Master MICA - Analisi di "The Lobster"
22/03/2023
Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!
THE LOBSTER
di Chiara Olldashi
The Lobster, distribuito nel 2015, è il primo film in lingua inglese e con un cast internazionale del regista greco Yorgos Lanthimos, già affermato come esponente di spicco della new wave greca, oltre a valergli riconoscimenti internazionali. Tra questi, la candidatura agli Oscar per la miglior sceneggiatura originale e il Premio della Giuria al Festival di Cannes, dove il film è stato presentato fuori concorso.
Nonostante il diverso contesto produttivo, The Lobster mantiene lo stile asettico e minimale, nella recitazione così come nelle scelte estetiche, tipico dei precedenti film di Lanthimos, il quale qui non fa altro che continuare la sua cruda riflessione sulla riflessione sull’organizzazione sociale contemporanea, intesa come una gabbia che soffoca gli individui.
Struttura sociale e azione individuale.
L’analisi prende le mosse dalla grande dicotomia della sociologia classica, ovvero lo scontro tra struttura sociale e azione individuale. In The Lobster, le strutture prese a riferimento sono due, opposte tra loro solo in apparenza perché entrambe incarnano un sistema di norme coercitivo. La prima struttura è rappresentata dall’albergo in cui i single si recano per cercare l’“anima gemella”, nel contesto di uno scenario distopico in cui essere in coppia è una condizione vincolante per la vita in società. La seconda è rappresentata dal gruppo dei “solitari” che tentano di sfuggire a tale imposizione rifugiandosi nel bosco adiacente all’albergo. Ma neanche la scelta di vivere da fuggitivo rientra nell’esercizio del libero arbitrio: chi sceglie questa via deve sottostare a norme altrettanto stringenti, pena punizioni altrettanto dure.
Entrambi i tipi di società prescrivono una precisa visione egemonica di normalità, retta su un sistema che, se disobbedito, porta l’individuo deviante alla condizione di reietto, fino all’atto estremo e conclusivo di trasformarsi in animale nel primo caso o di “scavarsi la fossa” nel secondo.
I due mondi sono indagati attraverso il costante confronto tra i piccoli rituali che li abitano. Uno di questi è il ballo. La direzione dell’albergo organizza periodicamente serate di ballo che, sulle note di canzoni popolari greche e tramite approcci forzosi e imbarazzati, risultano in una rappresentazione grottesca, non diversa da quelle a cui abbiamo assistito nel film Dogthoot (2009). Nel bosco, invece, la leader dei solitari spiega subito al protagonista David che, nel rispetto della regola principale di non intessere alcun tipo di relazione affettiva o sessuale, sono vietati tutti gli approcci equivoci, tra cui i balli di coppia: è permesso ascoltare unicamente la musica elettronica tramite cuffiette personali, rendendo i fuggitivi simili a silenziosi e grotteschi raver fuori dal tempo.
Le regole, in entrambi i mondi, sono illustrate appena vi si mette piede e mirano all’annullamento delle differenze individuali. La persona viene spogliata dei propri elementi identitari, costretta ad indossare una divisa, resa uguale a tutti gli altri, metafora dell’attuale modello politico ed economico che tende all’omologazione degli esseri umani, per una gestione più efficace del cittadino e del consumatore. Norme assolute che non permettono mezze misure. Nella costruzione del profilo, che ci ricorda quella delle contemporanee app di incontri, i single possono scegliere tra due uniche opzioni sia per quanto riguarda questioni importanti come l’orientamento sessuale sia in merito a questioni futili come il numero di scarpa, in una costante operazione di banalizzazione delle differenze individuali.
Ciò emerge anche nel criterio imposto nella scelta del partner: avere qualcosa in comune, esasperando quanto richiesto dalle stesse app, che sia zoppicare, la balbuzie o il titolo di studio. La coppia non nasce da un sentimento condiviso, ma da una caratteristica facilmente riconoscibile. Questo rimanda all’efficienza tipica della società neoliberista e altamente burocratica che vince sull’amore, neutralizzato e mortificato nella distruzione della spontaneità.
Anche nella società dei “solitari” l’amore viene mortificato, anzi addirittura negato. Qui il divieto di avere relazioni rappresenta l’altra faccia rispetto all’imposizione della vita di coppia.
