Master MICA - Analisi di "WandaVision"
22/03/2024
Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!
WANDAVISION: WANDA&VISION O WANDA’S VISION?
di Gloria Dentella
La fantasia. Questa è la scappatoia che la piccola Wanda Maximoff scopre guardando la prima sitcom della sua vita. Il mondo reale ferisce? Sì, ma forse non è l’unico in cui vivere.
Nel 2021, la miniserie WandaVision aggiunge un tassello all’immenso puzzle del Marvel Cinematic Universe; eppure, è proprio la sua capacità di prendere le distanze da esso a permetterle di ricevere il plauso sia della critica che del pubblico. Ad aprire le porte alle tematiche centrali è innanzitutto il titolo stesso. L'espressione WandaVision, infatti, non si limita ad essere composta dai nomi dei personaggi principali, ma suggerisce un secondo livello interpretativo, che richiama la struttura grammaticale del genitivo sassone: Wanda’s vision, la visione di Wanda. A partire dunque da questi due termini chiave, la seguente analisi intende esplorare come la miniserie metta in scena il mondo contemporaneo ed inviti lo spettatore a non chiudere gli occhi di fronte a qualcosa che, forse, lo coinvolge più di quanto sembri.
La magia della visione: un viaggio nel tempo di fughe dalla realtà
Cominciando dal concetto della visione, esso domina tanto la forma quanto il contenuto della miniserie: il focus sullo sguardo non solo viene tematizzato tramite la sitcom creata dalla protagonista, ma costituisce un punto cardine del processo di realizzazione delle singole puntate. Per ciascuno dei decenni percorsi da WandaVision, vengono selezionati differenti formati, lenti ed effetti speciali, dando origine ad un viaggio nel tempo attraverso l’evoluzione dell’estetica televisivo-cinematografica. Tuttavia, il termine visione racchiude anche un altro significato. Un’apparizione, uno spettacolo incredibile, ma soprattutto un’allucinazione: da alucinari, ingannarsi, essere fuori di sé, perdere la coscienza. In parte trucco di magia, in parte fenomeno psichico. È all’incrocio tra le due accezioni del vocabolo che WandaVision va a collocarsi: guidando il pubblico nella scoperta di molteplici forme di visione e ricostruendo il loro sviluppo cronologico, la serie mostra come tali forme abbiano pervaso la vita dell’individuo, svolgendo sempre meno un ruolo puramente intrattenitivo e fungendo sempre più da effettiva via di fuga dalla realtà.
L’esempio più lampante di un confine sempre meno definito fra il mondo interno allo schermo e quello esterno ad esso è rappresentato dal personaggio di Wanda. Sin dal principio, infatti, la visione di programmi televisivi accompagna l’esperienza della protagonista, ed in particolare i momenti traumatici del suo passato; l’atto della visione assume allora una funzione quasi catartica, trasformandosi in un espediente per evadere dagli orrori della realtà tangibile e rifugiarsi in una realtà immaginaria. Nel presente, l’anomalia di Westview simboleggia il culmine del processo descritto: dopo la morte di Visione, la disperazione per Wanda diventa talmente insostenibile da indurla a generare una “realtà nella realtà”, cucita su misura per sé. Ed ecco che Westview si configura come una metafora dell’atto della visione al giorno d’oggi, caratterizzato da un rapporto tra l’essere umano e lo schermo (anzi, gli schermi) sempre più radicato, soggettivo e disintermediato: difatti, per via delle alternative offerte dal digitale, attualmente esistono infinite opportunità per l’individuo di plasmare un proprio spazio sicuro, personalizzato e personalizzabile.
A sostegno di tale interpretazione concorrono svariati elementi: in primo luogo, notiamo il perimetro magico della città, il quale appare come un’imponente barriera di pixel; in secondo luogo, è possibile rintracciare un’analogia strutturale fra Westview ed Internet per quanto riguarda la variabilità nelle prestazioni, dovuta alla connessione con un nucleo energetico. Oltre a ciò, va ricordato che gli avvenimenti che si verificano nell’area interessata dall’anomalia vengono trasmessi in diretta da una sitcom, che Wanda crea traendo ispirazione da sitcom effettive che nel tempo le hanno concesso di mettere da parte i propri tormenti; dunque, Westview altro non è che la concretizzazione di una tendenza psicologica che la protagonista ha da sempre manifestato: la tendenza a colmare un vuoto reale per mezzo di un rimedio un po’ meno reale.
