ad essere visibile allo specchio, ma proprio lo specchio e il suo riflesso diventano significative in una scena necessaria per il personaggio. L’uomo perde il controllo quando in un momento di realizzazione di sé stesso e della sua situazione si guarda nello specchio e lo distrugge, distruggendo a sua volta, l’immagine di sé stesso. Allo stesso modo egli non compare mai nei suoi stessi filmati è sempre dietro la camera ma presente in essi con le manipolazioni che attua nella messa in scena. Lo spettatore è a disagio difronte a tale decadimento morale e si domanda se Lou abbia davvero raggiunto il sogno americano alla fine del suo percorso. Forse no, perché per raggiungere il suo status ha eliminato scorrettamente la concorrenza e sfruttato chiunque gli è stato intorno o forse si e in questo senso ci si rende complici di un sistema malato ed è il caso di controllare il nostro stesso riflesso allo specchio.
"Nightcrawler"
di Valeria Epifani
Il regista e sceneggiatore statunitense Dan Gilroy apre e chiude il suo debutto registico, Nightcrawler (2014), con due inquadrature della luna piena in una Los Angeles deserta e illuminata da neon, permettendo lo spettatore di immergersi immediatamente in un ambiente cupo, perfetto per un vampiro. Strade vuote, negozi chiusi, parcheggi deserti e lampioni accesi in ogni angolo, sembra di trovarsi in set cinematografico in attesa delle riprese del giorno dopo, set che il protagonista percorre e ammira e di cui diventerà membro della crew.
I linguaggi neo-noir e del thriller sono vivi per tutta la durata del film, scene notturne, ombre, oscurità, così come la presenza tipica dell’antieroe che il pubblico conosce sin dal periodo post guerra e riconosce in lui una morale positiva intrinseca ma un carattere imperfetto. Con l’evoluzione del genere, il protagonista del film, tuttavia, mette alla luce quella linea sottile tra delle ambizioni forti e delle tendenze sociopatiche che lo portano a compiere determinate azioni. Gilroy presenta il personaggio di Louis Bloom (Lou), interpretato da Jake Gyllenhaal, come un vampiro: è una figura deperita e pallida, ha uno sguardo inquietante, indossa molto spesso occhiali da sole, non dorme e vaga per Los Angeles maggiormente di notte. Negli ultimi venti anni lo spettatore ha nuovamente assistito al ritorno di tropi classici di alcune mitologie come gli zombie e soprattutto dei vampiri, letteralmente presentati con tutte le loro caratteristiche soprannaturali. In Nightcrawler, però, non c’è niente di soprannaturale, non ci sono né crocifissi né paletti di legno o aglio. La spensierata sociopatia del protagonista e la critica della crudeltà del capitalismo rende la pellicola un horror economico e umano. La figura vampiresca viene rimaneggiata in Lou che all’apparenza sembra curato e composto ma che ha un aspetto così scarno e scheletrico, dato gli zigomi pronunciati e gli occhi sporgenti quasi a ricordare l’immagine iconica di Nosferatu (diretto da Friedrich Wilhelm Murnau).
Lou è un vampiro moderno patetico e viscido, letteralmente e figurativamente affamato, che sembra stia cercando di imparare ad essere un umano dopo aver letto un manuale di una corporation. Non è un caso sentirlo pronunciare dei veri e proprio monologhi che sembra aver appreso da simboli iconici del “self made men” come Steve Jobs (“Le ho detto che ho lavorato in un garage?”). Inoltre, assistiamo a una serie di rituali che cerca di apprendere per inserirsi nel mondo e simulare i comportamenti umani, come innaffiare abitudinariamente la piantina nella sua casa buia e triste o ridere a comando guardando la TV. L’uomo è l’emblema delle dinamiche del capitalismo e dell’American Dream in cui l’unità di misura è l’individuo poiché tutto ciò di cui ha bisogno è dentro sé stesso. In particolare egli è segno dei valori propri del libero mercato in cui ognuno ha la possibilità di successo se lavora duro e lo desidera fortemente. Il film, infatti, presenta sin da subito tutte le ansie economiche del presente: all’inizio del film sentiamo in radio una storia legata al mercato immobiliare che si sta riprendendo in seguito alla recessione e del tasso di disoccupazione: i vari protagonisti del
film sono sull’orlo della rovina finanziaria o hanno paura di cadere in essa. Il personaggio di Nina, interpretato da Rene Russo, sapremo che ogni due anni cambia posizione lavorativa ed è attualmente alla fine del suo lavoro, Rick, interpretato da Riz Ahemed, che sarà l’assistente di Lou, è senza casa e lavoro e il protagonista stesso è disperatamente in cerca di lavoro e ruba per racimolare del denaro. Lou conosce profondamente la società in cui vive e sa che la meritocrazia ha un ruolo fondamentale, si auto descrive, infatti, come una persona sveglia che impara in fretta e gran lavoratore.