La paura della punizione regge entrambe le strutture sociali e porta al conformismo in un meccanismo ben illustrato alcuni decenni fa dal filosofo francese Michel Foucault. Qui ci interessano due concetti del suo pensiero, ancora vivi e gravidi nel dibattito politico e sociale contemporaneo.
Il primo è il concetto di panopticon, l’occhio che vede tutto senza essere visto, metafora di una società iper-sorvegliata e iper-sorvegliante che monitora i suoi cittadini, i quali, non sapendo in quale momento si trovino sotto osservazione, interiorizzano l’occhio altrui e si comportano come se fossero sempre sotto sorveglianza, in definitiva praticando una costante auto-sorveglianza.
In The Lobster la sorveglianza non si esercita solo da parte dell’autorità – la direzione dell’albergo, la leader dei solitari, il potere poliziesco nella città – ma anche da parte dei pari, pronti a denunciare il mancato rispetto delle regole, dando luogo a rapporti personali retti sulla paranoia.
Non possiamo evitare di chiederci quanto questa sorveglianza, e l’interiorizzazione delle norme che produce, sia in grado di permeare e condizionare la nostra vita quotidiana nello spazio fisico della città, ormai un reticolato di telecamere di sorveglianza, e sempre più negli spazi virtuali dei social network. Qui il desiderio di essere visti e di essere approvati portano a comportamenti di conformismo, con un risultato opposto a quell’apertura democratica all’origine auspicata, e a un monitoraggio degli spostamenti e degli atteggiamenti dell’utente che egli stesso contribuisce a diffondere.
L’altro concetto, quello di biopolitica, si riferisce a un contesto tutt’altro che distopico ma già presente nella società tardo-capitalista e intensificatosi fino ad oggi, dove le scelte personali, identitarie, sessuali dell’individuo sono disciplinate da un potere brutalmente amministrativo-burocratico che mira a evitare comportamenti devianti al fine di non creare una crepa nel sistema che possa mettere in crisi l’efficienza della macchina. Messa in crisi che per Foucault è solo parziale e transitoria perché a un sistema di regole che cede ce n’è sempre uno più efficiente che lo sostituisce. Un sistema di regole che è tanto più efficiente quanto più per l’individuo è necessario e vantaggioso accettarlo e farvi parte.
Così in The Lobster per gli ospiti dell’albergo è più vantaggioso fingere di avere “qualcosa in comune” con qualcuno, fino a ferirsi da soli, per poter vivere nella società ed evitare la trasformazione in animale, intesa come la negazione di quella società, l’unica legalmente possibile, e come negazione del proprio corpo, corpo su cui la società neoliberale ha un potere crescente.
Il selvaggio contemporaneo.
Come ci insegna Foucault, in ogni società la disattenzione alla norma porta a sanzioni, che normalmente consistono nella disapprovazione sociale, ma nel mondo estremo e distopico di Lanthimos si configurano come una versione contemporanea della legge del taglione. Ad esempio, nell’albergo quando viene infranto il divieto di masturbarsi, al colpevole malcapitato viene inserita la mano nel tostapane. Oppure, nel bosco, il flirt tra solitari viene punito cucendo loro le labbra, pena definita “il bacio rosso”. Entrambe le punizioni sono pubbliche, mirando alla pubblica umiliazione dell’individuo, già così parzialmente trasformato in bestia, e confidando nel potere dell’esempio.
Osservando la società disegnata da The Lobster, siamo portati a domandarci da quanto tempo le cose siano così, quando si è arrivati a questa condizione di normalità, cosa l’ha determinata e cosa c’era prima. Il costante motivo della natura, dell’animale e del selvaggio, ci fa immaginare che sia sempre stato così. È come essere immersi in una sorta di pre-istoria, prima della storia, dove gli elementi di civiltà non hanno un peso specifico. Qualsiasi appiglio spaziale o temporale è superfluo, come se ogni società in quanto insieme organizzato di individui contenga il seme per una deriva tale, e quindi ciò vale per entrambi i modelli sociali che qui abbiamo analizzato e stigmatizzato.