Ad avvalorare la tesi di WandaVision come allegoria della relazione fra l’essere umano e gli schermi contribuiscono gli spot pubblicitari, i quali pongono ancora una volta il focus sulla visione e ripercorrono il suo passaggio da fonte di intrattenimento indifferenziata ed occasionale a realtà surrogata personale e perennemente accessibile. Va inoltre sottolineato che l’assenza di spot in tre puntate è tanto indicativa quanto la loro presenza nelle altre sei. Le puntate 4, 8 e 9 risultano difatti ambientate nella realtà odierna, della quale rispecchiano le tendenze: in un panorama dai confini sfumati come quello contemporaneo, anche le forme della comunicazione pubblicitaria prendono le distanze dalla classica logica di interruzione per accostarsi ad una progressiva integrazione con il contesto e ad un contatto diretto con il pubblico. Non è un caso che dalla puntata 4 in avanti il product placement si concentri su vari dispositivi tecnologici dotati di schermo; tutti quei dispositivi ora indispensabili per l’essere umano. In quanto primo capitolo collocabile nella contemporaneità, l’episodio 4 permette di aprire un varco nel muro tra finzione e realtà; un muro che, sia nell’universo di WandaVision sia nel nostro, ogni giorno vacilla un po’ di più.
L'identità contemporanea: dal tema del doppio al multiverso
Se si sposta l’attenzione sul secondo elemento che costruisce il titolo della miniserie, ecco che emerge l’altra questione chiave: Wanda, il soggetto. Il tema dell’identità e quello della visione si intersecano costantemente, presentando due linee di sviluppo simmetriche e quindi i medesimi punti (e spunti) cruciali. Come avviene per la tematica dello sguardo, anche quella dell’identità viene affrontata tramite i differenti decenni rappresentati: in principio, la figura di Wanda viene tratteggiata secondo la tradizionale concezione di ideale femminile; successivamente, viene dato spazio sia alla natura di supereroina della protagonista sia al suo profilo psicologico. Di nuovo, gli spot pubblicitari affiancano la narrazione, mettendo in scena prima una classica donna-casalinga e perfino una donna-accessorio, per poi passare ad includere il marito nelle faccende domestiche e arrivare a toccare il delicato argomento della salute mentale attraverso una figura femminile.
Al ritratto della protagonista manca tuttavia una componente fondamentale, ovvero la passione per le sitcom: ecco allora il punto di congiunzione fra il tema dell’identità ed il tema della visione. La tendenza a cancellare i margini tra finzione e realtà, caratteristico da un lato della protagonista e dall’altro dell’atto della visione odierna, porta Wanda e la sua trasmissione ad incarnare il dilemma contemporaneo della crisi d’identità; una crisi andata intensificandosi con l’aumento del numero di schermi a disposizione. Il fenomeno dell’evasione dal mondo concreto per rifugiarsi in uno immaginario, infatti, provoca uno sdoppiamento del soggetto, il quale si ritrova in bilico fra due versioni di se stesso: la versione fisica, ancorata alla realtà esterna e di essa consapevole, e la versione astratta, una proiezione interiore nata per trasportare la coscienza verso una realtà surrogata; maggiore è l’attaccamento emotivo dell’individuo a tale realtà surrogata, maggiori sono i meccanismi psicologici adottati inconsciamente al fine di autoconvincersi che la variante immaginaria di sé sia quella principale.