Quando vagando di notte delle sirene attirano la sua attenzione inizia la caccia e la scalata sociale del nostro protagonista: si trova nel bel mezzo di un incidente e notando una crew televisiva ha finalmente la sua vocazione. “Il sangue fa audience” gli dice lo sciacallo incontrato, e proprio lui appartenente a una generazione in crescita in cui la competizione è ragione di vita, rendendolo immune all’empatia e alla compassione, la cronaca nera e le dinamiche dei media sono perfette per lui. I media, infatti, prosperano in tempi di sofferenza perché il loro obiettivo è creare paura e panico attraverso la sensazionalizzatine del dolore e della violenza. La videocamera diventa per Lou lo strumento di alimentazione primario: come un vero e proprio vampiro va a caccia di prede da filmare per poter capitalizzare.
È a questo punto che le capacità affabulatorie di Lou vengono messe maggiormente in atto quando per assumere della manodopera da sfruttare, il giovane Rick, si presenta professionalmente come “Louis” e gli promette che unirsi alla sua azienda, che in realtà sappiamo non esiste, significa avere una grande opportunità ed un salario che sarà in realtà misero.
Nina Romina, il cui nome ricorda il personaggio di Mina in Dracula di Bram Stocker, diventa non solo l’oggetto del desiderio sessuale del nostro personaggio ma anche il punto di incontro con il lato oscuro del giornalismo sensazionalistico e dei media. È la donna a sottolineare che per avere un’idea dello “spirito di quello che mandiamo in onda: pensa al nostro TG come una donna che urla correndo per strada con la gola squarciata”. Diventa singolare, alla luce del vampirismo, che egli entri nelle case degli altri senza permesso proprio per manipolare le scene del crimine e spostare cadaveri e oggetti per rendere tutto a prova di una ripresa spettacolare. I servizi del TG vengono intitolati e descritti riprendendo un certo linguaggio come “Casa degli Horror”, “Horror in Echo Park”, proprio perché la messa in scena dei filmati di Lou ha un certo voyerismo del dolore che richiama lo stile tipico del cinema dell’orrore. Lo scopo è spaventare lo spettatore a casa che è così portato a riaccendere la tv e seguire tali storie sanguinose. Nella scalata verso il successo non resta che eliminare la concorrenza e per farlo danneggia il van di Joe Loader (Bill Paxton) per poi presentarsi sulla scena dell’incidente come un predatore che è pronto a cibarsi della sua vittima. Girloy, dunque, decide di inquadrare Lou dal basso per sovrastare la sua preda impaurita e di usare la camera e le inquadrature al meglio attraverso numerosi close-up ravvicinati e lunghi. Lo spettatore è costretto ad osservare la violenza quasi diventandone complice e a percepire la fame del protagonista.
L’unica relazione su cui Lou cerca di investire è una relazione sessuale con Nina la quale diventa un ulteriore oggetto del desiderio da raggiungere. Il nostro vampiro è impacciato ma mette in moto diversi meccanismi perversi per raggiungere la donna. Lou è in attesa di un premio per aver “aumentato il valore assoluto” del giornale ma lei lo rifiuta. Nina a sua volta è una donna spietata, sa che tipo di notizia potrebbe fare ascolti, sa come rendere un servizio TG sensazionalistico e soprattutto nota le pratiche scorrette di Lou, approfittandone.