L’elemento della natura e del selvaggio non rappresentano una fuga dalla società e dalla civiltà come è di solito, non è una terza via, ma intende rimandare a un altro importante tema del film: il ritorno a un primordiale stato di natura, visto non tanto in senso deterministico e storicistico, quanto come un elemento insito in ogni tipo di organizzazione sociale, indistintamente retta dalla legge della sopravvivenza: vince il più forte e perisce il più debole. Questo è emblematicamente raffigurato dall’attività della caccia, cui gli ospiti dell’albergo sono costretti a dedicarsi ogni giorno: per ogni solitario che riescono viene aggiunto un giorno più di permanenza nella struttura. Come animali braccati, i solitari ogni giorno sono costretti a fuggire, a mimetizzarsi, pronti a difendersi con proprie armi in una guerra, appunto, per la sopravvivenza.
La versione attualizzata dello stato di natura regolato dalla legge della sopravvivenza è lo stato capitalista che delinea una società altamente competitiva in cui è necessario e talora vitale prevalere sull’altro, facendo emerge gli aspetti più primitivi della natura umana in una moderna accezione del concetto di homo homini lupus. Tale condizione porta gli individui a rapportarsi tra loro attraverso la sfida e l’inganno, generando un diffuso clima di diffidenza, in cui la soluzione più rassicurante sembra proprio quella di affidarsi alle regole. In questo senso la trasformazione in animale è una metafora dell’uomo ridotto dalla società a un essere addomesticato, inseguito, privato del libero arbitrio ma anche della coscienza e dell’intelligenza, oltre che del diritto di cittadinanza nella civiltà.
Il ruolo del linguaggio.
Il linguaggio è assunto come un altro elemento cardine per la riflessione sui modi di assoggettamento dell’individuo. Il concetto fondamentale qui è quello di egemonia, intesa in senso gramsciano: una minoranza dominante per mezzi politici o culturali riesce a imporre a una maggioranza, priva di tali mezzi, il proprio sistema di idee (o ideologia) attraverso pratiche quotidiane fino all’interiorizzazione di tale sistema, creando i presupposti per un sistema di controllo che è culturale prima che politico. Secondo lo psicanalista e filosofo Jacques Lacan è impossibile uscire da questa gabbia ideologica, e quindi dal dominio di un determinato gruppo sociale, perché è impossibile uscire dal linguaggio, inteso come un sistema di precetti che influenza la nostra definizione del mondo ma anche dell’io sin da quando iniziamo a parlare.
The Lobster inscena, attraverso la parabola del protagonista, un gioco continuo fatto di tentativi falliti, di resistenze e cedimenti, a questo sistema. David si innamora, ricambiato, di un membro dei solitari: un amore spontaneo ma che vede i due, come gli altri, aver interiorizzato le norme sociali tanto da sentire di dover ribadire di avere un elemento in comune, la miopia. Al fine di non essere scoperti, i due costruiscono un personale modo di comunicare basato su gesti, sempre più articolati tanto che “nel giro di poche settimane possiamo parlare di tutto senza fiatare” dice lei. Così facendo creano una sorta di cortocircuito, e fanno sperare che il linguaggio non verbale possa rappresentare la loro personale via dal controllo sociale. Ma sono presto smentiti. Scoperta dalla leader dei solitari, la donna-miope viene resa cieca con l’inganno. Ciò toglie alla coppia sia l’elemento in comune sia la possibilità di comunicare con il proprio linguaggio di gesti, che rappresentava l’unica scelta autonoma dei due: ancora una volta, non si può deviare nella società.
Un altro aspetto interessante riguarda la musica. Se nel dialogo c’è una totale assenza di pathos, è la musica l’elemento che conferisce tensione drammatica (e grottesca) al racconto, è la musica a farsi linguaggio. Le scelte musicali ribadiscono la dicotomia tra il mondo tradizionale e istituzionale dell’albergo, dove si ascoltano canzoni popolari greche, e il mondo apparentemente anarchico dei solitari che impongono “ascoltiamo solo musica elettronica”.