Nel caso di WandaVision, il fenomeno si esprime nella protagonista con un’insistenza sempre maggiore: in origine, si manifesta nella forma dei programmi televisivi che Wanda adopera come distrazione; dopodiché, il processo assume i tratti di una dissociazione cognitiva e raggiunge il proprio apice con Westview, un microcosmo alternativo. Lo sdoppiamento viene simboleggiato dal confronto tra le due versioni di Visione: oltre ad includere un riferimento al paradosso della nave di Teseo, il dialogo fra loro costituisce una dichiarazione di crisi identitaria che non lascia spazio a dubbi. La miniserie si avvicina quindi sempre più all’intramontabile tema del doppio, il quale viene messo ulteriormente in luce tramite il personaggio di Agatha Harkness ed il parallelismo che si delinea tra lei e Wanda per via delle straordinarie ma incontrollabili capacità magiche; tale parallelismo viene sottolineato dalla presenza della doppia sigla nel terzultimo episodio.
Con l’ultima puntata di WandaVision e l’allacciamento a Doctor Strange nel Multiverso della Follia, il tema del doppio va incontro ad una trasformazione che, in armonia con la trasformazione di Wanda in Scarlet Witch, ancora una volta ne rispecchia una effettivamente in atto nel mondo contemporaneo. Se in passato il singolo schermo conduceva ad uno sdoppiamento dell’identità, nel presente gli schermi sono più numerosi e diversificati: di conseguenza, attualmente risulta più corretto parlare di frammentazione dell’identità, in quanto le versioni di sé disponibili sono potenzialmente infinite ed estremamente eterogenee. Così, Scarlet Witch e l’intero multiverso altro non sono che un’allegoria dell’universo digitale, con le sue qualità ed i suoi pericoli: da un lato, il miraggio di una realtà virtuale che ci promette la conquista della versione migliore di noi stessi ed il dominio sul tempo e sullo spazio; dall’altro lato, il rischio di perdere di vista la nostra versione forse più imperfetta ma anche più umana. Forse, anche se il mondo reale ferisce, è l’unico in cui valga la pena vivere e, forse, come dice Visione “Cos’è il dolore, se non amore perseverante?”
Taylor Swift
WANDAVISION: WANDA&VISION O WANDA’S VISION?
di Gloria Dentella
“Did you ever hear about the girl who got frozen?
Time went on for everybody else, she won’t know it
She’s still 23 inside her fantasy
How it was supposed to be”
Taylor Swift
La fantasia. Questa è la scappatoia che la piccola Wanda Maximoff scopre guardando la prima sitcom della sua vita. Il mondo reale ferisce? Sì, ma forse non è l’unico in cui vivere.
Nel 2021, la miniserie WandaVision aggiunge un tassello all’immenso puzzle del Marvel Cinematic Universe; eppure, è proprio la sua capacità di prendere le distanze da esso a permetterle di ricevere il plauso sia della critica che del pubblico. Ad aprire le porte alle tematiche centrali è innanzitutto il titolo stesso. L'espressione WandaVision, infatti, non si limita ad essere composta dai nomi dei personaggi principali, ma suggerisce un secondo livello interpretativo, che richiama la struttura grammaticale del genitivo sassone: Wanda’s vision, la visione di Wanda. A partire dunque da questi due termini chiave, la seguente analisi intende esplorare come la miniserie metta in scena il mondo contemporaneo ed inviti lo spettatore a non chiudere gli occhi di fronte a qualcosa che, forse, lo coinvolge più di quanto sembri.
La magia della visione: un viaggio nel tempo di fughe dalla realtà
Cominciando dal concetto della visione, esso domina tanto la forma quanto il contenuto della miniserie: il focus sullo sguardo non solo viene tematizzato tramite la sitcom creata dalla protagonista, ma costituisce un punto cardine del processo di realizzazione delle singole puntate. Per ciascuno dei decenni percorsi da WandaVision, vengono selezionati differenti formati, lenti ed effetti speciali, dando origine ad un viaggio nel tempo attraverso l’evoluzione dell’estetica televisivo-cinematografica. Tuttavia, il termine visione racchiude anche un altro significato. Un’apparizione, uno spettacolo incredibile, ma soprattutto un’allucinazione: da alucinari, ingannarsi, essere fuori di sé, perdere la coscienza. In parte trucco di magia, in parte fenomeno psichico. È all’incrocio tra le due accezioni del vocabolo che WandaVision va a collocarsi: guidando il pubblico nella scoperta di molteplici forme di visione e ricostruendo il loro sviluppo cronologico, la serie mostra come tali forme abbiano pervaso la vita dell’individuo, svolgendo sempre meno un ruolo puramente intrattenitivo e fungendo sempre più da effettiva via di fuga dalla realtà.