Con il suo sguardo ammagliatore e inquietante Lou negozia la sua relazione con Nina ricattandola: “Sei il direttore del TG dell’ora dei Vampiri del canale con i peggiori ascolti di Los Angeles” e le offre il suo prezioso contributo filmico. Infatti non appena Lou le offre uno filmato di un triplo omicidio, la donna inizia davvero a provare attrazione per lui e verso la fine del film quando assiste al video più sanguinoso nella sala montaggio i due hanno un momento di forte complicità e attrazione. A differenza dell’immagine che le trasposizioni vampiresche recenti hanno offerto della sessualità e del desiderio più romanticizzata, Lou offre una prospettiva differente alla luce del capitalismo. Essendo un predatore sfrutta infatti le relazioni umane per i suoi scopi: non prova amore ma richiede, non fa domande ma prende. Lui manipola Rick per ottenere quello che vuole, minaccia Nina per raggiungere una posizione di lavoro sicura. Lou Bloom scala la vetta del successo: è partito dal basso manipolando le scene del crimine spostando delle fotografie su un frigo accanto a un foro del proiettile, a dislocare cadaveri nella posizione più ottimale per il frame sino ad arrivare sui luoghi del crimine ancora prima della polizia.
Lou dirige il suo “film d’azione” trovandosi di nuovo nel bel mezzo di una sparatoria e un inseguimento in cui Rick perderà la vita e che spudoratamente filma con “una buona inquadratura che attira l’occhio sull’immagine”. Ed è qui che risiede l’orrore più mostruoso di questo personaggio, egli è tutto ciò di mostruoso della cultura americana e non solo. Raggiunge il suo obiettivo perché gli è permesso farlo, nessuno è in grado di fermarlo nemmeno la polizia che ha sospetti fondati su di lui e sa che c’è qualcosa che non va nel suo modus operandi a cui lui replica “se mi vedi, è il giorno peggiore della tua vita”. La parabola finale del nostro eroe lo vede a capo della sua stessa azienda in espansione con tre nuovi assistenti tirocinanti e due veicoli che vagheranno per la città e lucrare sulle sofferenze degli altri, descrivendo perfettamente i rapporti di lavoro sotto il sistema capitalistico e mostrandone la ciclicità. Ci sono coloro che perpetrano il male, c’è chi sfrutta il male e lo vende confezionandola e c’è chi a colazione ne fa uso comodamente da casa davanti la TV. Lou si è autorealizzato, è diventato anch’egli un self made man. Ma a che costo? Nella vita dopo la morte, l’esistenza di Lou è basata sulla menzogna, sul concetto del “fake it till you make it” che continua a perpetrare sui giovani tirocinanti che rischieranno la loro vita per arricchirlo ancora maggiormente. Gilroy è riuscito a delineare all’interno della pellicola l’immaginario vampiresco, nonostante effettivamente non lo fosse davvero: Lou continua ad essere visibile allo specchio, ma proprio lo specchio e il suo riflesso diventano significative in una scena necessaria per il personaggio. L’uomo perde il controllo quando in un momento di realizzazione di sé stesso e della sua situazione si guarda nello specchio e lo distrugge, distruggendo a sua volta, l’immagine di sé stesso. Allo stesso modo egli non compare mai nei suoi stessi filmati è sempre dietro la camera ma presente in essi con le manipolazioni che attua nella messa in scena. Lo spettatore è a disagio difronte a tale decadimento morale e si domanda se Lou abbia davvero raggiunto il sogno americano alla fine del suo percorso. Forse no, perché per raggiungere il suo status ha eliminato scorrettamente la concorrenza e sfruttato chiunque gli è stato intorno o forse si e in questo senso ci si rende complici di un sistema malato ed è il caso di controllare il nostro stesso riflesso allo specchio.