Una canzone popolare greca torna nella scena finale del film proseguendo nei titoli di coda: la canzone, dal titolo S’agapo (Ti amo), accompagna un finale aperto, proponendo un’interpretazione. David davanti allo specchio della tavola calda, munito di coltello, deve decidere se rendersi cieco come la donna amata o meno, ma il regista non arriva a mostrarcelo con l’immagine. Ma il fatto che si tratti di una canzone popolare greca simili a quelle sentite nell’albergo ci suggerisce un ritorno del protagonista a quell’insieme di regole ormai interiorizzate, e in ultima istanza ci conferma il fallimento di ogni proposito di ribellione. Non arriviamo a capire fin dove siamo disposti a spingerci per amore.
Per concludere.
The Lobster sviluppa un’operazione di rilettura delle dinamiche relazionali allo scopo di riflettere sui due grandi modelli sociali occidentali della contemporaneità, ormai non più alternativi ma fusi tra loro in una miscela perversa, mettendone in luce gli elementi più degenerati nella maniera iperbolica e lirica tipica di Lanthimos.
Da un lato, il modello economico dominante, il neoliberalismo, basato su un individualismo estremo, che richiede individui altamente inquadrati per funzionare. Dall’altro, il sistema dello stato sociale odierno, inserito in un contesto ben diverso rispetto a quello in cui si è formato, che premia la famiglia come unità base destinataria delle politiche sociali ed economiche dei governi occidentali, mentre penalizza il singolo. Di fronte ad aspettative sociali altamente esigenti – realizzarsi come individuo consumatore e produttore e al tempo stesso creare una famiglia virtuosamente inserita nella comunità – le scelte e desideri individuali sono soffocati, repressi e annullati.
Tutto ciò evoca una contraddizione esplosa soprattutto dopo la crisi economica del 2008, con il suo impatto particolarmente violento proprio in Grecia: lo Stato che chiede ai suoi cittadini di creare una famiglia, comprare una casa e contribuire al modello burocratico ed economico nazionale, è lo stesso che si è dimostrato incapace di garantire loro i mezzi per raggiungere l’obiettivo e che per questo tende a emarginarli.
Ma è anche un film che riflette sulla solitudine e non può che ammettere che essere soli è una condanna. Dice la voice over, prima di incarnarsi nella donna-miope e tacere, riguardo il protagonista appena giunto nel bosco: “ancora non sapeva che sofferenza fosse essere soli […] e non riuscire a mettersi la pomata per la schiena dolorante e continuare a soffrire”.
THE LOBSTER
di Chiara Olldashi
The Lobster, distribuito nel 2015, è il primo film in lingua inglese e con un cast internazionale del regista greco Yorgos Lanthimos, già affermato come esponente di spicco della new wave greca, oltre a valergli riconoscimenti internazionali. Tra questi, la candidatura agli Oscar per la miglior sceneggiatura originale e il Premio della Giuria al Festival di Cannes, dove il film è stato presentato fuori concorso.
Nonostante il diverso contesto produttivo, The Lobster mantiene lo stile asettico e minimale, nella recitazione così come nelle scelte estetiche, tipico dei precedenti film di Lanthimos, il quale qui non fa altro che continuare la sua cruda riflessione sulla riflessione sull’organizzazione sociale contemporanea, intesa come una gabbia che soffoca gli individui.
Struttura sociale e azione individuale.
L’analisi prende le mosse dalla grande dicotomia della sociologia classica, ovvero lo scontro tra struttura sociale e azione individuale. In The Lobster, le strutture prese a riferimento sono due, opposte tra loro solo in apparenza perché entrambe incarnano un sistema di norme coercitivo. La prima struttura è rappresentata dall’albergo in cui i single si recano per cercare l’“anima gemella”, nel contesto di uno scenario distopico in cui essere in coppia è una condizione vincolante per la vita in società. La seconda è rappresentata dal gruppo dei “solitari” che tentano di sfuggire a tale imposizione rifugiandosi nel bosco adiacente all’albergo. Ma neanche la scelta di vivere da fuggitivo rientra nell’esercizio del libero arbitrio: chi sceglie questa via deve sottostare a norme altrettanto stringenti, pena punizioni altrettanto dure.
Entrambi i tipi di società prescrivono una precisa visione egemonica di normalità, retta su un sistema che, se disobbedito, porta l’individuo deviante alla condizione di reietto, fino all’atto estremo e conclusivo di trasformarsi in animale nel primo caso o di “scavarsi la fossa” nel secondo.