L’esempio più lampante di un confine sempre meno definito fra il mondo interno allo schermo e quello esterno ad esso è rappresentato dal personaggio di Wanda. Sin dal principio, infatti, la visione di programmi televisivi accompagna l’esperienza della protagonista, ed in particolare i momenti traumatici del suo passato; l’atto della visione assume allora una funzione quasi catartica, trasformandosi in un espediente per evadere dagli orrori della realtà tangibile e rifugiarsi in una realtà immaginaria. Nel presente, l’anomalia di Westview simboleggia il culmine del processo descritto: dopo la morte di Visione, la disperazione per Wanda diventa talmente insostenibile da indurla a generare una “realtà nella realtà”, cucita su misura per sé. Ed ecco che Westview si configura come una metafora dell’atto della visione al giorno d’oggi, caratterizzato da un rapporto tra l’essere umano e lo schermo (anzi, gli schermi) sempre più radicato, soggettivo e disintermediato: difatti, per via delle alternative offerte dal digitale, attualmente esistono infinite opportunità per l’individuo di plasmare un proprio spazio sicuro, personalizzato e personalizzabile.
A sostegno di tale interpretazione concorrono svariati elementi: in primo luogo, notiamo il perimetro magico della città, il quale appare come un’imponente barriera di pixel; in secondo luogo, è possibile rintracciare un’analogia strutturale fra Westview ed Internet per quanto riguarda la variabilità nelle prestazioni, dovuta alla connessione con un nucleo energetico. Oltre a ciò, va ricordato che gli avvenimenti che si verificano nell’area interessata dall’anomalia vengono trasmessi in diretta da una sitcom, che Wanda crea traendo ispirazione da sitcom effettive che nel tempo le hanno concesso di mettere da parte i propri tormenti; dunque, Westview altro non è che la concretizzazione di una tendenza psicologica che la protagonista ha da sempre manifestato: la tendenza a colmare un vuoto reale per mezzo di un rimedio un po’ meno reale.
Ad avvalorare la tesi di WandaVision come allegoria della relazione fra l’essere umano e gli schermi contribuiscono gli spot pubblicitari, i quali pongono ancora una volta il focus sulla visione e ripercorrono il suo passaggio da fonte di intrattenimento indifferenziata ed occasionale a realtà surrogata personale e perennemente accessibile. Va inoltre sottolineato che l’assenza di spot in tre puntate è tanto indicativa quanto la loro presenza nelle altre sei. Le puntate 4, 8 e 9 risultano difatti ambientate nella realtà odierna, della quale rispecchiano le tendenze: in un panorama dai confini sfumati come quello contemporaneo, anche le forme della comunicazione pubblicitaria prendono le distanze dalla classica logica di interruzione per accostarsi ad una progressiva integrazione con il contesto e ad un contatto diretto con il pubblico. Non è un caso che dalla puntata 4 in avanti il product placement si concentri su vari dispositivi tecnologici dotati di schermo; tutti quei dispositivi ora indispensabili per l’essere umano. In quanto primo capitolo collocabile nella contemporaneità, l’episodio 4 permette di aprire un varco nel muro tra finzione e realtà; un muro che, sia nell’universo di WandaVision sia nel nostro, ogni giorno vacilla un po’ di più.