I due mondi sono indagati attraverso il costante confronto tra i piccoli rituali che li abitano. Uno di questi è il ballo. La direzione dell’albergo organizza periodicamente serate di ballo che, sulle note di canzoni popolari greche e tramite approcci forzosi e imbarazzati, risultano in una rappresentazione grottesca, non diversa da quelle a cui abbiamo assistito nel film Dogthoot (2009). Nel bosco, invece, la leader dei solitari spiega subito al protagonista David che, nel rispetto della regola principale di non intessere alcun tipo di relazione affettiva o sessuale, sono vietati tutti gli approcci equivoci, tra cui i balli di coppia: è permesso ascoltare unicamente la musica elettronica tramite cuffiette personali, rendendo i fuggitivi simili a silenziosi e grotteschi raver fuori dal tempo.
Le regole, in entrambi i mondi, sono illustrate appena vi si mette piede e mirano all’annullamento delle differenze individuali. La persona viene spogliata dei propri elementi identitari, costretta ad indossare una divisa, resa uguale a tutti gli altri, metafora dell’attuale modello politico ed economico che tende all’omologazione degli esseri umani, per una gestione più efficace del cittadino e del consumatore. Norme assolute che non permettono mezze misure. Nella costruzione del profilo, che ci ricorda quella delle contemporanee app di incontri, i single possono scegliere tra due uniche opzioni sia per quanto riguarda questioni importanti come l’orientamento sessuale sia in merito a questioni futili come il numero di scarpa, in una costante operazione di banalizzazione delle differenze individuali.
Ciò emerge anche nel criterio imposto nella scelta del partner: avere qualcosa in comune, esasperando quanto richiesto dalle stesse app, che sia zoppicare, la balbuzie o il titolo di studio. La coppia non nasce da un sentimento condiviso, ma da una caratteristica facilmente riconoscibile. Questo rimanda all’efficienza tipica della società neoliberista e altamente burocratica che vince sull’amore, neutralizzato e mortificato nella distruzione della spontaneità.
Anche nella società dei “solitari” l’amore viene mortificato, anzi addirittura negato. Qui il divieto di avere relazioni rappresenta l’altra faccia rispetto all’imposizione della vita di coppia.
La paura della punizione regge entrambe le strutture sociali e porta al conformismo in un meccanismo ben illustrato alcuni decenni fa dal filosofo francese Michel Foucault. Qui ci interessano due concetti del suo pensiero, ancora vivi e gravidi nel dibattito politico e sociale contemporaneo.
Il primo è il concetto di panopticon, l’occhio che vede tutto senza essere visto, metafora di una società iper-sorvegliata e iper-sorvegliante che monitora i suoi cittadini, i quali, non sapendo in quale momento si trovino sotto osservazione, interiorizzano l’occhio altrui e si comportano come se fossero sempre sotto sorveglianza, in definitiva praticando una costante auto-sorveglianza.
In The Lobster la sorveglianza non si esercita solo da parte dell’autorità – la direzione dell’albergo, la leader dei solitari, il potere poliziesco nella città – ma anche da parte dei pari, pronti a denunciare il mancato rispetto delle regole, dando luogo a rapporti personali retti sulla paranoia.
Non possiamo evitare di chiederci quanto questa sorveglianza, e l’interiorizzazione delle norme che produce, sia in grado di permeare e condizionare la nostra vita quotidiana nello spazio fisico della città, ormai un reticolato di telecamere di sorveglianza, e sempre più negli spazi virtuali dei social network. Qui il desiderio di essere visti e di essere approvati portano a comportamenti di conformismo, con un risultato opposto a quell’apertura democratica all’origine auspicata, e a un monitoraggio degli spostamenti e degli atteggiamenti dell’utente che egli stesso contribuisce a diffondere.
L’altro concetto, quello di biopolitica, si riferisce a un contesto tutt’altro che distopico ma già presente nella società tardo-capitalista e intensificatosi fino ad oggi, dove le scelte personali, identitarie, sessuali dell’individuo sono disciplinate da un potere brutalmente amministrativo-burocratico che mira a evitare comportamenti devianti al fine di non creare una crepa nel sistema che possa mettere in crisi l’efficienza della macchina. Messa in crisi che per Foucault è solo parziale e transitoria perché a un sistema di regole che cede ce n’è sempre uno più efficiente che lo sostituisce. Un sistema di regole che è tanto più efficiente quanto più per l’individuo è necessario e vantaggioso accettarlo e farvi parte.
Così in The Lobster per gli ospiti dell’albergo è più vantaggioso fingere di avere “qualcosa in comune” con qualcuno, fino a ferirsi da soli, per poter vivere nella società ed evitare la trasformazione in animale, intesa come la negazione di quella società, l’unica legalmente possibile, e come negazione del proprio corpo, corpo su cui la società neoliberale ha un potere crescente.
Il selvaggio contemporaneo.
Come ci insegna Foucault, in ogni società la disattenzione alla norma porta a sanzioni, che normalmente consistono nella disapprovazione sociale, ma nel mondo estremo e distopico di Lanthimos si configurano come una versione contemporanea della legge del taglione. Ad esempio, nell’albergo quando viene infranto il divieto di masturbarsi, al colpevole malcapitato viene inserita la mano nel tostapane. Oppure, nel bosco, il flirt tra solitari viene punito cucendo loro le labbra, pena definita “il bacio rosso”. Entrambe le punizioni sono pubbliche, mirando alla pubblica umiliazione dell’individuo, già così parzialmente trasformato in bestia, e confidando nel potere dell’esempio.
Osservando la società disegnata da The Lobster, siamo portati a domandarci da quanto tempo le cose siano così, quando si è arrivati a questa condizione di normalità, cosa l’ha determinata e cosa c’era prima. Il costante motivo della natura, dell’animale e del selvaggio, ci fa immaginare che sia sempre stato così. È come essere immersi in una sorta di pre-istoria, prima della storia, dove gli elementi di civiltà non hanno un peso specifico. Qualsiasi appiglio spaziale o temporale è superfluo, come se ogni società in quanto insieme organizzato di individui contenga il seme per una deriva tale, e quindi ciò vale per entrambi i modelli sociali che qui abbiamo analizzato e stigmatizzato.
L’elemento della natura e del selvaggio non rappresentano una fuga dalla società e dalla civiltà come è di solito, non è una terza via, ma intende rimandare a un altro importante tema del film: il ritorno a un primordiale stato di natura, visto non tanto in senso deterministico e storicistico, quanto come un elemento insito in ogni tipo di organizzazione sociale, indistintamente retta dalla legge della sopravvivenza: vince il più forte e perisce il più debole. Questo è emblematicamente raffigurato dall’attività della caccia, cui gli ospiti dell’albergo sono costretti a dedicarsi ogni giorno: per ogni solitario che riescono viene aggiunto un giorno più di permanenza nella struttura. Come animali braccati, i solitari ogni giorno sono costretti a fuggire, a mimetizzarsi, pronti a difendersi con proprie armi in una guerra, appunto, per la sopravvivenza.
La versione attualizzata dello stato di natura regolato dalla legge della sopravvivenza è lo stato capitalista che delinea una società altamente competitiva in cui è necessario e talora vitale prevalere sull’altro, facendo emerge gli aspetti più primitivi della natura umana in una moderna accezione del concetto di homo homini lupus. Tale condizione porta gli individui a rapportarsi tra loro attraverso la sfida e l’inganno, generando un diffuso clima di diffidenza, in cui la soluzione più rassicurante sembra proprio quella di affidarsi alle regole. In questo senso la trasformazione in animale è una metafora dell’uomo ridotto dalla società a un essere addomesticato, inseguito, privato del libero arbitrio ma anche della coscienza e dell’intelligenza, oltre che del diritto di cittadinanza nella civiltà.
Il ruolo del linguaggio.
Il linguaggio è assunto come un altro elemento cardine per la riflessione sui modi di assoggettamento dell’individuo. Il concetto fondamentale qui è quello di egemonia, intesa in senso gramsciano: una minoranza dominante per mezzi politici o culturali riesce a imporre a una maggioranza, priva di tali mezzi, il proprio sistema di idee (o ideologia) attraverso pratiche quotidiane fino all’interiorizzazione di tale sistema, creando i presupposti per un sistema di controllo che è culturale prima che politico. Secondo lo psicanalista e filosofo Jacques Lacan è impossibile uscire da questa gabbia ideologica, e quindi dal dominio di un determinato gruppo sociale, perché è impossibile uscire dal linguaggio, inteso come un sistema di precetti che influenza la nostra definizione del mondo ma anche dell’io sin da quando iniziamo a parlare.