L'identità contemporanea: dal tema del doppio al multiverso
Se si sposta l’attenzione sul secondo elemento che costruisce il titolo della miniserie, ecco che emerge l’altra questione chiave: Wanda, il soggetto. Il tema dell’identità e quello della visione si intersecano costantemente, presentando due linee di sviluppo simmetriche e quindi i medesimi punti (e spunti) cruciali. Come avviene per la tematica dello sguardo, anche quella dell’identità viene affrontata tramite i differenti decenni rappresentati: in principio, la figura di Wanda viene tratteggiata secondo la tradizionale concezione di ideale femminile; successivamente, viene dato spazio sia alla natura di supereroina della protagonista sia al suo profilo psicologico. Di nuovo, gli spot pubblicitari affiancano la narrazione, mettendo in scena prima una classica donna-casalinga e perfino una donna-accessorio, per poi passare ad includere il marito nelle faccende domestiche e arrivare a toccare il delicato argomento della salute mentale attraverso una figura femminile.
Al ritratto della protagonista manca tuttavia una componente fondamentale, ovvero la passione per le sitcom: ecco allora il punto di congiunzione fra il tema dell’identità ed il tema della visione. La tendenza a cancellare i margini tra finzione e realtà, caratteristico da un lato della protagonista e dall’altro dell’atto della visione odierna, porta Wanda e la sua trasmissione ad incarnare il dilemma contemporaneo della crisi d’identità; una crisi andata intensificandosi con l’aumento del numero di schermi a disposizione. Il fenomeno dell’evasione dal mondo concreto per rifugiarsi in uno immaginario, infatti, provoca uno sdoppiamento del soggetto, il quale si ritrova in bilico fra due versioni di se stesso: la versione fisica, ancorata alla realtà esterna e di essa consapevole, e la versione astratta, una proiezione interiore nata per trasportare la coscienza verso una realtà surrogata; maggiore è l’attaccamento emotivo dell’individuo a tale realtà surrogata, maggiori sono i meccanismi psicologici adottati inconsciamente al fine di autoconvincersi che la variante immaginaria di sé sia quella principale.
Nel caso di WandaVision, il fenomeno si esprime nella protagonista con un’insistenza sempre maggiore: in origine, si manifesta nella forma dei programmi televisivi che Wanda adopera come distrazione; dopodiché, il processo assume i tratti di una dissociazione cognitiva e raggiunge il proprio apice con Westview, un microcosmo alternativo. Lo sdoppiamento viene simboleggiato dal confronto tra le due versioni di Visione: oltre ad includere un riferimento al paradosso della nave di Teseo, il dialogo fra loro costituisce una dichiarazione di crisi identitaria che non lascia spazio a dubbi. La miniserie si avvicina quindi sempre più all’intramontabile tema del doppio, il quale viene messo ulteriormente in luce tramite il personaggio di Agatha Harkness ed il parallelismo che si delinea tra lei e Wanda per via delle straordinarie ma incontrollabili capacità magiche; tale parallelismo viene sottolineato dalla presenza della doppia sigla nel terzultimo episodio.
Con l’ultima puntata di WandaVision e l’allacciamento a Doctor Strange nel Multiverso della Follia, il tema del doppio va incontro ad una trasformazione che, in armonia con la trasformazione di Wanda in Scarlet Witch, ancora una volta ne rispecchia una effettivamente in atto nel mondo contemporaneo. Se in passato il singolo schermo conduceva ad uno sdoppiamento dell’identità, nel presente gli schermi sono più numerosi e diversificati: di conseguenza, attualmente risulta più corretto parlare di frammentazione dell’identità, in quanto le versioni di sé disponibili sono potenzialmente infinite ed estremamente eterogenee. Così, Scarlet Witch e l’intero multiverso altro non sono che un’allegoria dell’universo digitale, con le sue qualità ed i suoi pericoli: da un lato, il miraggio di una realtà virtuale che ci promette la conquista della versione migliore di noi stessi ed il dominio sul tempo e sullo spazio; dall’altro lato, il rischio di perdere di vista la nostra versione forse più imperfetta ma anche più umana. Forse, anche se il mondo reale ferisce, è l’unico in cui valga la pena vivere e, forse, come dice Visione “Cos’è il dolore, se non amore perseverante?”
“And it’s hard to be at a party when I feel like an open wound
It’s hard to be anywhere these days when all I want is you
You’re a flashback in a film reel on the one screen in my town
And I just wanted you to know
That this is me trying”
Taylor Swift