The Lobster inscena, attraverso la parabola del protagonista, un gioco continuo fatto di tentativi falliti, di resistenze e cedimenti, a questo sistema. David si innamora, ricambiato, di un membro dei solitari: un amore spontaneo ma che vede i due, come gli altri, aver interiorizzato le norme sociali tanto da sentire di dover ribadire di avere un elemento in comune, la miopia. Al fine di non essere scoperti, i due costruiscono un personale modo di comunicare basato su gesti, sempre più articolati tanto che “nel giro di poche settimane possiamo parlare di tutto senza fiatare” dice lei. Così facendo creano una sorta di cortocircuito, e fanno sperare che il linguaggio non verbale possa rappresentare la loro personale via dal controllo sociale. Ma sono presto smentiti. Scoperta dalla leader dei solitari, la donna-miope viene resa cieca con l’inganno. Ciò toglie alla coppia sia l’elemento in comune sia la possibilità di comunicare con il proprio linguaggio di gesti, che rappresentava l’unica scelta autonoma dei due: ancora una volta, non si può deviare nella società.
Un altro aspetto interessante riguarda la musica. Se nel dialogo c’è una totale assenza di pathos, è la musica l’elemento che conferisce tensione drammatica (e grottesca) al racconto, è la musica a farsi linguaggio. Le scelte musicali ribadiscono la dicotomia tra il mondo tradizionale e istituzionale dell’albergo, dove si ascoltano canzoni popolari greche, e il mondo apparentemente anarchico dei solitari che impongono “ascoltiamo solo musica elettronica”.
Una canzone popolare greca torna nella scena finale del film proseguendo nei titoli di coda: la canzone, dal titolo S’agapo (Ti amo), accompagna un finale aperto, proponendo un’interpretazione. David davanti allo specchio della tavola calda, munito di coltello, deve decidere se rendersi cieco come la donna amata o meno, ma il regista non arriva a mostrarcelo con l’immagine. Ma il fatto che si tratti di una canzone popolare greca simili a quelle sentite nell’albergo ci suggerisce un ritorno del protagonista a quell’insieme di regole ormai interiorizzate, e in ultima istanza ci conferma il fallimento di ogni proposito di ribellione. Non arriviamo a capire fin dove siamo disposti a spingerci per amore.
Per concludere.
The Lobster sviluppa un’operazione di rilettura delle dinamiche relazionali allo scopo di riflettere sui due grandi modelli sociali occidentali della contemporaneità, ormai non più alternativi ma fusi tra loro in una miscela perversa, mettendone in luce gli elementi più degenerati nella maniera iperbolica e lirica tipica di Lanthimos.
Da un lato, il modello economico dominante, il neoliberalismo, basato su un individualismo estremo, che richiede individui altamente inquadrati per funzionare. Dall’altro, il sistema dello stato sociale odierno, inserito in un contesto ben diverso rispetto a quello in cui si è formato, che premia la famiglia come unità base destinataria delle politiche sociali ed economiche dei governi occidentali, mentre penalizza il singolo. Di fronte ad aspettative sociali altamente esigenti – realizzarsi come individuo consumatore e produttore e al tempo stesso creare una famiglia virtuosamente inserita nella comunità – le scelte e desideri individuali sono soffocati, repressi e annullati.
Tutto ciò evoca una contraddizione esplosa soprattutto dopo la crisi economica del 2008, con il suo impatto particolarmente violento proprio in Grecia: lo Stato che chiede ai suoi cittadini di creare una famiglia, comprare una casa e contribuire al modello burocratico ed economico nazionale, è lo stesso che si è dimostrato incapace di garantire loro i mezzi per raggiungere l’obiettivo e che per questo tende a emarginarli.
Ma è anche un film che riflette sulla solitudine e non può che ammettere che essere soli è una condanna. Dice la voice over, prima di incarnarsi nella donna-miope e tacere, riguardo il protagonista appena giunto nel bosco: “ancora non sapeva che sofferenza fosse essere soli […] e non riuscire a mettersi la pomata per la schiena dolorante e continuare a soffrire”.